... non saprà mai ciò che non trova.
Durante le mortali lezioni di scienze dell'educazione, ho pensato una cosa.
Che per essere educatori, e in fin dei conti esseri umani (infatti se il fine dell'educazione è fare in modo che crescano esseri umani il più possibile liberi e pieni e consapevoli, allora voglio allargare l'educazione a ogni relazione, senza stabilire chi è l'educatore e chi l'educato) bisogna essere disposti a cedere pezzi del nostro mondo, del nostro modo di vedere il mondo, e a riceverne di nuovi.
Incontrare l'altro è come partire per un nuovo continente, bisogna prima lasciare quello vecchio per raggiungerlo, o semplicemente per incontrarlo a metà strada.
Il narcisismo, l'ideologia, la sclerotizzazione della mente e dello sguardo in ciò che presumiamo vero e immutabile, la difesa spesso passiva aggressiva del nostro orticello, l'incapacità di ricevere critiche e di criticare sono nemici acerrimi dell'educazione e della relazione.
C'è un lavoro gigantesco da fare su di noi, e che si fa anche nella relazione, non solamente prima. Sbagliando si impara. L'idea che un giorno saremo perfetti, e allora sì potremo relazionarci per davvero, è solo un'altra forma di presunzione, perché presumiamo di poter bastare a noi stessi.
E' tutto un po' confuso. Ma una domanda chiara ce l'ho: date le premesse di cui sopra, cioè che è necessario essere disposti a cambiare mentre si educa e mentre si entra in relazione, come possono esistere educatori cattolici? O anche marxisti se è per quello, ma scuole private pagate dallo stato di stampo marxista non me ne vengono in mente...
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