Avere un giudizio significa scomporre in pezzetti l'oggetto di giudizio, sia questo una persona, un'opera d'arte, un libro, un edificio, un pensiero politico, un cibo.
Scomporlo a pezzetti e passare ognuno di questi al setaccio mentale e quindi anche corporeo che divide tra giusto/sbagliato, bene/male, setaccio che a sua volta si è formato in noi soprattutto grazie ai condizionamenti avuti in passato.
Sembra impossibile vivere senza giudicare, e invece il giudizio non è essenziale. Sospendere il giudizio, e privarsi così dall'illusoria rassicurazione che il giudizio ci fornisce (illusoria soprattutto perché individuiamo come male ciò che più ci spaventa di noi stessi) è fonte di estrema liberazione. Ma fa paura. Perché abbiamo, in quanto esseri fortemente condizionati, bisogno di appigli per procedere nel mondo senza avere la sensazione che il mondo ci inghiotta.
L'amore e il giudizio non possono coesistere. L'amore riconosce tutto in tutto, riunifica, rimette insieme i pezzi sparsi di mondo, accetta le cose per quelle che sono, trascende e libera.
Un genitore che giudica il proprio figlio (sulla base delle idee che i suoi stessi genitori gli hanno trasmesso giudicandolo) è un pessimo genitore, perché scompone il figlio in pezzetti sparsi che il bambino inizierà ad amare ossessivamente o odiare profondamente al fine di essere amato dai propri genitori, o meglio dai filtri con cui i genitori lo guardano. Un innamorato che giudica ammazza l'amore, perché l'amore sta nell'accettazione dell'imperfezione dell'altro, e non nel tentativo di cambiarlo per il suo bene, tentativo che si presume altruistico e invece è egoistico e narcisista.
Ecco. Narcisisti. Statene alla larga. Amateli, ma statene alla larga.
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