mercoledì 26 febbraio 2014

"I sette saperi necessari all'educazione del futuro" - Edgar Morin

Dopo giorni di assoluto delirio, mi poso qui. E sto bene. E mi viene voglia di fare meglio. 

"1) Insegnare i limiti della conoscenza: l'errore e l'illusione
E' strano che l'educazione, che dovrebbe mirare a trasmettere conoscenze, sia "cieca" nei confronti  di ciò che è la conoscenza umana, di quali siano i suoi dispositivi, le sue debolezze, le sue difficoltà, le sue propensioni all'errore  e all'illusione, e non si preoccupi affatto di insegnare che cosa significhi "conoscere".
La conoscenza non può essere considerata come uno strumento pronto all'uso, che si può utilizzare senza conoscerne la natura. La conoscenza della conoscenza deve essere assunta come  necessità prioritaria per educare i giovani ad affrontare i rischi di errore e di illusione che insidiano costantemente la mente umana.
Si tratta di attrezzare i giovani a conquistare una priorità vitale: la lucidità. Occorre assumere e sviluppare nell'insegnamento lo studio delle caratteristiche cerebrali, mentali, culturali della conoscenza umana, dei suoi processi e delle sue modalità di formazione, delle disposizioni sia fisiche che culturali che inducono l'illusione o l'errore.

2)  Educare ad un sapere "pertinente"
C'è un problema fondamentale, da sempre misconosciuto, che è la necessità di promuovere una conoscenza che sappia cogliere i problemi globali e fondamentali entro i quali inserire le conoscenze parziali e locali. L'estrema frammentazione delle conoscenze operata dalle singole discipline rende spesso impossibile  collegare le parti alla totalità; si dovrà  pertanto far posto a un tipo di conoscenza  capace di inquadrare le cose nei loro contesti, nella loro complessità, nei loro insiemi.
E' necessario sviluppare l'attitudine naturale della mente umana a situare tutte le informazioni in un contesto e in un insieme. Occorre insegnare metodi che permettano di cogliere le mutue relazioni e le influenze reciproche tra le parti entro un mondo complesso.
(ndr. Uno dei concetti base della psicologia cognitiva è che il sapere è pertinente solo se si è capaci di collocarlo all'interno di un contesto e che la conoscenza, anche la più sofisticata, smette di essere pertinente se è totalmente isolata)

3) Insegnare la condizione umana
L'essere umano è un insieme fisico, biologico, culturale, sociale, storico. L'insegnamento delle singole discipline tende a disintegrare questa unità complessa della natura umana, al punto che è diventato impossibile apprendere il senso dell'essere uomini. Bisogna ricomporre questa unità, in modo che ciascuno  abbia conoscenza e consapevolezza della propria identità complessa e dell'identità che lo accomuna a tutti gli altri esseri umani.
In questo senso la condizione umana deve essere l'oggetto fondamentale di tutto l'insegnamento. Questo capitolo indica come sia possibile, a partire dalle attuali discipline, riconoscere l'unità e la complessità umane, ricomponendo e organizzando conoscenze attualmente frammentate nelle scienze della natura, nelle scienze umane, nella letteratura e nella filosofia.

4) Educare all'identità "terrestre"
Il destino ormai planetario del genere umano è un'altra realtà fondamentale ignorata dall'insegnamento. La conoscenza degli sviluppi dell'era planetaria che avranno luogo nel XXI secolo e la coscienza dell'identità "terrestre", che sarà sempre più indispensabile a ciascuno e a tutti, devono diventare obiettivi fondamentali dell'insegnamento.
Bisogna insegnare la storia dell'era planetaria, che ha inizio con la comunicazione fra tutti i continenti nel XVI secolo, e mostrare  come tutte le parti del mondo siano diventate interdipendenti, senza occultare le oppressioni e le dominazioni che hanno devastato l'umanità e non sono affatto scomparse. Bisognerà indicare le caratteristiche della crisi planetaria che ha segnato il XX secolo, dimostrando come tutti gli uomini, ormai spinti dagli stessi problemi di vita e di morte, vivono uno stesso comune destino.

5) Educare ad affrontare l'imprevisto
Le scienze ci fanno acquisire molte certezze, ma noi abbiamo scoperto nel corso del XX secolo innumerevoli domini di incertezza. L'insegnamento dovrà mettere a fuoco le incertezze che si sono manifestate nelle scienze fisiche (microfisica, termodinamica, cosmologia), nelle scienze dell'evoluzione biologica e nelle scienze storiche.
  Si dovranno insegnare alcune strategie che permettano di affrontare i rischi, l'imprevisto e l'incerto, e di modificarne lo sviluppo, in virtù delle informazioni che man mano si acquisiscono. Bisogna imparare a navigare in un oceano di incertezze fra alcuni arcipelaghi di certezze.
La frase del poeta greco Euripide, antica di venticinque secoli, è più che mai attuale: "L'atteso non accade mai, è all'inatteso che il dio apre la porta". L'abbandono delle concezioni deterministiche, che ci avevano portato a credere di poter predire il futuro, l'analisi dei grandi avvenimenti e dei disastri occorsi nel XX secolo che sono stati tutti inaspettati, il carattere ormai ignoto dell'avventura umana, devono indurci ad educare  menti capaci di affrontare l'inatteso. E' necessario che tutti coloro che hanno il compito di insegnare siano i primi ad avere consapevolezza delle incertezze che avvolgono il nostro tempo.

6) Educare alla comprensione
La comprensione è a un tempo mezzo e fine della comunicazione umana. L'educazione alla comprensione è assente dai nostri insegnamenti, mentre il pianeta necessita in tutti i sensi di mutue comprensioni. Pertanto, considerata l'importanza dell'educazione alla comprensione in tutti i livelli educativi e a tutte le età, bisogna operare una vera e propria riforma di mentalità in grado di promuoverla. Questa riforma deve costituire un preciso impegno nell'educazione del futuro.
La mutua comprensione fra gli uomini, vicini a noi o a noi estranei , è oggi vitale per far uscire le relazioni umane dalla barbarie dell'incomprensione.
E' necessario studiare l'incomprensione, analizzarne le radici, le modalità di sviluppo, gli effetti. Un tale studio sarà tanto più efficace se si individueranno non i sintomi, ma le cause del razzismo, della xenofobia e del disprezzo. Esso costituirà anche una delle basi più solide per l'educazione alla pace, un'educazione alla quale io tengo particolarmente per mia formazione e per personale vocazione.

7) L'etica del genere umano
L'insegnamento dovrà portare alla costruzione di un' "antropo-etica", che faccia riferimento alla  triplice condizione umana, all'uomo come individuo, all'uomo come società  e all'uomo come specie. L'etica individuo/società richiede un controllo dell'individuo sulla società e della società sull'individuo, questa  è  la democrazia; mentre l'etica individuo/specie assume  nel  XXI secolo il significato di cittadinanza terrestre.
L'etica non potrà essere insegnata  attraverso  lezioni di morale. Dovrà essere sviluppata a partire dalla consapevolezza che l'uomo è a un tempo individuo, parte di una società, parte di una specie.  Portiamo in ciascuno di noi questa triplice realtà. Così dovremo promuovere lo sviluppo congiunto dell'autonomia individuale, della partecipazione sociale e della coscienza di appartenere alla specie umana.

A partire da queste considerazioni si  possono abbozzare le due grandi finalità etico-politiche del nuovo millennio: stabilire un controllo reciproco tra la società e gli individui attraverso la democrazia, concepire l'umanità come una comunità planetaria. L'insegnamento deve contribuire, non solo alla presa di coscienza della nostra Terra-Patria, ma anche permettere che questa coscienza si traduca nella volontà di realizzare la cittadinanza terrestre."


venerdì 21 febbraio 2014

Coraggio! Ti serve solo coraggio.

La vigliaccheria è essere accondiscendenti verso se stessi anche quando ci facciamo schifo, e spietati verso gli altri, così da sembrare migliori al loro confronto.
Il coraggio è essere spietati con noi stessi, pur amandoci, ed essere gentili verso gli altri, anche quando non li sopportiamo.

E' fottutamente difficile.



mercoledì 19 febbraio 2014

Your choice

Il fatto è che c'è sempre qualcuno che ti dice che cosa fare. Ma proprio sempre.
Puoi decidere di essere tu, a dirti che cosa fare, o lasciare che sia qualcun altro, un qualsiasi altro a dirtelo.


lunedì 17 febbraio 2014

Immaginate questa scena in una qualunque cucina

Lui torna dal lavoro. E vuole la cena pronta. Che è già tardi. E' tornato pure più tardi dal lavoro ma la cena ancora non è pronta.
E lei ha passato la giornata al telefono e poi gli imprevisti e pure il traffico. E sa che avrebbe dovuto preparare la cena a lui. E allora si sente in colpa, e va al supermercato. E non gliene frega niente di preparargli la cena. Che poi le viene voglia di mangiare anche lei, ma domani deve andare a farsi pesare.
Ma deve, e quindi torna dal supermercato. Lui è al computer, lo chiama, squillante, e lei finge di avere molte alternative. E gli chiede che cosa vuole.
E lui dice, la mia cena? Basta che mi lasci mandare una mail, fai quello che vuoi.
Ma non è vero. E' arrabbiato. E non la vuole vedere, e preferisce stare davanti allo schermo, per una mail che forse nemmeno esiste.
E lei non ha proprio la testa, e brucia la sua cena, la dimentica nel forno. E quando se ne accorge si muove concitata sotto il suo sguardo severo e di disgusto rabbia e fastidio, ma sorride, che ci sono ospiti.
E ci riprova, e rimette le cose in forno. Ma lui è arrabbiato.
E poi quando si mette a tavola, e lei spostando il tavolo per far spazio ad un ospite gli toglie lo spazio vitale, allora lui alza la voce, e gli dice che la colpa è sua. E lei dice che non è colpa sua se il tavolo ora traballa, ma lui si alza per prendere l'acqua e allora lei lo sistema. E poi lo guarda e gli dice soddisfatta: fatto, è apposto ora.
E poi lui finisce la zuppa, e vuole mettere i piatti in lavastoviglie, ma la lavastoviglie è carica. E allora la vuota, durante la cena, e fa rumore con i piatti, e lei è in mezzo che serve il secondo e lui non riesce a mettere i piatti nell'armadietto e li sbatte e se ne rompe uno.
E allora puliscono. E la cena non più bruciata è ora fredda. E l'ospite non mangia come si dovrebbe mangiare, che è strana. E invece lui sa che cosa si deve mangiare.
Poi lei si alza, e vuota rumorosamente le posate, e lui gli dice: donna, non fare rumore. Lei si siede.
E poi, mentre mangia la sua cena lo dice. No, non lo ammette che è arrabbiato, ma dice che al lavoro c'è un coglioncello nuovo, che ora gli dice che cosa deve fare per far guadagnare più soldi all'azienda. A lui lo dice, che è sempre diventato il capo di quelli che l'avevano assunto.
E allora è evidente, che cosa è il problema: almeno lei stasera, con la cena, con la sua (di lui) cena, lo avrebbe dovuto far sentire il re dell'universo. E invece niente.
E allora lei per riparare almeno un po', e distrarlo, prende una cosa bella da mostrargli, una collana di sua mamma che ha trovato proprio oggi, ma poi le cade e non la trova. E lui è furibondo, con questa donna che non sa fare un cazzo.
E lei vorrebbe dirgli che può andare a cagare.
Ma non lo fa. E nemmeno lui. Che ci sono ospiti. E poi loro si amano, e chi si ama non si manda a cagare, che hanno anche appena festeggiato San Valentino.
E allora dopo cena stasera c'è sempre la tv, separati, ma stasera prima parleranno un po' di più, con il segreto/palese obbiettivo che lui o lei la/lo torni ad amare.

E a me, che di solito stempero, a me oggi viene da stare male. E mi sento stronza anche. Ma oggi va così.  Io sono una degli ospiti, e vorrei non vedere enon sentire ma non posso e allora oggi decido di non parlare. E penso solo, da stronza che sono, che così, così mai. Che cenare allo stesso tavolo per un sacco di anni non significa niente di tutto questo.
E respiro, che non sono più nemmeno adolescente. E non sono nemmeno la figlia di questi due.
Ma avrei solo voglia di fargli vedere, di dirgli "Cazzo, ma non vedi? Nemmeno tu vedi? Non vedete che siete solo il sacco della spazzatura delle vostre reciproche frustrazioni?"
La spazzatura si butta nel secchio della spazzatura, né per strada, né sul pavimento, né addosso ad un altro. Si fa un bel sacchetto, poi quando è pieno, lo si butta fuori. La spazzatura è privata. Al massimo ne parli, della spazzatura, al massimo ti fai aiutare a portarla fuori, ma non la mostri per ottenere rispetto o compassione, né te la lanci addosso e giochi a sporcare tutto. Cristo, quanti anni avete?!
Ora respiro. Che non sono adolescente, non sono loro figlia, e sono solo una stronza che si dice che qualche possibilità di fare meglio ce l'ho. Respiro, e vado a letto.
E scusate per la spazzatura che vi ho buttato addosso.




Due foto, perché Martin Parr, la prima, è d'obbligo. La seconda è per provare a darmi speranza. Provare a sopportare non solo me, ma loro due. Anche se loro, tra di loro, non si sopportano. 


domenica 16 febbraio 2014

Let it flow

We never know how high we are (1176)
We never know how high we are  
  Till we are called to rise;  
And then, if we are true to plan,  
  Our statures touch the skies—  
   
The Heroism we recite
  Would be a daily thing,  
Did not ourselves the Cubits warp  
  For fear to be a King—

The Brain - is wider than the Sky
The Brain - is wider than the Sky-
For - put them side by side-
The one the other will contain
With ease - and You- beside-

The Brain is deeper than the sea-
For - hold them - Blue to Blue -
The one the other will absorb -
As Sponges - Buckets - do -

The Brain is just the weight of God -
For - Heft them - Pound for Pound -
And they will differ - if they do -
As Syllable from Sound-

Emily Dickinson

Sarà un post un po' a scatti, anche se vorrebbe fluire. Ma insomma, questo è, e lascio fluire ciò che è, almeno stasera, almeno qui. 
Sto leggendo un .pdf scaricabile gratuitamente sulla EFT (Emotional Freedom Technique).
Me l'ha consigliato la mia amica Silvia.
La mia amica medico. Quella che mi guardava con il sorrisino perché mi scelsi un analista che mi faceva lavorare sui blocchi corporei invece di andare da uno psichiatra e prendere le pastiglie giuste.
Quella che quando mi sentiva parlare di energia da sbloccare prendeva il telefono per chiedere un TSO.
Ecco.
Le cose cambiano. E forse cambiano anche grazie a noi.
Non voglio sembrare presuntuosa dicendo che ho ragione io a vedere il mondo come lo vedo, perché anzi spero di essere smentita e spinta a guardare ancora più in là in mille altri modi nel corso della mia vita. E nemmeno credo che Silvia ora si interessi a pratiche che potremmo definire "new age" solo perché gliel'ho detto io.
Credo semplicemente che le conoscenze e le esperienze dovrebbero fluire. Trasmettersi, scorrere, mescolarsi, non essere prese mai per definitive e assodate.
E mi spaventa questa ossessione meccanicistica e utilitaristica della conoscenza, in cui tutto deve essere certo e funzionale a qualcosa da fare per trovare un lavoro.
Le cose più importanti di noi stanno altrove, in uno spazio pieno di vuoto.
La scienza è un costrutto sociale, in costante cambiamento. E gli scienziati lo sanno.
Noi siamo vuoto con elettroni intorno, e non ho più così paura di questa descrizione.
I nostri pensieri sono frequenze.
L'uomo è un po' più sfigato o fortunato, a seconda dei punti di vista e dei momenti, rispetto agli altri animali, perché è autocosciente, e tendenzialmente sempre più autocosciente di ciò che è. Ed è una fatica.
Chiamare new age ciò che non è allineato alla medicina e alla religione e alla tradizione occidentale è un modo per mettere in un angolo qualcosa che potrebbe realmente sovvertire l'ordine della nostra società: potremmo comprare-spendere-lavorare meno ed essere più felici. Del resto se una pratica funziona, non fa del male né a me né a nessun altro, non mi fa diventare sottomessa a nessun guru né spendere miliardi, perché non provarci?
Conservare l'ironia in tutto ciò che sperimento è per me essenziale, altrimenti divento totalmente sciroccata e convinta di avere ragione.
A volte comprare un rossetto fa meglio di una seduta di meditazione.

Detto tutto ciò, e detto un po' a caso e me ne scuso, ammetto che ci sono dei momenti in cui vorrei passare almeno un giorno da atea e convinta materialista, seduta sul mondo dei fatti tangibili e della morte come blackout infinito, giusto per capire come si vede il mondo.

Infine, entrambe le poesie in esergo le ho appena lette su FB di amici, a riprova che tutto si tiene, oppure che vediamo e annotiamo solo ciò che rinforza le nostre opinioni.
In realtà entrambe le poesie scatenano i miei dubbi, quindi forse ciò in cui credo di più sono i miei dubbi.


venerdì 14 febbraio 2014

Nietzsche ci andrebbe a nozze, io vado ai pazzi.

Sono in una situazione difficile.
Lo è anche l'Italia, che sta per cadere in mano ad un nuovo bugiardo.
Ecco, vedete, il problema è proprio questo: il diritto di critica e di dissenso verso gli altri.

Da qualche anno vivo provando ad essere il meno giudicante possibile verso gli altri e anche verso di me, non sempre ce la faccio ovviamente, ma in questo periodo è sempre più difficile.

Vivo gomito a gomito con una persona che mi provoca sentimenti forti e profondamente contrastanti.
E' una persona che a volte mi fa paura, per la critica al vetriolo verso tutti quelli che incontra e che non si allineano alla sua idea di giustezza. Si va dalla mamma con cui non parla da quasi 20 anni alla ex cognata che osava mettere il ketchup sul Sunday roast, quando è ovvio a tutti che puoi metterci solo il gravy; dagli alluvionati che se lo sono meritato perché non hanno protetto la casa ai politici che si interessano solo alle alluvioni di Londra e non a quella di Boston.
In lei c'è una totale incapacità di vedere il punto di vista altrui, di riconoscere e rispettare la possibilità di libertà che ognuno deve avere, di parlare senza attaccare ma per trovare una mediazione, un'impossibilità a cedere il controllo e il piccolo potere, una ristrettezza di orizzonti in cui il mondo finisce dove finisce il proprio giardino.
C'è una gran voglia di vendetta, la necessità costante di proteggere e controllare i propri confini e di contabilizzare sempre al centesimo i costi/benefici di ogni azione. Se i conti non tornano, e per lei è colpa tua, entri subito nella lista nera.
A parte la facilmente immaginabile sensazione di disagio nell'essere costantemente all'erta per evitare di entrare nella lista nera, questa persona ha la capacità di attaccarmi una costante negatività. Non so mai di che cosa parlare, perché parlando con lei accade che ogni cosa bella può essere tale solo in rapporto a qualche disgrazia evitata, a qualche cosa andato male nelle vite altrui.
Da un lato fatico e vorrei evitare la relazione. Ma non posso, anche per motivi contingenti.
Dall'altro ho un'estrema curiosità per i meccanismi mentali e psicologici di questa persona. E anche una certa invidia per il suo essere così totalmente spontanea nell'esprimere esigenze totalmente fondamentali dell'essere umano. Ho la sensazione che Nietzsche amerebbe questa sua totale mancanza di etica cristiana in lei.
Invidio e insieme disprezzo la sua totale opacità a se stessa. Nessun dubbio, nessun secondo pensiero. Nessun disagio esistenziale. Nessun interesse al di fuori della contingenza quotidiana e televisiva. Mi vergogno ad invidiarla, ma credo che forse sarebbe una vita più facile.
Nella convivenza di tutti i giorni provo a suggerirle strategie di comunicazione meno aggressive, quando mi chiede un parere, stando bene attenta a non sembrare di essere in disaccordo con lei, e mi sforzo di trovare qualcosa di cui parlare che non sia cattivo.

Ma è faticoso, e tutta questa situazione mi mette a disagio. Perché?

Mi chiedo perché voglio evitare il giudizio. Per sentirmi buona e giusta? Per evitare rotture di coglioni?  Per non fare del male al mio karma? Per narcisismo ovvero sentirmi migliore di lei?

Mi chiedo se è vero che tutti abbiamo bisogno di nemici, e perché? E mi chiedo chi è il mio nemico, se io ho deciso di provare a smettere di avere nemici ed è evidente che non sia allo stadio di assoluta e totale pacificazione? Mi sono trasformata io nel mio nemico? Sempre a giudicarmi? O il mio nemico è chi mi mostra la verità, ovvero che tutti abbiamo dei nemici?

Mi chiedo che cosa devo imparare da questa situazione. La pazienza? L'essere me stessa anche in un contesto totalmente diverso da me? L'umiltà? L'accettazione? L'amore incondizionato? La non violenza? La capacità di empatia?

Mi chiedo perché mi sento stupida a raccontare questa cosa, e mi chiedo che cosa praticamente potrei fare per smetterla di assillarmi, evitare di finire nella lista nera e contemporaneamente non rinforzare il suo atteggiamento.

Mi chiedo che diritto ho io di pensare che dovrei evitare di rafforzare il suo comportamento, visto che implicitamente affermo che è sbagliato.

Mi chiedo perché tutti noi abbiamo un fondo di amarezza così drammatico, anche quando sembriamo opachi e totalmente, perfettamente, inseriti nella vita.

Mi chiedo perché noi umani siamo fatti così male. Totalmente egoisti oppure totalmente involuti nei pensieri.

Mi chiede che cosa ho fatto di male io, per meritarmi questa situazione. E pure per meritarmi Renzi.

Mi chiedo se non è il caso di lavorare invece di farmi le pippe mentali. E a questa domanda ho una risposta.


mercoledì 12 febbraio 2014

Ogni tanto tocca lamentarsi. Ogni tanto posso lamentarmi

Odio il vento.
Mi rovina la pelle e mi rende i capelli una schifezza.
Ma soprattutto mi si insinua dappertutto. Trova una fessura nel polso, ed è in cima al braccio. Apro la bocca per parlare, e l'incisivo sensibile al freddo mi manda fitte di dolore. Cammino, ed è dentro il pezzettino tra i pantaloni e la scarpa.
Lo odio.
Perché mi innervosice. E lo odio perché mi innervosisce nel modo più subdolo: mi toglie l'illusione del controllo.
Nel vento non riesco ad essere la Marilisa che vorrei essere, che riceve tutto ma trattiene e coltiva solo la bellezza.
Nel vento sono solo un corpo, freddo e teso ed infastidito che cerca di arrivare a casa e non sentire più niente.
Nel vento sono insofferente. Nel vento devo ricordarmi che sono fallibile e che la strada è ancora lunga e non so nemmeno dove porti la strada.
A questo punto lo potrei anche amare, il vento. M domani, o dopodomani o quando cazzo sarà finalmente passato.




domenica 9 febbraio 2014

venerdì 7 febbraio 2014

Vice.com: la fatica della preziosità in mezzo alla milanesità/2

Prima di pubblicare il post precedente l'ho fatto leggere ad una mia amica, perche' ogni tanto non mi fido del mio giudizio e volevo che mi dicesse se poteva essere un pezzo sgradevole verso il biondo.
Ovviamente non ha risposto alla mia domanda , ma mi ha scritto (copia&incolla con svariati omissis):
"cazzo però io te lo devo proprio dire. ma possibile possibile possibile che la via della felicità passi dalla coppia?
dall'avere un innamorato, ricambiandolo?
tu quoque, marilisa?
tu vuoi dirmi davvero che tutto tutto lo sbatti che ti sei portata dietro e hai curato con meditazione, yoga, analisi, karma si risolve riconoscendoti amata e amando un ragazzo? che bastava la relazione giusta?

non amavo la cinica,
ma io ci credevo.
tantissimo
."


E io invece di impazzire per la rabbia o perche' penso che abbia ragione e che ho sbagliato tutto e che devo tornare a Milano subito e diventare stronza e disperata le ho risposto:
"Non è la coppia. Perché a questo punto molti (alcuni) altri sarebbero potuti andare.
È avere tra le mani una cosa preziosa fragilissima gigantesca e minuscola. È desiderare. È un senso senza senso. È guardare oltre le apparenze. È credere e sentire  fermamente che a-mor=senza morte.
È superare se stessi. Non so che cosa sia, ma è atomico.

Non è che volevo deluderti.
Mannaggia.
Tutto il tragitto fatto è stato essenziale. La persona giusta non sarebbe mai arrivata.

Tu scambi il mio desiderio d'amore per un desiderio di coppia.
Sono due cose molto molto molto diverse.
E l'ho imparato."



A questa segui' poi una mail con 25 motivi di paranoie personali ma non di coppia, per mostrarle che non mi sono totalmente rincoglionita. Mi sono "solo" innamorata. Ma ora basta, non se ne parli piu'

Vice.com: la fatica della preziosità in mezzo alla milanesità/1

"Se non esci da te stesso, non puoi sapere chi sei."
"Qual è quell'ape che può dire, Questo miele l'ho fatto io."
"Nessuno può essere senza essere, uomo e donna non esistono, esiste solo ciò che sono e la ribellione contro ciò che sono."
"Se in questo momento sono sincera, cosa importa se domani dovrò pentirmene."
Citazioni sparse di Jose' Saramago


Ieri ho pubblicato su FB un link ad un articolo di Vice, intitolato Perche' a Milano sono tutti single.
Vorrei dire alcune cose al riguardo, che ci ho pensato quasi tutta notte, porco cazzo.
1. l'articolo mi fa molto ridere, perche' e' veramente il condensato di milanesita' piu' stereotipica che si possa immaginare, ma poiche' gli stereotipi da qualche parte una verita' la nascondono, e' tristemente e buffamente vero.
2. l'autrice dell'articolo, Tea Hacic-Vlahovic, si e' sposata, e ne ha parlato nel suo spazio su Vice.
Ora, il fatto che io segua un blog su Vice di una pazza che non so bene che cosa faccia nella vita se non fare la vita della  milanese, ovviamente non essendolo, e poi ogni tanto se ne va via, tipo a Los Angeles e poi ritorna e dice: ho ingoiato cazzi fino all'altro giorno e avevo giurato di farlo tutta la vita, ma ora mi sono sposata, ecco che io sappia tutte queste cose di una sconosciuta senza particolari talenti, almeno a me noti, che scrive su Vice, e' terribilmente milanese di importazione. Perche ovviamente nemmeno io sono milanese, bensi' sono di RdL, ma appunto non essendo autoctona in qualche forma la milanesita' mi ha aggredito ancor di piu'.
Tra l'altro scrivo anche un blog, che e', diciamocelo, un hobby molto milanese. Che cazzo ve ne freghera' a voi della mia vita e perche' ve la racconto sono misteri che nemmeno il mio analista (santo subito) mi ha rivelato ne' suppongo mi rivelera' mai. E che se il mio blog fosse stato pubblicato da Vice io sarei stata felice e' ovviamente scontato. Il che fa di me una Milanese d'importazione mentecatta.


Ok, fine del prologo
Perche' ora c'e' un fatto. Ho pubblicato il link su FB commentando "eh". Come per dire: "Ecco la spiegazione del male che affligge tutti noi".
But, you know what? Non sono single.
Ma questo biondo che mi ha rubato il cuore e mi ha quasi messo un metaforico anello di fidanzamento al dito (ecco, questa sara' l'unica cosa che saprete di lui, che e' biondo, il che ovviamente contraddice una delle mie regole sull'uomo ideale ma una soltanto) non avra' mai nome ne' verranno raccontate le sue gesta. Questa e' una promessa, fatta a me, a voi e anche a te, biondo, se leggi.
Perche' non ne parlero'? Ecco un po' di ragioni, disposte in ordine decrescente di stupidita'.
Perche' come dice Tea, questa famosa sconosciuta, se mandassi il biondo a prendere due drink durante una festa della moda a Milano, sono certa tornerebbe con entrambi. Anzi, probabilmente non ci verrebbe e io sarei a ridere o a soffrire d'invidia commentando gli outfit con i miei amici tendenzialmente gay. Anzi probabilmente mi convincerebbe con ottime motivazioni a non andarci e a fare altro. E avrebbe ragione, che in fondo la moda e' bella ma la gente della moda: aiutami! E perche' mai vi dovrei parlare a lungo di cotale meraviglia, che magari poi vi viene la voglia di conoscerlo?
Perche' non ho nessuna intenzione di iniziare a far coincidere la mia vita con la sua presenza (sua del biondo), in forma di parole immagini video per il decennale e tutto il corollario della vita felice spadellata con poco senso estetico su ogni social network ad uso e consumo del pubblico. Sono molto piu' felice ora, ma non sono mica tutta li'. E ho sempre un gran senso estetico .Che lui poi e' pure carino, ma sticazzi, perche' devo mostrarvelo? E soprattutto, non gli piacciono le foto. E non ha Facebook. Ripeto, non ha Facebook.
Perche' il livello del mio innamoramento e' incompatibile con la mia immagine da milanese cinica costruita negli ultimi anni. Un'immagine che mi andava un po' stretta ma in fondo calzava: nonostante non mi piacesse del tutto (l'ho sempre combattuta con letture intellettuali e forse intelligenti,  meditazioni e amicizie vere e non per PR) in realta' spesso la interpretavo completamente senza nemmeno accorgermene.
Perche' ho paura di diventare noiosa: mi piace continuare a giocare con le parole e con le varie componenti della mia personalita', soprattutto ora che e' un gioco sano, consapevole, tranquillo.
Perche', e questa e' seria, le cose preziose non vanno sciupate in chiacchere. Ma solo vissute, e fatte rinascere ogni giorno.







giovedì 6 febbraio 2014

L'angolo del cazzeggio ovvero sull'assenza del bidet in terra albionica ovvero sospetti complottisti sulla globalizzazione capitalistica

Stavo per scrivere un post molto pieno di senso, addirittura ero indecisa tra due linee di pensiero molto accurate e profonde che ho in testa.
Ma niente, non mi va.
Preferisco raccontarvi questo fatto e chiedervi un parere.
Ho appena letto un articolo su Wired dal trascinante titolo: Quante volte fare la doccia.
Perche' ho cliccato da Facebbok a Wired su questo articolo? Perche' la mia amica Silvia ha molto migliorato, direi risolto, un problema di dermatite che la tormentava da quando era bambina, semplicemente riducendo drasticamente il numero di docce settimanale. Ma ovviamente tutti ridiamo di lei per questo. Per una volta volevo darle ragione. Ecco Silvia, hai ragione tu.
Ma l'altro motivo per cui l'ho letto e' il seguente. Perche' mi sto facendo molte domande sul mio stile di vita, anche grazie all'immersione nella provincia inglese in cui il consumismo e' totalmente trasparente ai piu'.
Cio' che importa a chi compra  e' che il prezzo sia basso, ovvero ottenere bargains. Nessuna domanda sull'origine dei cibi, sui conservanti, sulla quantita' di cibo buttato, sulla salubrita' dello stesso, sull'impronta ecologica di uno stile di vita totalmente distaccato dalla realta' della natura. I mango e I lamponi venduti come se fossero broccoli e patate, vino da ogni angolo del pianeta, vestiti confezionati da bambini indonesiani ovunque. E cio' e' ancor piu' incomprensibile visto che il Lincolnshire sfama mezza Inghilterra. Ma anche mezza Europa, visto che M&S qui produce, a partire da materie prime fresche ed  originali importate dalle zone d'origine, tutto il cibo che poi viene smistato (surgelato o conservato) nei negozi del continente (tranne in Italia, perche' Marks and Spencer non c'e'. Ancora.).
Ma torniamo all'articolo. Il passaggio piu' rilevante e' questo: "Come ammettono I dermatologi britannici, avere a disposizione un bidet rende la doccia quotidiana non solo inutile ma dannosa".
Ecco. Bene.
Ma io vivo qui da 5 mesi e bidet non ne ho visti mai (ma mi sono attrezzata altrimenti, tranquilli)
Ho cercato di capire perche' e ho chiesto in giro. Dopo approfondite interviste ho scoperto che il bidet e' considerate antiquato. E' qualcosa, la cui funzione resta oscura, che ci si aspetta di trovare nella casa dei nonni, non in una casa moderna.
Quindi, ora io mi chiedo, e non posso non chiedermi: non e' che dietro la scomparsa del bidet in Inghilterra, ma anche in Francia, c'e' l'azione di qualche potente lobby del sapone&affini, che vuole farci fare la doccia tutti i giorni invece di lavarci il santo sederino dopo la cacca?



lunedì 3 febbraio 2014

Love, fellowship, the mystical oneness of all things deep down

Negli ultimi giorni ho un bruciante desiderio, che si manifesta con un'immagine ricorrente.
Io, seduta ad un tavolino di un pub di Boston con grandi vetrate (si', e' un Wetherspoon). Bevo una birra. Forse un cider. Le persone attorno a me chiaccherano. Sbircio le loro facce, Sento l'odore dei loro vestiti.  Rido guardando l'iPhone, sgranocchio una patatina salt and vinegar. Mi scombino i capelli. Una canzone, probabilmente Somewhere only we know nella versione della pubblicita,' suona.
E all'improvviso.
Mi esplode l'universo in testa. Saltano tutte le barriere. Io sono tutto. Tutto e' me. Sono il bicchiere, sono gli accenti, sono la pelle le ossa i capelli i pensieri e gli amori degli altri. Sono le patatine e la carta delle patatine. Sono le machine parcheggiate fuori, sono le stelle e sono la birra, nono e' cider, che mi scende in gola. E' tutto fermo. Tutto si muove. Nessuno se ne accorge. Siamo cambiati tutti.
E non ho paura. Sono felice, sorrido, respiro.
Una sorta di orgasmo cosmico. Quello che forse si trova nell'LSD ma non lo so perche' la mia paura di perdere il controllo mi ha sempre, ahime, tenuta lontana. Finora. Quindi non dite che questo post e' un effetto collaterale di qualcosa (anche perche' ormai sto in ritiro spirituale a Boston da 4 mesi...)


Ma nonostante sia bellissimo e vorrei mi accadesse, e mi trovo a desiderarlo mentre taglio il sedano o cammino per strada o scrivo o faccio yoga o la doccia,  la tuttunificazione (parola presa in prestito, spero che l'autore non ne abbia a male, spt perche' mi sa che la sto scrivendo sbagliata) insomma quella cosa per cui tutto diventa tutto e io divento tutto e tutto diventa me e sento tutto e sono felice e non sono piu' niente e sono felice e sento la linfa scorrermi dentro ma anche il sangue e sono qualsiasi cosa ma resto me, ecco, questa cosa purtoppo non si ottiene a caso.
Anche a Siddartha Gautama l'illuminazione e' costata anni di meditazione e tentativi e cambiamenti di idea e solitudini e amicizie e scelte e affinamenti della percezione e coraggio.


Non c'e' niente che accada in un attimo.
Eppure tutto accade in un attimo.

domenica 2 febbraio 2014

Storia di una caduta in bicicletta.

Avro' avuto 9 anni. Ero una bambina tendenzialmente solitaria, con un carattere cosi' accomodante che mio padre mi aveva soprannominato vipera.
Era estate, e in quel periodo il mio passatempo preferito era fare il giro dell'isolato in bici, pedalando velocissimo fino in cima ad una piccola cunetta, da cui poi mi lanciavo senza pedalare.
Usavo la bici di mia mamma (che mi rubarono poi molti anni dopo in stazione a RdL, mentre un treno mi portava a Milano dove sarei diventata dottoressa in Lettere tra ciellini e cinefili).
La bici era viola, tipo color melanzana, ed era provvista di un bloccasterzo sulla ruota anteriore. Tu giravi una chiavetta, ed usciva un perno bloccava la ruota, in tre diverse angolazioni.
Oltre che solitaria ed accomodante, ero anche curiosa. E mi prese l'ardente bisogno di sapere che cosa sarebbe successo se avessi bloccato la ruota durante la discesa.
Avevo la percezione che avrebbe potuto essere pericoloso. Infatti non riuscivo a decidermi, poi a mezzogiorno di un giorno d'agosto dei tardi anni '80, quando ancora gli italiani andavano in ferie tutti insieme e le strade erano deserte, mi decisi.


Pedalo velocissimo e poi appena la strada imbrocca la discesa, sollevo i piedi dai pedali, che iniziano a girare vorticosi. Giro la chiavetta. Il manubrio si blocca. Mi fa ridere, ci ho provato. Euforia. Pero' ora basta. Tento di sbloccare il manubrio. Non riesco. C'e' una macchina parcheggiata che si avvicina, anzi sono io che mi avvicino. Riprovo. Niente da fare, non si sblocca.
Mi butto a terra. Lancio la bici un attimo prima che colpisca la macchina parcheggiata e rotolo sull'asfalto bollente.
Tremo. Piango, sanguino. Mi sono grattata ginocchia e gomiti e mani. Fa malissimo, brucia. Temo la reazione di mia mamma, che prepara le valigie per andare a Milano Marittima.
Entro in casa facendomi compatire. Ivonne, la madre, e' in effetti poco contenta, e poco amichevole.
Dico che sono caduta dalla bici, senza dire come, e mi sottopongo alla tortura dell'acqua ossigenata che ribollendo dovrebbe levarmi le particelle d'asfalto dalla ferita, ma che in realta' crea una crosta bianca e solidissima, che mi accompagnera', bruciando, per le due settimane di bagni in mare. E pure nella piscina dell'albergo, dove mi fecero misteriosamente entrare nonostante sembrassi una lebbrosa.


Nessuno dei miei atomi e' lo stesso di allora. Ma ho ancora ombre delle cicatrici.