Condensa la mia mattinata, in cui ho smontato le decorazioni natalizie, sistemandole operosamente ai loro posti e in cui ho messo mano a scatoloni di cose (libri, buste, sceneggiature, foto con portafoto discutibili che però non riesco a buttare perché mi ricordo chi dove come e quando, flyers, pins, agende) che mia mamma mi ha obbligato a portarmi a Milano.
Ho archiviato tutto ciò che del Natale è stato comprato, ricevuto, prodotto. Ma come potevo archiviare le decorazioni in pane e spezie di Mariam? Si sarebbero ammuffite o peggio avrebbero attirato topi in cantina, però, come separarmene? Le guardo e immagino le sue dita cicciotte che ci lavorano, sporche. Lei che ride di soppiatto mentre si dà una leccatina alle mani salate, e poi si infastidisce perché lo sporco non viene via. Che bisticcia con il compagno perché ha preso l'anice stellato che voleva lei, e glielo strappa e poi dice "Fscusa" e glielo riconsegna. C'è un mondo che ha a che fare con lei, dentro quell'oggetto. Con lei adesso, anzi, un mese fa, a due anni e mezzo, che parla in un modo in cui non ha mai parlato prima e mai parlerà più. Con lei che conosco ora, che è diversa da prima e mai più sarà così. Come faccio a lasciarla andare?
Poi ho aperto la busta blu di un tour operator, in cui avevo archiviato flyers del viaggio negli USA. Avevo 13/14 anni, con mamma, papà, sorelle e amici di famiglia. E quella frase sulle Torri Gemelle mi ha dato i capogiri. Ho iniziato a fare spin nel tempo, nei tempi, nelle me che riemergevano da quelle buste: a Londra per la prima volta di tante, i volti, i rumori, mind the gap, in Erasmus a Valencia, la mia prima vacanza da sola on the road dalla Sicilia fino a casa, diari, foto di me da piccola conservate nella Smemo da adolescente, biglietti di auguri da persone a cui voglio bene ma che non sento da anni e forse mai più sentirò. Emergono i volti immaginati dei figli del mio fidanzato con cui andai a Londra altre volte, con la London Travel Card che mi fece trovare all'arrivo, la sensazione del dolore sulla pelle della scottatura presa in Puglia quando, mi ricordo ora, il mare sembrava farmi allergia e starnutivo tutto il giorno, l'odore di piscio durante las Fallas, i disegni che feci in Inghilterra l'ultima, anzi penultima volta, che non so come un insegnante mi aveva davvero insegnato a disegnare, e gli appunti presi per dei progetti che non ho mai finito e il rimpianto di non averlo fatto, e altre cose che invece mi ricordano che sono viva, con successi e fallimenti e conclusioni sconclusionate incluse, di libri letti o no, che penso che forse sarebbe meglio passare all'e-reader ma non ci passerò e continuerò a scriverli sottolinearli, sgualcirli e a sperare che le mie figlie leggeranno. E riemergono ricordi slegati da cose, legati al cuore e quelli, quelli sono i più ostinati, sono quelli per cui sai che devi trovare la forza per guardare, analizzare, comprendere, salutare e, comunque vada, rimarranno.
Mi sento scombussolata e so per certo che non è la sola fatica fisica, anzi, il grosso ancora lo devo fare: portare in cantina o in spazzatura.
E' questo vortice di piani temporali, di me passate che fluttuano in questa me discretamente presente nel presente e probabilmente si coaguleranno in modo misterioso in una me futura. E nelle mie figlie che se poi ci penso non le vedrò mai vecchie e sono già disperata ora e io sarò un pensiero cristallizzato, multiformamente sfaccettato e inamovibile in loro e spero che sia un pensiero che le sappia riportare a casa, al sicuro, alla pace. E l'abisso delle persone che vivono in me in ricordi dimenticati, e ogni foglio che ho buttato oggi - perché lo so, Marie Kondo tra le altre me l'ha spiegato, non possiamo tenere tutto - ogni foglio è un ricordo che ho salutato e probabilmente se ne andrà senza davvero andarsene. Si riattivava preciso di fronte all'oggetto, riemergeva dal segreto e tra qualche ora sarà di nuovo inabissato. E io esisto dentro e fuori, sopra e sotto, accanto e imbevuta di quei ricordi. E il tempo mi assedia, e mi assilla il rimpianto di ogni secondo sprecato e di come sia passato dentro quei posti del tempo e dello spazio senza esserci e come ancora sappia compiere ancora ed ancora lo stesso errore, ma forse non è un'errore, solo la nostra natura. Fatta di infinito eppur di niente, tenuta insieme dalle cose da cui, però, abbiamo l'obbligo di saperci separare. E da corde del cuore i cui nodi, per far passare il futuro, dobbiamo per forza saper allentare.