vi scrivo dalla generazione del precariato, dell'instabilità, dell'incertezza e della liquidità.
E vi dico che, nonostante tutti gli aggettivi con cui ci definite suonino come peggiorativi, noi siamo meglio di voi. Perché siamo onesti ai limiti della crudeltà con noi stessi, perché vogliamo far pace con voi anche quando voi non vi arrendete alla nostra diversità, perché sappiamo che la vita non inizia dopo la pensione, perché non ci arrendiamo alla mancanza di sogni, perché combattiamo i poteri dentro e fuori di noi, perché usiamo il vostro benessere, che per voi era tutto, per diventare quello che vogliamo.
E magari non ci riusciremo, ma ci avremo provato. Potete dire lo stesso?
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