martedì 12 maggio 2015

La solitudine non (si) dice.

L'altro giorno al paese in cui sono nata si è suicidata una persona.
Poi hanno detto che era un uomo.
Poi hanno raccontato che si sia messo davanti al treno a braccia aperte, un Freccia Bianca, per la precisione. E l'aveva aspettato. L'aveva accolto. E se ne era lasciato mangiare.
Poi non si sapeva chi fosse.
Poi si è scoperto che era del mio paese.
Poi si è scoperto che aveva all'incirca la mia età.
Poi hanno iniziato a dire che se l'era cercata era andato ad un rave organizzato lì vicino a disturbare il sonno dei giusti sporcare drogarsi e se uno si droga e poi non è lucido e si butta sotto il treno e ferma i treni  è colpa sua e noi paghiamo.
Poi ho scoperto che è un ragazzo con cui facevo le vacanze all'oratorio da ragazzina. Uno di quelli che conosci da sempre per nome e cognome e sai che sono un po' strambi e ti attraggono e respingono fanno spesso ridere e l'hai visti spaccarsi sotto i tigli che profumano d'estate e non ti ricordi nemmeno mezza parola scambiata con lui ma ma ti ricordi precisamente il suono della sua voce e il modo un po' sornione in cui sorrideva e come era brusco e cercava il contatto ma come un animale ferito ne aveva paura però bisogno. E ti ricordi, o ti sembra di ricordarti quando all'isola d'Elba tirava i cachi acerbi dall'altra parte del muretto e ha colpito una tizia in testa. E ti ricordi la sua bellissima mamma che sembrava sempre scusarsi per lui.
E mi trovo a piangere per uno che se avessi incontrato settimana scorsa forse nemmeno avrei riconosciuto. O forse avrei pensato: ma è lui? E avrei detto a qualcuno che lo conosceva per nome e cognome come me che l'avevo incontrato, forse era lui, e che sembrava stesse bene/male/meglio/peggio/provato/sereno e avrei pensato presuntuosamente di sapere qualche cosa di lui. E piango per la sua solitudine che sebbene tutti conoscevamo nessuno ha riconosciuto, non ha mai avuto il suo nome. Solo un altro, che non era il suo. Non era mai il suo. Cazzo. Possibile che nessuno nessuno nessuno al mondo sia riuscito a dirgli: non è colpa tua. E' colpa della solitudine. Nessuno che abbia trovato la parola giusta? Dove cazzo sono le parole giuste quando servono? Dove cazzo siamo quando dobbiamo dire le parole giuste? Dove cazzo eravamo quando potevamo capire che lui diceva la parola solitudine in tutte le lingue che sapeva, ma non la nostra?
Ed è triste immaginare la caverna che la goccia dei secondi di dolore che gli gocciolavano dentro gli ha creato. Ed è impossibile pensare lo schianto che ha fatto quando è collassata.
E piango pensando non all'ineluttabilità del suo "ultimo gesto", ma alla solitudine disperata del  suo ultimo abbraccio. Un abbraccio al Freccia Bianca in corsa. Cazzo.


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