In un articolo in cui gli psicologi italiani raccontano i loro pazienti in tempi di crisi, trovo questa frase riferita ai giovani precari: "È come se vivessero nell'eterno dilemma tra il volere tutto e la drammatica constatazione di non ottenere nulla. Rischiando l'immobilità: immobilizzarsi per troppa necessità di primeggiare".
E mi si smuove una rabbia antica, che pensavo diluita nei miei viaggi mistici. No, cazzo, non è ancora il momento del misticismo totale. Sono arrabbiata.
Con i miei genitori, zii, insegnanti, che, inconsapevoli, mi hanno venduto un futuro facile. Tanto ero brava a scuola, niente mi costava davvero fatica, il progresso è illimitato e il sogno americano è sempre possibile.
Con la classe politica e dirigente italiana, che vive in un clima da Ancien Régime.
Con la mia generazione che non riesce non dico a organizzare, ma nemmeno a pensare la rivoluzione, e non parlo della rivoluzione proletaria. Parlo della rivoluzione di saper dire no, di stare con la schiena dritta, di costruirsi un futuro umano e relazioni vere.
Con quelli che nella mia generazione ce la stanno facendo, ma solo connivendo con un sistema sociale economico e politico che è orrendo corrotto e ingiusto.
Con me, perché mi sono lasciata fottere. E ora pago le conseguenze dell'immobilità di anni con una sensazione di irrequietezza che sembra portarmi fuori dalla mia stessa pelle.
E allora per rubare ai vecchi per dare ai giovani (o diversamente giovani, come ormai mi sento io) devo imparare un nuovo tipo di immobilità: quella dell'animale che si finge morto, solo per attaccare meglio.
Fanculo.
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