giovedì 27 gennaio 2011

Interstitial

91: in ricalcolo
Finisco l'ennesima sigaretta della mattinata. Nella nebbia che non abbandonerà Milano per tutto il giorno, sto per godermi le ultime pagine dell'ultimo libro di Zadie Smith. L'anglo-giamaicana più figa del mondo. Sulla bellezza.  Ogni tanto si perde, ma è colpa della traduzione italiana.

91: 9 min
Perfetto. Apro la bocca verso il succulento boccone, faccio appena in tempo a gustare l'odore del sudore di Howard, il triste professore, che nel caldo estivo del New England, corre verso la conferenza che gli cambierà la vita, facendolo entrare (lui, che da 4 anni deve finire il suo libro su Rembrandt e la moglie l’ha pure abbandonato) in un’università super esclusiva.
Qualcosa mi distrae.
Un movimento agile, che colgo nel suo risalire, verso una sigaretta mollata a metà. Schiacciata dal tacco nervoso di qualche ingenuo che, in piazzale Cuoco, ancora crede all'ATM .
Mi disturba. Mi imbarazza sempre ricordare che a Riccione, anni 18 esperienza 0, raccolsi una sigaretta nell’alba post Peter Pan.
Torno ad occuparmi della corsa di Howard. Tre righe, poi i dettagli della scena appena intravista si fanno largo.
Unghie laccate di rosso solo al centro. Mano nodosa. Polso nascosto da pelliccia di visone color miele di castagno.
Zoom out. Figura intera. Una treccia bionda fermata da mollette con strass disposti a fiore. Pelliccia, intera, modello a campana, di visone color miele di castagno. Viso scavato e rugoso. Borsa a bauletto Laura Biagiotti.
Osservo lei, e le mie domande su di lei.

91: 7 minuti
Il tuffo per l’ultima immersione nella vita di Howard mi attende, non posso più rimandare. Leggo, in apnea, di come Howard mandi a puttane la sua carriera, fottendosene della conferenza per costruire un silenzioso, profondo dialogo con la ex moglie in platea. L’eterno dilemma arte vs. vita questa volta si è risolto in favore della vita. Pare. Seguono ringraziamenti. Maledico Zadie per amare tanto suo marito. Pensare all’amore mi fa pensare al mio, malandato e in isolamento.
“Ha l’accendino?” Sobbalzo. i pensieri di fine libro, le ipotesi sul finale aperto, le opinioni pronte per il dibattito interiore, tutto si sfilaccia.
Sta chiedendo da accendere ad un ragazzo, forse indiano: “No, no, io niente” Magari il ragazzo è parente degli indiani del corner shop della strada di Londra in cui viveva Zadie. Sarebbe fighissimo. “Ce l’ho io, se funziona”. Cerco in tasca il cilindretto dedicato a Che Guevara, prima ancora di rendermi conto di aver parlato. Lo trovo. Funziona, nonostante da giorni mi mandi segnali di un vicino addio. Anche lui.
Tutto precipita. Da vicino è tutto così evidente. La mano è evidentemente tremolante. La proprietaria della mano è evidentemente vecchia. La sigaretta nella mano della donna è evidentemente la parodia di una sigaretta.
Un fiocco bianco di seta sbuca da sotto la pelliccia.

91: 4 minuti
Lei si rigira. Ora vedo solo la colata color miele di castagno, e seguo il penoso tragitto bocca /altezza vita/bocca della mano che regge la sigaretta. Presa a pollice e indice, tesi per quanto lo consenta l’artrosi.
Howard e Kiki con i figli, la famiglia Kipps, Murdoch il cane. Dove siete? A passeggio per Wellington, scommetto. Tornate qui, ora, dentro la mia testa. Mi lasciate sola. Anche voi.
Il ragazzo indiano la guarda, incredulo pure lui. Ci scambiamo uno sguardo complice, stando attenti a non esagerare con la durata di questo compromettente contatto visivo.
La treccia. La treccia bionda e laccata. Tirabaci all’angolo del volto che riesco a vedere, ne immagino un altro uguale. Stivali neri, bassi.
“Sono truccata bene?” L’ho fissata troppo intensamente, mi sono di nuovo scordata la legge dell’attrazione. “Sì signora”, rispondo cercando di ripararmi da quello sguardo bordato di celeste. Silenzio. “E’ molto elegante”
Silenzio. Silenzio. I tirabaci sono davvero due.
“E l’acconciatura?” “Bella”. Silenzio. “L’ha fatta lei” “No, la pettinatrice”.  Silenzio. “Sono bella?” ”Sì, ha dei begli occhi” “Dolci?” “Dolci”. Silenzio.
La mano continua i suoi viaggi della speranza verso la bocca. Gli occhi bordati di celeste continuano a fissarmi. “Allora sto bene con il raccolto?” “Sì, le dona. Dove sta andando?” “A lavorare”
Silenzio. Silenzio. Silenzio. Sorriso. Silenzio. Si volta, dandomi le spalle. La sigaretta, il moncherino di sigaretta sembra non avere fine.

91: 2 min
L’indiano mi guarda. Sorrido veloce, poi torno a fissare la schiena color miele di castagno. Voltati. Voltati. Voltati. La legge dell’attrazione è una minchiata.
Andiamo a bere un the, per favore. Fatti guardare negli occhi bordati di celeste. Nelle rughe dove il fondotinta non si è calato. Fatti conoscere. Almeno tu.

91: max 1 min
Un minuto di silenzio. E speranza. Finisce la sigaretta.

91: in arrivo
La 91 mantiene le promesse. Salgo dalla sua stessa porta. Timbro, poi tornando indietro la incrocio. “Buona giornata”. Sorrido invitante.
Mi allontano. In fondo al bus per favore, in fondo. Resisto poco. Devo vederla. Eccola, in piedi. Che cafoni, non la fanno sedere. Un attimo dopo l’ho persa, e la ritrovo seduta, rivolta verso di me. Sollievo. Ansia. Zadie mi ha detto tutto quello che aveva da dirmi. Howard e gli altri sono tornati alle loro vite. Il telefono non suona. Sull'autobus non si può fumare.
La controllo ad intervalli regolari. Accarezzo il ricordo dei suoi dettagli, ché da qui li percepisco appena. Scompare e riappare dietro le sagome di altri stupidi passeggeri.
Non c’è. Le porte sono ancora aperte. Vedo la pensilina di Viale Romagna – Via Archimede. Ha un altro mozzicone in mano. Sta chiedendo di accendere ad un uomo. Un tipico uomo da 90-91, un addetto alle manutenzioni direi. Cattivo odore, barba di 3 giorni, pancia, berretto di lana fino a metà testone.
L’analista mi aspetta. Fanculo. Scendo e la riconquisto. Permesso, scusate. Il borbottio delle porte che si chiudono. Lo scossone della partenza.
Non la guardo allontanarsi.

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