venerdì 5 ottobre 2012

La ragione ha dei torti che il cuore non conosce

Ieri sera sono uscita. Stanotte ho dormito. Questa mattina sono uscita e al bar dove ho chiesto il primo caffè della giornata, che non lo bevo mai appena sveglia, alle ore 11:20 stavano preparando un gin tonic.
Dai sobbalzi del mio stomaco, ho capito con certezza che ieri sera avevo bevuto troppo. (Ma il gin mi fa schifo sempre, ve lo dico così che non vi venga l'idea di offrirmelo.)
E mi sono ricordata che ieri sera mi sono infilata in una discussione sul concetto di identità.  Discussione che era inficiata in partenza da due errori:
1. discutere con alcool in corpo significa far parlare l'alcool al posto mio.
2. discutere per avere ragione è il modo migliore per sragionare.
Io non voglio discutere.
Io non voglio avere ragione. Perché se voglio avere ragione, voglio ancora convincere me stessa di qualcosa.
Io voglio sapere. Sapere che rifiutare il concetto di identità non significa volermi disincarnare. Significa rifiutare i miei ego. Significa vivere a un livello più profondo e indiviso. Significa sapere che le molecole che mi compongono cambiano sempre. Significa sapere che Pirandello aveva ragione. Significa sapere che quello che voglio o non voglio ha più a che fare con condizionamenti che con il nucleo di me. Che certo, esisto, ma non sono ciò che dico che sono. E capisco che tutto ciò non lo so spiegare, e soprattutto non lo voglio spiegare.
Ma cazzo, anche solo scrivere queste cose in questo modo in questo luogo blandisce il mio ego, sto ancora provando a convincervi/mi. Non posso fare a meno di parlare di identità, ma non posso identificare cosa sia l'identità, perché entro in contraddizione con la mia intuizione che l'identità sia più inutile che utile. Quindi la smetto, e vado a meditare. Ma sebbene mediti, non definitemi buddista.


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