giovedì 28 maggio 2015

But now you see the light, stand up for your right

You can fool some people sometimes  
But you can't fool all the people all the time
Get up, stand up Bob Marley


Mettiamo un impegno spropositato, tutti noi esseri umani sulla Terra, nel cercare modi per dare agli altri quello che immaginiamo li possa interessare, piacere, rassicurare, stupire, attrarre verso di noi. Ciò che ci consentirà di "fare bella figura", di parere conformi alle loro aspettative, che però vediamo con i nostri miseri occhi. Quindi in fondo vogliamo essere conformi alle nostre aspettative su noi stessi, e alle nostre aspettative sugli altri. Aspettative che una società fondamentalmente oppressiva e un'educazione autoritaria e sicuramente non autorevole ci ha fatto percepire come giuste e desiderabili. 
E mentre lo facciamo ci rendiamo immensamente ridicoli e tristi e schiavi. Ridicoli perché gli altri, se non tutti almeno qualcuno e generalmente chi amiamo di più, sa che stiamo cercando di fotterli. E prova compassione per noi. E ci rendiamo tristi, perché l'unica cosa che vorremmo è essere veri e toccare gli altri ed essere toccati. E ci rendiamo schiavi perché ci obblighiamo ad essere finti, e perché obblighiamo gli altri ad essere finti. 
Una schifezza totale. In genere va così. 
Però non sempre, e questo è ciò a cui possiamo restare attaccati, che ci dà speranza, che ci fa alzare dal letto ogni giorno, almeno a me. Ogni tanto strappiamo o conquistiamo o stacchiamo dolcemente o ci regalano brandelli di verità, sia a noi sia agli altri, brandelli così puri e potenti che ci commuovono riempiono spaventano spingono a cambiare.
Io quando muoio vorrei essere avvolta in un'invisibile coperta patchwork fatta di tutti i momenti in cui sono stata vera, in cui mi sono tolta la pelle e la carne e non ho usato strategie. Fatta di tutti gli incredibili regali che molti di quelli che ho incontrato mi hanno fatto, regalandosi puri ed inermi. Dalla sconosciuta in un bar di Lisbona al mio studente dai miei genitori ai miei fidanzati. 
E questa sarà una coperta corta, che lascerà scoperto qualche cosa. Ma sarà la cosa più preziosa del mondo. E non se ne andrà con me. 


domenica 24 maggio 2015

Ora e sempre Resilienza!

resilienza

[re-si-lièn-za] n.f.
pl. -e
1. (fis.) proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi, rappresentata dal rapporto tra il lavoro necessario per rompere una barretta di un materiale e la sezione della barretta stessa
2. capacità di resistere e di reagire di fronte a difficoltà, avversità, eventi negativi ecc.:resilienza sociale
Etimologia: ← deriv. del lat. resilĭens -ĕntis, part. pres. di resilīre ‘rimbalzare’, comp. dire- ‘indietro’ e salīre ‘saltare’.
fonte: http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=resilienza 
I metalli hanno una resilienza che si misura con formule matematiche.
Gli esseri umani e anche i sistemi sociali hanno la capacità di acquisire la capacità di resilienza. 
Non nasciamo imparati, ed imparare cose nuove è la parte divertente della vita. 
Ecco, divertente fino a pagina cinque direbbe la mia amica Silvia.
Ma non è che possiamo chiudere tutti i libri dopo cinque pagine, quindi suchiamoci quel che dobbiamo sucarci, e godiamoci il viaggio. 


mercoledì 20 maggio 2015

L'insegnante appare quando lo studente è pronto

Disciplina
Concentrazione
Pazienza
Interesse
Capacità di stare da soli
Sensibilità con se stessi
Superamento del narcisismo
Ragionevolezza e umiltà
Fede
Attività
Coraggio
Sincerità.

Mi sembra bastino. Porco cazzo se bastano.


lunedì 18 maggio 2015

Affondo, in fondo.

Rendi cosciente l'inconscio altrimenti sarà l'inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino.
Carl Gustav Jung
Chiudere gli occhi.
Girare la testa.
Scappare.
Scopare.
Sposare.
Spostare.
Nascondersi.
Odiare invidiare criticare spezzare. 
Coprire gli specchi. Romperli. 
Tattiche di sopravvivenza a noi stessi.
Inutili. Inutile dirlo. 
Giri l'angolo, cambi pagina, cerchi novità, 
e il destino antico e saggio come l'universo 
ti attende. 
Sempre. 
Stai dove sei. Guarda il vortice nero. A fondo.
A fondo. A fondo .
Affondo. Affondo. Affondo. 
In fondo, luce. 
Aggrappati. Fidati.
Fidati. Fa tutto lei. Tu sei lei. Lei è te.
Non fare niente. Sorridi. 
Risali. Respiri. Luccichi. Luccicate. Respirate. Risalite. 
Il mondo è tuo. Tu sei tuo. Niente è più tuo. 
Il destino è esploso. 
A che cosa devi sopravvivere ora? 
Puoi semplicemente vivere.







martedì 12 maggio 2015

La solitudine non (si) dice.

L'altro giorno al paese in cui sono nata si è suicidata una persona.
Poi hanno detto che era un uomo.
Poi hanno raccontato che si sia messo davanti al treno a braccia aperte, un Freccia Bianca, per la precisione. E l'aveva aspettato. L'aveva accolto. E se ne era lasciato mangiare.
Poi non si sapeva chi fosse.
Poi si è scoperto che era del mio paese.
Poi si è scoperto che aveva all'incirca la mia età.
Poi hanno iniziato a dire che se l'era cercata era andato ad un rave organizzato lì vicino a disturbare il sonno dei giusti sporcare drogarsi e se uno si droga e poi non è lucido e si butta sotto il treno e ferma i treni  è colpa sua e noi paghiamo.
Poi ho scoperto che è un ragazzo con cui facevo le vacanze all'oratorio da ragazzina. Uno di quelli che conosci da sempre per nome e cognome e sai che sono un po' strambi e ti attraggono e respingono fanno spesso ridere e l'hai visti spaccarsi sotto i tigli che profumano d'estate e non ti ricordi nemmeno mezza parola scambiata con lui ma ma ti ricordi precisamente il suono della sua voce e il modo un po' sornione in cui sorrideva e come era brusco e cercava il contatto ma come un animale ferito ne aveva paura però bisogno. E ti ricordi, o ti sembra di ricordarti quando all'isola d'Elba tirava i cachi acerbi dall'altra parte del muretto e ha colpito una tizia in testa. E ti ricordi la sua bellissima mamma che sembrava sempre scusarsi per lui.
E mi trovo a piangere per uno che se avessi incontrato settimana scorsa forse nemmeno avrei riconosciuto. O forse avrei pensato: ma è lui? E avrei detto a qualcuno che lo conosceva per nome e cognome come me che l'avevo incontrato, forse era lui, e che sembrava stesse bene/male/meglio/peggio/provato/sereno e avrei pensato presuntuosamente di sapere qualche cosa di lui. E piango per la sua solitudine che sebbene tutti conoscevamo nessuno ha riconosciuto, non ha mai avuto il suo nome. Solo un altro, che non era il suo. Non era mai il suo. Cazzo. Possibile che nessuno nessuno nessuno al mondo sia riuscito a dirgli: non è colpa tua. E' colpa della solitudine. Nessuno che abbia trovato la parola giusta? Dove cazzo sono le parole giuste quando servono? Dove cazzo siamo quando dobbiamo dire le parole giuste? Dove cazzo eravamo quando potevamo capire che lui diceva la parola solitudine in tutte le lingue che sapeva, ma non la nostra?
Ed è triste immaginare la caverna che la goccia dei secondi di dolore che gli gocciolavano dentro gli ha creato. Ed è impossibile pensare lo schianto che ha fatto quando è collassata.
E piango pensando non all'ineluttabilità del suo "ultimo gesto", ma alla solitudine disperata del  suo ultimo abbraccio. Un abbraccio al Freccia Bianca in corsa. Cazzo.


venerdì 8 maggio 2015

Parole in prestito. Uomini, di Evgenij Aleksandrovič Evtušenko

Non ci sono uomini poco interessanti.
Sono i loro destini storie di pianeti.
Tutto, nel singolo destino, è singolare
E non c’è un altro pianeta che gli somigli.
Ma se qualcuno è vissuto inosservato
– e di questo si è fatto un amico -
tra gli uomini è stato interessante
anche col suo passare inosservato.
Ognuno
Ha un mondo misterioso
Tutto suo.
E in esso c’è l’attimo più bello
E l’ora più angosciosa,
solo che noi non ne sappiamo niente.
Se muore un uomo,
con lui muore
la sua prima neve, il primo bacio,
la sua prima battaglia…
E tutto egli porta via con sé.
Restano, è vero, libri e ponti
Macchine e quadri. E’ destino
Che molto rimanga, eppure
Qualcosa se ne va lo stesso.
E’ la legge di un gioco spietato:
non muoiono uomini,
ma interi mondi.
Ricordiamo gli uomini, terrestri e peccatori.
Ma, in sostanza, che ne sapevamo di loro?
Che ne sappiamo di fratelli e amici?
Che ne sappiamo del nostro unico amore?
E anche di nostro padre, sapendo tutto,
noi non sappiamo niente.
Gli uomini passano…
Ed è impossibile richiamarli in vita.
Impossibile risuscitare i loro mondi misteriosi.
Ma ogni volta desidero ancora
Gridare

per questa irrevocabilità.


martedì 5 maggio 2015

Della fine, che non è indicibile

Chi non si aspetta l'inaspettato, non troverà la verità
Eraclito

Volevo evitare di scrivere sul blog della fine della relazione con il Biondo, che ora ha per me un nuovo soprannome che per privacy non rivelerò se non di persona a chi ne farà richiesta (prevedo la fila).
Eppure ora sono qui a scriverne. Ho scritto a suo tempo dell'inizio, e ora provo a celebrarne la fine. Che la fine fa paura, ma ha una sua bellezza.
E mi dico che da brava Vergine sto cercando motivazioni e ragioni, e ragioni vere ce ne sono, fattuali psicologiche individuali di tempo di desideri di volontà di dinamiche tra di noi di dinamiche sociali e universali e di altra femminilità. Ma non ce n'è nessuna,
E mi dico che sono arrabbiata, e lo sono. E triste, e lo sono. E delusa, e lo sono.
E mi dico che ho perso tempo. E mi dico che ho sbagliato delle cose. E mi dico che morirò gattara. E mi dico che sono diventata adulta. E mi dico che il meglio deve ancora venire. E mi dico che le sfortune sembran fortune e viceversa.
E mi vedo con la volontà di affermare le mie ragioni. E mi vedo a rifiutare le sue. E mi vedo incapace di capire le sue, due alfabeti diversi.
E mi riconosco la volontà di chiudere. E il desiderio di aprirmi il cuore ancor di più, sforzandomi in uno sforzo che mi strema e che non mi soddisfa.
E mi vedo precorrere i tempi e insieme oziare, lasciando gocciolare il tempo nel dolore e nel vuoto che mi si muove dentro, riempiendomi. E mi vedo parcellizzare l'atomo e pure ricostruirlo.
E mi vedo essere viva e lucida e piena come da tempo non ero e mi chiedo se è mai possibile che stia sempre meglio quando sto peggio, o se semplicemente quando sto peggio tutto si accumuli, e il peso che una volta mi poteva annientare, ora mi fa risorgere, se cammino con attenzione sulla cresta dell'onda delle rovine che crollano invece di lasciarmi andare a peso morto sotto le macerie.
E mi fermo e vedo momenti di felicità provvisoria che non voglio scambiare con nessuno, che non ridarei indietro nemmeno se sapessi di potermi scontare questa pena. E che tengo per me.
E mi fermo e vedo dei momenti di infelicità provvisoria che ho cercato di annullare, di non vedere, di arginare e fermare, pensando che bastasse la volontà. E ora guardo anche quelli. E li tengo per me.
E mi fermo e vorrei buttare dal balcone le poche cose che ha lasciato.
E mi fermo e mi metto la felpa che mi ha regalato.
E mi fermo e penso ai contratti che avevamo reciprocamente firmato. E non so se li abbiamo firmati davvero, e quando. Forse un milione di anni fa.
E penso che vorrei strappargli i capelli che ha in testa, che tanto gli cadranno prima o poi. E penso che non riesco a fargli del male, e che mi fa incazzare non riuscirci. E penso che ne starò fuori, dal bene e dal male che gli accadranno o si farà accadere.
E penso che vorrei vedere ancora la sua anima buona, e ora non ci riesco per niente. E vorrei vedere anche la mia anima buona, e ora non ci riesco fino in fondo.
E odio le differenze che non ho notato, e le amo perché sono ciò che ci ha tenuto insieme e che ci siamo scambiati. E penso che magari non gli ho lasciato niente, e mi sento inutile. E penso a ciò che mi ha lasciato, ed è poco, ma di pregio.
E mi guardo in questa casa colorata e ancora spoglia ma disordinata e penso che anche se soffro lui non mi manca qua dentro. E allora mi chiedo perché soffro, per che cosa soffro, per chi soffro.
E la cosa per cui soffro è l'impossibilità di riconoscere lui che ha scelto di non farsi più riconoscere, e la sensazione di impossibilità nel riconoscere me, perché gli altri, soprattutto chi amiamo, sono il nostro specchio.
Ma io forse in quello specchio da tempo non mi guardavo davvero e non sapevo più il suo nome, non lo sapevo più sia perché lui me l'ha celato sia perché io non lo sapevo più dire. E non lo so più dire a tal punto che l'ho cambiato.
E allora perché, perché soffro? Perché non allargo il cuore e abbraccio l'Universo, e anche lui che ora non so nominare?
Soffro perché ho perso il controllo. Perché non sopporto di averlo perso. Perché ho deragliato, sono andata troppo veloce, siamo andati troppo veloci e le forme hanno perso forma e i colori hanno perso colore come il paesaggio dal finestrino di un treno veloce.
Soffro perché mi sono dimenticata che in fondo alla vita non c'è il cartello di Arrivo. C'è solo la vita che finisce, e se punti al cartello di Arrivo ti perdi il viaggio. E io l'ho perso per un po'. Puntavo all'Arrivo, e ho chiuso gli occhi e trattenuto il respiro e speravo di arrivare a destinazione serrando le mandibole. E quando ho respirato di nuovo e riaperto gli occhi, lui non c'era più.  E io non sapevo bene dove ero. E io non so più bene chi è lui, e chi sono io.
E ora potrei anche continuare a soffrire. Ma se anche mi sforzo di cancellarlo, se anche mi impongo di ignorarlo, quel pezzo di viaggio l'ho fatto,  un po' con lui un po' da sola. E mi ha portato qui. E qui, anche se è difficile da accettare, qui non è altro che un dato di fatto, qui è dove le cose sono come sono. Qui è il posto in cui l'inaspettato svela la realtà.


lunedì 4 maggio 2015

Detto zen

"Si è zen quando si è zen, non quando si decide unilateralmente che si è diventati zen. Porco cazzo."


domenica 3 maggio 2015

Visioni notturne: aprite quella cazzo di porta!

Stanotte, complici forti emozioni e alcune molecole chimiche, ho avuto una sorta di visione. Non propriamente un sogno, e nemmeno qualcosa ispirato da dio (fatto che sarebbe straordinario, visto che credo di non credere in dio). Semplicemente immagini che si componevano chiaramente e confusamente, che mi hanno lasciato con un senso di splendore e chiarezza.
Il mood visivo era quello del videoclip di Protection dei Massive Attack girato da Gondry. Case, tante case, grattacieli di alveari di case, in cui entravo ed uscivo volteggiando nell'aria come la mdp del videoclip. In una di queste case incontravo anche me stessa, in altre invece sconosciuti di ogni razza, e in altre amici e persone amate. Ad un certo punto mi accorgevo che queste case erano finte, erano solo fondali appoggiati a cantinelle, come a Cinecittà. E io cercavo di avvertire le persone che incontravo, e anche a me stessa dentro casa mia, ma non ci riuscivo.
Finché poi ho scoperto che accanto ad ogni casa finta, ce n'era una reale. Calda, solida, luminosa. E che c'era una porta che tutti ignoravamo che collegava la finta casa con la vera casa.
E oltre quella porta c'era la nostra vita come avrebbe potuto essere se avessimo avuto coraggio, avessimo scelto l'amore, avessimo preso i rischi giusti, avessimo scelto l'unione (reale interdipendenza tra uomini e con la Natura) invece della separazione (illusione dell'ego).
E in un attimo mi era chiaro che oltre quella porta, se non l'avessimo varcata durante la vita, ci sarebbe stato il nostro personale inferno dopo la morte: l'eternità passata a contemplare tutto ciò che non ci eravamo concessi, disperati e mangiati dal rimorso.
E ho avuto una pena infinita per l'umanità. Poi mi sono svegliata, anche se non stavo davvero dormendo, e la pena è rimasta. Ma alla pena si è aggiunta un'energia chiara e pura, che oggi proteggo e conservo e che da domani lascio crescere e fluire.