martedì 4 dicembre 2012

Aprire il cielo per vedere cosa c'è dentro

Prima che per trent'anni avessi studiato lo zen, vedevo le montagne come montagne e le acque come acque. Quando giunsi a una conoscenza più profonda, vidi che le montagne non sono montagne e le acque non sono acque. Ma ora che ho raggiunto la vera sostanza del conoscere, sono in pace, perché ora vedo le montagne ancora una volta come montagne e le acque come acque
Ieri ho postato su Facebook delle mie foto belle. Mentre lo facevo in realtà stavo pensando a quanta meschinità esiste in me. E probabilmente le ho postate proprio per dimenticare il mio buio. Perché una teoria greca, poi confluita nel Cristianesimo, ci ha insegnato che bello buono e vero coincidono. Stavo mostrando che sono bella e apprezzabile, proprio mentre stavo elaborando la consapevolezza di fino a che punto potevo spingermi con la mia doppiezza e crudeltà e mancanza di sincerità e autodifesa egoica.
Facebook per noi narcisisti è imprescindibile. Tanti like rafforzano l'ego.
Ora invece scrivo questo post per confessarmi. La sensazione è che anche questo passaggio sia parte del mio narcisismo. Voglio mostrare, di nuovo, quanto sono brava, in questo caso a confessare la mia parte buia. Ma sempre per ottenere una certa rispettabilità sociale.
Ma allora non se ne esce? Per forza sono costretta ad essere me, così infelice, inutile, in loop per sempre? Come faccio a vivere in questa banalità? Non è possibile. Non voglio vivere così. Ho sospettato a lungo che non se ne uscisse.
Ma ora sono certa che se ne può uscire. Come?
E qui arriva il punto importante: gli strumenti che uso per procedere, ora che so che ne posso uscire.
La consapevolezza come l'ho imparata durante la meditazione. Non rifiutare quello che c'è, starci dentro, quasi nel senso in cui  lo direbbero i ragazzini milanesi. Guardare il pensiero nel suo sorgere, crescere e morire, interrogarlo. Guardare il pianto mentre arriva, e deporre le difese. Passerà. Avere come meta lo svelamento di me stessa a me stessa, senza rinnegare però quello che sono ora. E senza controllare. Lasciare andare, e farmi sorprendere.
Rifletto allora su Nietzsche, che mi ha insegnato a non credere mai alle giustificazioni che mi do. Accettare le conseguenze dei gesti che si fanno. Indagare, sempre.
E poi mi viene in mente il procedimento che si segue per l'analisi di un film: prima si procede alla scomposizione, per poi giungere ad una ricomposizione che inglobi le informazioni assunte durante la scomposizione per elaborare una chiave di lettura globale, più profonda e completa. Non è certo per caso se l'analisi psicologica ne condivide il nome...
E ancora, il teatro di scuola realista, che mi ha insegnato a fare le cose per me. E non per il pubblico. Perché se io non arrivo a toccare e non sento davvero le emozioni che sto mettendo in scena, sto ingannando me e gli altri, che siano compagni o pubblico. E questo vale anche nella vita. Non cercare di essere come mi vogliono o si aspettano. Ma indagare come sono io, e esserlo pienamente. Senza paura. Offrirsi.
La compassione. Per me e per gli altri. Sospendere il giudizio. Essere esigente ma non inflessibile. Con la spina dorsale eretta, ma non rigida. Buona ma non cogliona.
Fotografare. Cercare il punto di vista migliore. Cogliere l'attimo. Fare qualcosa di bello benché fine a se stesso, per dare forma al mondo. Per imparare a guardarlo e quindi ri-crearlo.
Ecco, questi conosco. Questi posso usare. Basta girare per ipermercati. Prima o poi questi si spunteranno, lo so, ma per ora sono ancora in buono stato.



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