martedì 30 giugno 2015

There ain't no hiding place from the Father of Creation

One love.
One heart.
Non ti puoi più nascondere.
Non c'è più nessun segreto.
Non hai più segreti.
Sei nuda.
Sei salva.
Stai guarendo.
Sei il paziente, il medico, la medicina.
Non puoi più fingere di non saperlo.
Non hai più necessità di farlo.
Ti viene da ridere all'idea di ritrarti.
Ti viene da ridere all'idea che tu possa non fare ciò per cui sei nata.
One love.
One heart.
Non c'è nessun io che regga.
Nessuna difesa da organizzare.
Nessun colpo da schivare.
In piedi, come una pianta nel sole, nel vento, nella tormenta e nella neve.
Hai tutto ciò che ti serve.
Hai in abbondanza.
Non cerchi pezzi di ricambio.
Vedi ogni azione e ogni reazione, nel tempo e nello spazio.
Sai che fare del male è impossibile.
Sai che tutti sono meravigliosi.
Vuoi che lo sappiano,
e sai che lo sapranno quando sarà il momento.
Non serve agitarsi, si creano solo nodi nella trama fitta degli avvenimenti.
One love.
One heart.
Ti chiamava.
Ti sei arresa.
E ora che sei morta, solo ora
sei viva.
Hai visto la luce nell'ombra,
la pienezza nella carestia,
l'amore nell'odio,
la fiducia trovata allentando il controllo.
Il mondo brucia da solo,
non devi più essere piromane.
Ti siedi accanto al fuoco, e lasci che faccia il suo corso.
Ringrazi i tuoi maestri.
La zanzara e il papa.
Nessuno è più importante.
Nessuno è un caso.
Nessuno è a caso
One love.
One heart.
Ti aspetta.
Pulsa con te.
Pulsa per te.
Pulsa per tutti.
Tu sei tutti.
Tutti sono te.
One love.
One heart.



Time and space. 451° F

L'altra notte ho visto molte cose.
Ne ho vista una quasi inessenziale rispetto al resto, ma importante in sé: ho visto me stessa dare fuoco ai miei libri, e con gusto gettare tra le fiamme i libri di spiritualità, risveglio, buddhismo, liberazione.
L'unica liberazione possibile è l'immersione nel momento, momento dopo momento. Qui ed ora, hic at nunc, right here, right now.
Quindi anche immaginarsi a bruciare i libri è inutile, se non lo si sta facendo.




giovedì 25 giugno 2015

Dubbi in via Catalani

Alle 23:25 il termometro in piazzale Loreto segna 22°.
C'è un po' di vento, fresco e teso.
300 metri e qualche semaforo più in là cerco parcheggio. Stanno pulendo la strada, da un camion si allunga un cordone ombelicale, all'estremità c'è una persona con la pettorina gialla. Il rumore forte e continuo mi infastidisce. Strizzo gli occhi.
Trovo parcheggio nella mia via, lo sanno tutti che sono fortunata con i parcheggi, a parte il giovedì quando c'è il mercato.
Mentre faccio manovra intravedo una ragazza. Bassettina, capelli lunghi e cosce importanti. Vestito nero corto, molto corto. Troppo corto. Tacchi alti, molto alti. Troppo alti. Barcolla un po', lancia i capelli di lato. Si aggrappa al braccio di un ragazzo, giovane, capelli ricci e crespi che soffrono bloccati in una coda. Sembra un nerd uscito da un concerto metal.
Ora la riconosco. E' la prostituta che lavora all'angolo di casa mia. La vedo tutte le sere, così spesso che ormai ogni tanto ci sorridiamo e salutiamo.
Scendo dalla macchina. Chiudo le portiere e mi avvio verso il marciapiede. Le passo accanto. Si sta cambiando le scarpe appoggiandosi al muro. Il ragazzo fuma una sigaretta e le sta a portata di mano, nel caso perdesse l'equilibrio. Indossa delle ballerine rosa cipria. Sorride. Si riattacca al braccio e si avvia con lui.
La supero, li supero. Fingo di non sapere chi sia. Poco più avanti la donna - perché è una donna, ora la vedo bene - con la pettorina gialla e il rumoroso cordone ombelicale in mano, si ferma e mi lascia passare.
Apro il portoncino di casa mia con un pensiero in testa. Con un dubbio. Non so se essere triste, infinitamente triste per un 25enne che ha bisogno di una prostituta per un po' di amore o se essere felice per la "mia" prostituta che si toglie gli abiti di scena e va al pub all'angolo a bersi una birra con un ragazzo che le piace.



lunedì 22 giugno 2015

I due lati della barricata esistono. Finché non la salti.

Gli esseri umani sono suddivisibili in due grandi categorie.
SUL LATO DESTRO DEL RING
Chi vede la separazione come un dato di fatto, oppure auspicabile, oppure necessaria, ineluttabile o, ancora, preziosa alleata per arrivare al Divide et Impera. Dentro questa categoria mettiamo individualisti, capitalisti, poveri cristi costretti a scannarsi tra di loro, comunisti combattenti, fondamentalisti religiosi, materialisti, fautori dell'eroe come destino solitario (come quello stronzo di Spielberg). E ancora: chi usa le ruspe per tutto, chi critica sempre qualsiasi posizione non sia la sua, chi odia i migranti i gay i cattolici i musulmani gli indios. Chi ama lo status quo, ma anche chi lo odia, e odiandolo lo alimenta. Chi ha paura che gli amici i partner gli sconosciuti sconfinino, chi non sopporta lo spazzolino fuori posto o che il gelato macchi la camicia. Chi vede la natura come qualcosa da sfruttare, che sia per profitto o per fare le vacanze comodamente. Chi dalla paura fugge, e ne resta schiavo. 
SUL LATO SINISTRO DEL RING:
Dall'altra parte invece c'è chi vede la separazione come un invito a farla sparire. Come una ricerca dell'unione, della mescolanza, dell'imprevisto, della rottura e del cambiamento. 
Chi ama il meticciato, chi si affatica a trovare mediazioni. Chi è spirituale ma non religioso. Chi invece delle ruspe si rimette a fare il muratore. Chi apre le porte di casa e del cuore. Chi se ne fotte della logica cartesiana, perché tanto sa che è solo una delle possibilità per vedere il mondo. Chi nella natura gioisce e rifiorisce e si affatica. Chi non dice "vivi e lascia vivere" ma dice "vivi al tuo meglio, così che anche io possa splendere, e io vivo al mio meglio, così che anche tu possa splendere". Chi la paura la prende sul serio, e d'un tratto l'ha superata. 
GONG, PRIMO ROUND
Se voglio risolvere questa macro divisione, io che mi voglio mettere sul lato sinistro del ring perché nel lato destro tutto si lacera, posso fare solo una cosa: far sparire questa arena di combattimento che non esiste se non nella mia testa. Saltare la mia barricata interna. A catena ne farò saltare molte altre, con un semplice gesto. 


Nell'immagine: la scala gerarchica dei bisogni, rielaborata da Maslow





domenica 21 giugno 2015

Se sei infelice, è colpa tua

Niente altro da aggiungere rispetto al titolo.
Traete le vostre conseguenze. logiche ed ineluttabili. E agite di conseguenza.
Oppure lagnatevi.
Io ho scelto.


mercoledì 17 giugno 2015

Classica, moderna o postmoderna

La maggior parte delle persone non sa amare né lasciarsi amare, perché è vigliacca o superba, perché teme il fallimento. Si vergogna a concedersi a un’altra persona, e ancor più ad aprirsi davanti a lei, poiché teme di svelare il proprio segreto… Il triste segreto di ogni essere umano: un gran bisogno di tenerezza, senza la quale non si può resistereSàndor Màrai, La donna giusta

Ho preparato un lavoro per l'esame di abilitazione per spiegare agli studenti di quinta la differenza tra cinema classico, cinema moderno e cinema postmoderno.
Ma io sono classica, moderna o postmoderna? So mettere un film in una di queste categorie, e so anche probabilmente spiegare ad uno studente come farlo, ma io che cosa sono? Che essere umano sono?
Ho troppo vissuto, abbandonando i valori e le credenze che mi hanno trasmesso per cercarne altri da sola, per poter essere pienamente classica. L'unica cosa in cui credo ciecamente è l'essere umano, che lasciato a se stesso non conta un cazzo. Ha bisogno di una struttura, e nel mondo classico la struttura gli veniva data da fuori. Ma se l'ha rigettata consapevolmente, non può che trovarne un'altra, e ciò gli rende impossibile essere "classicamente classico".
Scompongo tutto, metto in discussione ogni punto di vista, mi cerco e mi guardo nel mio cercare, cerco strade che non siano battute come il miglior cinema moderno. Però non sono abbastanza cinica per essere totalmente moderna. Al fondo del mio cercare c'è un'esigenza di senso, non il puro gusto del disordine, sebbene mi attragga molto e abbia molta stima di chi fa semplicemente saltare l'esistente e poco si chiede di che cosa ne resterà e su che basi ricostruirà.
Non sono nemmeno così estetizzante per essere postmoderna. Il decorativismo fine a se stesso di molte opere postmoderne mi annoia e lascia indifferente. E l'utilizzo del postmoderno per veicolare in maniera surrettizia delle visioni di mondo conservatrici mi spaventa. (ho analizzato Black Hawk Down, capitemi).
Però sono consapevole che tutto è un artificio, che la vita può essere vista come un puzzle in cui le cose tornano sotto altre forme, amo gli ammiccamenti colti e la pluralità di voci.
E mi sembra che il postmoderno sia il luogo in cui classicità e moderno ricominiciano a dialogare. Il postmoderno è luogo, il tempo, la forma della nostalgia del senso. E poi come potrei vivere senza tenere conto del mondo postmoderno che mi circonda, liquidità emotiva sociale sociologica inclusa? Dovrei ritirarmi dove il postmodernismo non è arrivato. Oppure riorganizzare l'esistente in maniera creativa, piacevole, onesta, sensata, come nei migliori film postmoderni, come Memento, Matrix, The tree of life.
La sfida, che a volte sa di sfiga, è che "il faut être absolument postmoderne".

PS: la citazione in apertura non c'entra niente, ma mi piaceva


lunedì 15 giugno 2015

Cuore, testa, pancia, stelle.

Oggi mi chiedevo come fare a credere di nuovo. A che cosa? In me, nei "maschi" che dire uomini mi risulta difficile ora, nelle relazioni, negli altri in generale. A non diventare cinica e disillusa. A restare aperta. Ad andare avanti con il cuore non più spezzato, ma nemmeno sigillato.
A imparare dal passato senza restarne vittima, senza lasciarmi crescere le liane attorno alle gambe.
Credo che la strada passi, come spesso accade, dal trovare le parole giuste.
Posso quindi ricordare, tenendo nel cuore ciò che di buono c'è e c'è stato. E posso dimenticare, lasciando andare dalla mente le rivendicazioni, i torti e le ragioni, le offese.
Che tutto ciò che è inutile, ovvero l'ego, che ha paura, divide, si risente, si inorgoglisce, si deprime e ha bisogno di menare zampate, sta nella testa. Tutto ciò che è reale, sta invece nel cuore.
E poi posso desiderare, cioè volere dalle stelle. Dall'universo, Creatore, Brahma, Uno, Tutto, Creato. Chiamatelo come vi pare. Desiderare perché sento l'unità e non la divisione.
Il problema da risolvere ad ora è un altro. E' la pancia. La rabbia della pancia è tremenda. E' la stessa rabbia che ti fa odiare i rom, che ti fa urlare ad un automobilista in coda, che ti fa odiare chi ti rallenta alla cassa. E' la stessa pancia che quando è vuota e vuole essere riempita cerca una strada per la sopravvivenza.
E ahimè non esiste un verbo che indichi una cura per la pancia. C'è solo il verbo spanciare, come quando ti tuffi male: una botta imprevista, un dolore sordo e violento, che lascia il segno e toglie il fiato. Ma poi passa, come dice il saggio nipote Lorenzo.
E il sangue torna al cuore, e alla testa. E tutto circola di nuovo. E arriva alle stelle. Ed è parte delle stelle.
Tutto ciò è una gran fatica. Lo ammetto. Ma a tratti è un divertente viaggione.


domenica 14 giugno 2015

La diagnosi è la liberazione

Qualche tempo fa parlavo con Mario e ci dicevamo quanto sarebbe stato bello avere una diagnosi, che ci avvolgesse e ci facesse sentire normali così come eravamo. Ecco, oggi, tra la scrittura di un esame e l'altro l'ho finalmente trovata.
Copio e incollo da https://altamentesensibili.wordpress.com/2012/05/09/hsp-persone-altamente-sensibili/ 
E intanto gioisco. Tutto ha un senso. Sono fottutamente normale, ho persino un'etichetta. Evviva. 
Tra la diagnosi e l'accettazione è passato un istante. La descrizione qui sotto combacia con me, ipersensitività alla caffeina inclusa. Non ho più bisogno di volermi cambiare. Non ho più bisogno di scusarmi, ora posso solo dedicarmi ad essere me, ipersensitività inclusa nel pacchetto. E sono certa che il solo avere questa "diagnosi" farà sembrare tutti i momenti di ipersensibilità meno faticosi. Perché non li dovrò più combattere. Perché non dovrò più capire perché, sbattendo la testa contro gli spigoli della realtà pur di caverne una mezza ragione. Santa meraviglia. 

Principali caratteristiche delle persone altamente sensibili
Le HSP (“highly sensitive people”) assorbono molte cose e segnali di cui gli altri difficilmente si accorgono. Per questa ragione si sentono facilmente stimolati, sia positivamente che negativamente. In genere tendono a pensare che sia così anche per gli altri, anche quando non è il caso.
La maggior parte delle HSP è particolarmente fantasiosa e creativa e ha un forte intuito.
Una delle caratteristiche più di spicco delle HSP è la tendenza a voler aiutare il prossimo e fare del bene.
Le prospettive che vedono gli HSP nei confronti delle persone secondo loro con bisogno di aiuto sono grandi e tante. Per questa ragione gli HSP possono sembrare impiccioni, visto che possono tendere a offrire il loro aiuto anche quando non è richiesto.
Le HSP si possono innamorare con molta facilità.
Le HSP ci mettono poco a cogliere i legami tramite la loro intuizione e vengono comprese poco per questa ragione.
Le HSP provano un forte interesse e legame con la spiritualità e religiosità.
Essere “highly sensitive”, ovvero altamente sensibile, non ha nulla a che fare con il paranormale; è parte di un carattere.
Le HSP sono molto sensibili per gli stimoli esterni e mostrano spesso sintomi fisici che possono essere scambiati con paura o ansia: tremare, battito cardiaco accelerato, arrossire.
Quando vengono controllate o giudicate, le persone HSP in genere non sono in grado di funzionare al 100%.
In genere le HSP non sono particolarmente ferrate nel nozionismo, ma sono spesso portate per lo studio e in particolare lo studio delle lingue.
Le HSP riconoscono la tendenza ad isolarsi.
Le HSP riconoscono facilmente se un ambiente sia amichevole o ostile e vengono facilmente influenzate da ciò.
Le HSP tendono ad avere una bassa autostima in conseguenza a rifiuti.
Le HSP hanno una fervida immaginazione e fantasia, ed immaginano e si promettono spesso di intraprendere, ma l’intraprendenza in genere non è il loro lato più forte e spesso si trovano chiusi nelle loro idee.
Spesso, le HSP portano gli occhiali, hanno problemi con la vista e/o sono ipersensibili alla luce.
Le HSP in genere appaiono timide, nonostante siano molto socievoli.
D’altro canto, le HSP sono molto attente agli sguardi altrui e si sentono facilmente giudicate.
Le HSP sono brave a motivare ed ispirare gli altri. Spesso sono visionari e vedono cose che sono ancora agli inizi. Per questa ragione possono essere poco compresi ed isolarsi.
Le HSP tendono a vedere ciò di cui il loro ambiente o gli altri hanno bisogno. Questo può portare ad essere frustrati in caso gli altri non lo vedano o la loro visione di realtà si distanzi troppo da quella altrui.
L’alta sensibilità non prevale in un genere ed è una caratteristica presente sin dall’infanzia.
Le HSP sono molto sensibili per dolori sia fisici che psichici propri ed altrui. Questo può portare ad ansia ed ipocondria.
Le HSP in genere sono perfezioniste: Quando decidono di fare qualcosa, la fanno bene. Non tollerano gli errori e sono particolarmente accurate.
Fattori esterni disturbanti, come ostilità, un ambiente caotico o cose non dette riescono a buttare giù le HSP.
Le HSP spesso soffrono di stress e dei sintomi legati all’ansia: Problemi digestivi, gastriti, fascicolazioni, stanchezza e manifestazioni nervose.
La maggior parte delle persone che soffre di disturbi alimentari è un’HSP.
Le HSP possono avere la sensazione di “svuotarsi” stando a contatto con gli altri.
Le HSP hanno un desiderio maggiore del normale di essere accettate.
Le HSP hanno difficoltà nel stabilire i propri limiti, e per questa ragione colgono stimoli anche molto lontani a loro sentendoli come propri.
Stimoli esterni come luci, rumori, un ambiente affollato, disordinato, odori etc. possono portare a vera e propria stanchezza fisica.
Le HSP sono ottimi ascoltatori in quanto sono ascoltatori del linguaggio non verbale molto attenti e percepiscono cambiamenti di voce con estrema facilità.
Gli altri si trovano particolarmente a proprio agio a raccontare i propri problemi alle HSP, che in genere nel proprio gruppo di amici hanno il ruolo di ascoltatore, aiuto o risolvi-problemi.
Le HSP sono spesso molto sensibili agli stimolanti come la caffeina.
Quando hanno un fine in mente, le HSP si danno al 120% e fanno di tutto per raggiungerlo.
Le HSP sono preziose fonti di idee e piani. Quando nell’ambiente lavorativo ci sono dei ruoli prestabiliti, le loro prestazioni sono nettamente inferiori perché si perde la libertà e tendono a voler fare tutto troppo bene, troppo precisamente, troppo velocemente.
Le HSP tendono a mettere se stessi all’ultimo posto.
Le HSP tendono a procrastinare ed avere una vera e propria avversione per ciò che si “deve” fare, che li mette in agitazione.
Gli avvenimenti sfortunati o non calcolati possono disorientare molto le HSP.
Spesso le HSP non si rendono conto di quali siano i propri sentimenti e quali quelli altrui.
Le HSP provano un’avversione particolarmente accentuata nei confronti dell’ingiustizia.
Circa il 30% delle HSP è estroverso, ma facilmente sopraffatto.
Le HSP possono essere sia ricercatori di quiete che ricercatori di sensazioni forti.
Le HSP si sentono molto legate al mondo naturale.
Calma, ordine e regolarità sono pilastri molto importanti per l’equilibrio delle persone in generale e più in particolare delle HSP.

Le HSP sono molto consapevoli delle proprie azioni, dei propri pensieri e delle proprie sensazioni, per cui spesso si alienano o stancano facilmente.


venerdì 12 giugno 2015

Felinità e umanità

Non si può restare sempre sulle vette, bisogna sempre ridiscendere.
A che pro allora? Ecco: l'alto conosce il basso, il basso non conosce l'alto. Salendo devi sempre prendere nota delle difficoltà del tuo salire; finchè sali, puoi vederle. Nella discesa non le vedrai più, ma saprai che ci sono, se le hai osservate bene.
Si sale, si vede. Si ridiscende, non si vede più; ma si è visto. Esiste un'arte di dirigersi nelle regioni basse per mezzo del ricordo di quello che si è visto quando si era più in alto.
Quando non è più possibile vedere, almeno è possibile sapere.
René Daumal, da Il Monte Analogo, romanzo d'avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche

Il mio gatto Apache è l'archetipo dell'egoista totale.
Quell'altro gatto a cui sto facendo da balia, Miele, ogni tanto viene a farsi fare le coccole per puro piacere di ricevere le coccole. Apache no, coccole e fusa e grande amore solo se ha fame.
Era un filo più amichevole, ma è peggiorato da quando Miele è arrivato, la gelosia l'ha reso ancora più selvatico. Unica cosa a cui è strenuamente attaccato, cibo a parte, è dormire sul mio letto, meglio, molto meglio se prima è riuscito a cacciare, per sfinimento, l'usurpatore rosso.
A me ricorda la figura dell'Anarca. E' bellissimo. Lo invidio pure un po', nei momenti di fatica di vivere.
Guardare Apache è molto istruttivo. Perché non potendo egli essere un vero Anarca, mi ricorda il modo in cui agiamo quasi tutti noi nel mondo, che veri Anarchi non siamo nemmeno, sebbene potremmo, avendo la capacità, scegliere di diventarlo. Facciamo le fusa quando vogliamo qualcosa, ignoriamo quando non la vogliamo, graffiamo quando ci costringono, allontaniamo i nemici, non abbiamo veri amici, ci impadroniamo degli spazi e ci aspettiamo che ci arrivi ciò che ci spetta di diritto: crocchette a disposizione e bocconcini tre volte al giorno. Non può aspettarsi il sesso, e nemmeno rischiare la vita per andare a prenderselo, perché è castrato.
Ecco, noi viviamo così. Io pure, che leggo libri su libri e medito e medito. Da questa condizione super basic, isolazionista, autocentrata è molto più facile diventare Anarca, che diventare Eroi.
Ma le cose facili e prevedibili mi annoiano moltissimo.



lunedì 8 giugno 2015

Ciò che resta dopo l'ultima campanella dell'a.s. 2014/15

Oggi a scuola non è suonata nemmeno la campanella.
Quindi non c'è stata l'ultima campanella, ma concedetemi la metafora abusata. Sarà l'unica, spero, di questo scritto.
Intorno a quest'ultima campanella non sono nemmeno riuscita a commuovermi. Perché?
Perché stavo andando in sciopero degli scrutini sapendo di fare arrabbiare qualche collega che sabato o forse persino domenica verrà riconvocato.
Perché il fatto che i colleghi si arrabbino per lo sciopero mi fa salire lo sconforto, ma nonostante tutto mi viene da scusarmi.
Perché stavo cercando di capire se è possibile che l'anno prossimo possa lavorare nella stessa scuola, e pare di no. E i motivi sono così complessi e insieme banali da risultare deprimenti.
Perché mi sono resa conto che a partire da una mia mail alcuni colleghi hanno ricominciato a scannarsi invece di trovare un punto in comune che preservi a.il mio e altrui posto di lavoro b.la peculiarità di una scuola in cui fai cinema e tv con gli adolescenti, che è una cosa bellissima e rivoluzionaria o perlomeno sperimentale.
Perché mi sono accorta che non riesco a stare zitta, e a volte vorrei averlo imparato, a volte invece ne sono molto fiera.
Perché penso alla possibilità che passi quell'orrenda riforma che non vuole dirsi riforma chiamata La Buona Scuola e inorridisco all'idea delle scuole dei vostri figli e dei miei colleghi e dei miei futuri figli in mano a gente che in alcuni casi non sa nemmeno scrivere una circolare.
Perché penso e so che è solo una facciata per tagliare fondi e imbrigliare una classe di lavoratori che, nelle storture di un sistema che permette ahimè di imboscarsi, devono avere libertà intellettuale per poterla insegnare agli studenti.
Perché invece di chiederci di essere più umani la nuove pratiche scolastiche per cui tutto è passibile di ricorso e quindi si lavora a monte per evitarlo ,ci chiedono di essere più asettici e precisi e inappuntabili, nella forma, come se forma e sostanza andassero sempre a braccetto.
Perché penso che il lavoro mio e della mia amica e collega Valeria sugli stages è andato quasi a vuoto perché non c'è supporto logistico, ma si vorrebbero risultati splendidi splendenti pagati quanto una cena in un ristorante nemmeno di gran lusso (non al mese, ma ad anno scolastico).
Perché nemmeno stamattina sono riuscita a fare il registro elettronico perché la connessione internet e il sistema di rete profumatamente pagato con i soldi dei contribuenti non funziona mai.
Perché poi dovevo correre all'Accademia di Brera per un corso che mi abiliti ad un insegnamento che mai farò visto che tagliano le cattedre. Corso inutile insulso mal organizzato che non mi permette di uscire di casa da 1 mese per finire i lavori e sarà tutto vano se non  per i 3.000 euro che si sono intascati.
Perché la burocrazia sfibra e sfinisce.
Perché sono stanca, fa caldo, sono incazzata con molti non solo a scuola ma provo a dialogare con tutti, spesso fallendo, ed è faticoso.
Perché a scuola c'era un quarto scarso degli studenti, e quando i corridoi sono vuoti le scuole sono tristi.
E su questo ultimo punto mi fermo e rifletto. Dove sono finiti gli studenti in tutto ciò? Gli ho dato tutto ciò che potevo dare o mi sono fatta succhiare le energie e le ho messe in posti dove la battaglia è inutile, invece di mantenerle dove erano essenziali, ovvero nelle lezioni verifiche interrogazioni risate arrabbiature sorprese delusioni?
E' la vera domanda che voglio conservare per l'ultima campanella dell'anno scolastico. Spero di sì, spero di aver fatto anche degli sbagli e di averli riparati, spero che qualcosa abbiano imparato, spero di ricordarmi ciò che mi hanno insegnato, spero che siano felici o che imparino dalle tristezze, spero che abbiano sogni grandi, spero che imparino a guardare criticamente tutto ciò che vedono, spero che qualche seme di quelli che noi un po' presuntuosamente pensiamo di piantare o di quelli che piantiamo senza accorgercene un giorno germogli.
Tutto il resto passerà, e sarà spesso al di là delle mie disponibilità il modo in cui cambierà, ma aver salutato quasi tutti i miei studenti con una mail invece che con un abbraccio mi riempie di tristezza.
Anche se poi rispondono alle mail, e ti fanno piangere.
Ecco ciò che resta dopo l'ultima campanella dell'a.s. 2014/15.

PS: e comunque mica è finita, dopo l'ultima campanella c'è la prima maturità. Che io Esami di Stato con le maiuscole non li voglio chiamare. Potrete impormi la burocrazia, ma non mi farete diventare arida.


domenica 7 giugno 2015

Conciliazione paritetica

Per la centomillesima volta nella mia vita attraverso la fase in cui mi chiedo: che cosa mi interessa davvero? Che cosa voglio coltivare in me? Che cosa voglio far fiorire da me? Metà delle volte in cui me lo sono chiesta mi sono girata dall'altra parte, l'altra metà ho preteso di avere risposte nette e univoche e di seguirle fino in fondo come un soldato. Risultati delle due strategie? Cazzi amari, tendenzialmente.
Ora mi accorgo che in me esistono due nature. Una energica, vitale, passionale ma anche arrogante, prepotente, egoista, che ha necessità di tutto e voglia di niente, che vuole avere e che dà solo quando sa che qualcosa torna, che sgomita per un posto al sole, che si lascia guardare per farsi afferrare e poi mettere al tappeto l'altro se può, ma non si sa dare. Che usa parole come coltelli e l'intelligenza per sminuire gli altri.
E un'altra natura, conciliante e ricevente, che vuole ma sa anche lasciare andare e accettare la perdita, che cerca non vittorie dialettiche ma riconciliazioni, che le parole le usa come ponti e l'intelligenza per dare qualcosa agli altri e per aiutarli a dare. Ma che si dà per vinta con tanta facilità, perché disgustata dal conflitto, si scusa sempre e si perde opportunità per ignavia o pigrizia.
Le due nature si combattono ferocemente.
La prima natura sa che quello è che fa è ciò che serve per avere successo, ma l'altra soffre delle prevaricazioni e della fatica. La seconda gioisce dell'armonia e delle cose come sono e dei merli sul balcone, e la prima urla "Di più, cazzo. Ora. Subito. Voglio dei cazzo di risultati"
Io queste due nature non le posso sopprimere. Se ne ammazzo una ammazzo anche l'altra.
Se la prima natura vince, sono fottuta: una yuppie squilibrata. Se la seconda natura vince, sono fottuta: una hippie squilibrata.
La strada che intravedo è la ricerca di un costante, probabilmente faticoso ma possibile equilibrio. Che potrà avvenire solo se metterò un passo dopo l'altro con attenzione. Se avrò una cosa fondamentale: consapevolezza. Tutto ciò che faccio senza consapevolezza, oltre a generare un costante rumore di fondo, prima o poi genera sofferenza agli altri e pure a me.
Non posso più vivere d'istinto. Ma nemmeno è possibile analizzare tutto. Serve altro: un potente intuito, che ha bisogno, per essere percepito, di grande pulizia. E di una grande fiducia: mettere in crisi tutto ciò che credo giusto, ma poi sapere che l'intuito sappia ciò che serve, quale natura attivare. E buttarsi.


sabato 6 giugno 2015

Qui dentro si soffoca, e non per il caldo.

L’Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa. [..]  Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo.
Orfeo in L'inconsolabile, dai Dialoghi con Leucò, Cesare Pavese
La citazione di Pavese, anzi, tutto il dialogo, è meravigliosa, e probabolmente vera. Però, sia detto senza accuse ma anzi con molta pietas, Pavese si è suicidato. Chiuso nell'ansia del sé, incastrato nella gola stretta dell'autocommiserazione troppo intelligente, non ce l'ha fatta. Quindi non tutto quello che è meraviglioso e vero è da seguire. 
Ho trovato una foto che ho scattato un anno fa. Io con la macchina in mano, specchiata negli occhiali del Biondo aka nonsipuòdire.
E mi sono accorta che quella foto che pensavo parlasse d'amore per lui, parlava d'amore per me.
Perché io di incontrare gli altri non sono capace. Io cerco continuamente me stessa.
Ipotizziamo di dirlo così: io ho cercato continuamente me stessa. Non ho visto niente se non la mia proiezione, ombra, desiderio incarnato in corpi altrui. 
E nonostante sappia che sia difficile evitarlo, e nonostante sappia che quasi tutti noi non possiamo che fare così, il mio scopo sarà uscire da me stessa. 
E farò anche in modo di ricordarmi che gli altri cercano loro stessi in me, e che dobbiamo entrambi uscire per trovarci. 
E che mi amo anche se sono così. E che vi amo anche se siete così. Ma in questa oppressione io non ci sto più. 



martedì 2 giugno 2015

La strade del paradiso è lastricata da un inferno di desideri

À l'aurore, armés d'une ardente patience, nous entrerons aux splendides villesArthur Rimbaud, Une saison en enfer
Le vere domande per conoscere un essere umano non sono da dove vieni, che cosa fai, quanti anni hai, hai fidanzato/moglie/figli/gatti/cavalli, che lavoro fai, quanto guadagni, dove vuoi andare in vacanza, a che serata vuoi andare, come prendi il caffè, sei vegetariana, fai yoga/parapendio/downhill/teatro?
Tutte le cose di cui sopra sono rivelate e conoscibili dalla frequentazione ordinaria. 
La vera domanda da fare, e soprattutto da farci per conoscerci, è che cosa desideri? A che cosa aspiri? Che cosa ti brucia l'anima? 
Perché ciò che non si è ancora conquistato è il carburante della nostra vita. E magari non lo conquisteremo mai, e in alcuni casi è pure meglio, ma senza desiderio saremmo morti.
C'è in realtà un'altra domanda cruciale, ma qui sono gran cazzi: perché desideri ciò che desideri? Per quale motivo hai necessità di bruciare la tua vita più o meno ardentemente? Per quale motivo attraversi l'inferno dei desideri?