mercoledì 31 dicembre 2014

Buon anno

Buon anno a chi si aspetta tragedie, e vedrà solo quelle.
Buon anno a chi si aspetta meraviglie, e poi rimarrà deluso dalla straordinarietà della vita di tutti i giorni.
Buon anno a chi crede alla crisi, e anche a chi non ci crede.
Buon anno a chi la pensa come Einstein, che la crisi è un'opportunità.
Buon anno a chi è coerente come un sasso, e come un sasso non prova mai l'ebbrezza di scoprirsi diverso, ma può solo rotolare e perdere pezzi.
Buon anno a chi è incoerente come il cielo d'Irlanda, che sia portato dalle nuvole, e che le porti un po' anche lui.
Buon anno a chi odia tutti, e non sente mai l'esigenza della compassione.
Buon anno a chi ama tutti, e non sente mai l'esigenza della rivoluzione.
Buon anno a chi ama la famiglia, e solo quella.
Buon anno a chi famiglia non ce l'ha, e ama solo se stesso.
Buon anno a chi è parte della famiglia umana, anche se ogni tanto vorrebbe andare a fare un giro su Marte.
Buon anno a chi sta male, a chi si ammalerà e a chi guarirà.
Buon anno a quelli che moriranno, perché forse dalla consapevolezza dall'ingiustizia della morte potrebbe nascere un mondo più giusto, prima o poi.
Buon anno a chi nascerà, ed è giusto che lo sappiate: qui è tutto piuttosto figo, ma non è mica una passeggiata di piacere.
Buon anno a chi si chiede perché è nato. E la risposta non la troverà mai.
Buon anno a chi non se lo chiede, e la risposta la troverà facilmente.
Buon anno a chi ha il passaporto, perché non si annoi in un villaggio turistico.
Buon anno a chi non ha il passaporto, perché non muoia durante il viaggio.
Buon anno a chi attraversa frontiere, dentro e fuori di sé.
Buon anno a chi si erge a doganiere di se stesso.
Buon anno a chi non riesco a categorizzare.
Buon anno ai potenti, perché siano così potenti da credere nell'umanità di tutti, e non così deboli da seguire la finanza.
Buon anno a chi mi ha accompagnato, a chi mi accompagnerà, e buon anno a chi perderò per strada.
Buon anno a chi ne farà buon uso.
Buon anno a chi lo sprecherà.


giovedì 25 dicembre 2014

Pensierini di Natale 2014

Sono andata troppo più veloce del mio cuore. Ora rallento, e mi faccio raggiungere

Non sono cattolica, anzi. Però mi hanno consegnato la tradizione di festeggiare il compleanno del figlio di un falegname palestinese, uno che aveva carisma, e soprattutto aveva capito delle cose. Potremmo dire che fosse un illuminato. E anche un rivoluzionario. Uno che vedeva oltre le cose che si vedono. E allora, anche se non sono (più) cattolica e non sono cristiana, anzi, i seguaci del figlio del falegname mi piacciono generalmente poco: buon Natale. Buon momento in cui ci riconosciamo umani, in cui vediamo oltre le cose (anche se spesso c'è ne lasciamo sommergere). Buon Natale di tradizioni vecchie ma non stantie, di cose nuove che potrebbero diventare nuove tradizioni.
Buon Natale in cui sappiamo i essere profughi migranti e stranieri e transitori e transeunti tutti. Buon Natale di crisi che spesso è ancora abbondanza.
Buon natale a tutti, tranne a chi usa gli uomini come fossero cose, e le cose come fossero uomini. Eccetto la "famigghia", ovviamente.  O forse, buon Natale proprio a voi, Che lo spirito del Natale vi tormenti.

Spero che i poveri non mi facciano dormire. Spero che gli uomini e le donne non mi facciano dormire.

Libertà non da cosa, ma in che cosa. Trovarmi il mio spazio. Respirarlo. Farlo trovare agli altri.

Ho accumulato, preso, costruito la tana. Ma non voglio essere l'avara formica. É tempo di ridare.

Ai miei nipoti. Perché siano così felici e pieni da saper riempire il mondo, e non solo arraffarlo. Ai miei nipoti, perché facciano tutto per amore e libertà, e non per obbligo e  senso di  colpa. A me, perché sia uguale a loro.


giovedì 4 dicembre 2014

Stop. Dimentica.

Problemi problemi problemi.
Correre correre correre.
Non dimenticarsi niente.
Essere performante.
Pulire.
Correggere.
Perfezionare.
Sacrificarsi.
Elevarsi.
Spiegarsi.
Divertirsi. Poco.
Lavorare lavorare lavorare.
E poi scoprire che la cosa più importante degli ultimi due mesi, passati indenni come una goccia nel tragitto dal rubinetto allo scarico del lavandino, è che mi sia accorta del merlo con la bacca nel becco che stava sul mio terrazzo ieri mattina.


mercoledì 26 novembre 2014

Trasloco

Sono a casa dei miei, a svuotare la mia cameretta, che in realtà non è la mia ma è quella in cui sono state le mie sorelle finché non si sono sposate, tutte e due nello stesso anno, lasciandomi sola di colpo, con un sacco di spazio a disposizione, che ho riempito di ogni cosa.
Libri, alcuni essenziali, altri buoni per tenere fermo un tavolo ballerino, altri intonsi. Biglietti di auguri dalle zie e da amici persi di vista. Un post-it di un collega ora morto che mi chiede di restituirgli il libro autografato da don Gallo. I diari in cui ho scritto, male, su ogni piega dello vita umana e della mia misera contorta rattrappita psiche. Le preghiere che mi turbavano l'anima, che forse invece non esiste, che mi dava don Ezio. Le cose negli scatoloni da un'altra parte. La lampada da tavolo blu che non trovo.
Libri in spagnolo e in inglese. Addirittura in portoghese, che non parlo, L'orecchino di legno che ho tenuto per anni. I Dylan Dog che regalo a mio nipote Lorenzo.
Guardo i miei, stanchi, che mi hanno comprato-ristrutturato-preparato la casa, con la morte nel cuore perché vado lontano da loro e l'asma nei polmoni di 5 piani senza scale. La crema che ho messo sulle spalle di mia mamma. Il muso di mio papà, che non voglio vivere più, ma mi piega.  Li vedo così vecchi (se sanno che scrivo questo mi ammazzano) che vorrei tornare qui e prendermi cura di loro. Dire loro di non preoccuparsi, hanno fatto il possibile, ma mi hanno fatto testa di cazzo, ma che ce la faccio, ed ho imparato. Non tutto, ma molto. Che la vita fa, e io assecondo. E quando non assecondo non mi schianto, ma cado, rimbalzo e riparto.
Penso alle mie sorelle, alle botte che ci siamo date, a quando mi dicevano che ero arrivata a casa arrotolata in un tappeto peruviano, alle Barbie coni capelli tagliati, ai nostri occhi verdi, in gradazioni diverse. Penso che vorrei vederle di più, e dire loro che io me ne sono andata, ma le amo, siamo uguali e diversissime, amo i loro figli e vorrei respirare il loro odore tutti i giorni.
Penso ai miei amici che non vedo da mesi, perché mi esaurisco per far appassionare i miei studenti all'Espressionismo Tedesco, e faccio i salti mortali per arrivare a sera avendo fatto tutto, non dormo mai, e Milano in questi mesi è faticosissima. E vorrei fare i biscotti con loro la domenica, o andare al centro sociale e invece no. Invece inseguo non so nemmeno bene io che cosa.
Penso al Biondo, e alla nostra timorosa, morbida, fragile, impetuosa, insensata aspettativa di non avere aspettative. E penso che quando la domenica vedo le coppie a passeggio vorrei non essere coppia. E voglio essere io, e voglio che lui sia lui, e che ci incontriamo ogni secondo. Ma che non voglio sapere chi è. Non voglio nemmeno che lui sappia chi sono io. Perché sono certa che non gli piacerei. Il tocco della sua mano, quello lo riconoscerei dovunque. I piedi che mi scaldano i piedi, i bassi della sua voce, pure.
Penso ai ricordi che lascerò a qualcun altro, e tremo all'idea. Tremo anche all'idea che non accada.
Penso a Renzi che ho visto al Tg (non ho la tv, e quando la guardo, mi resta impressa) che parla di futuro. E non si rende conto che è il presente che conta, il presente del futuro nelle nostre teste, un futuro che c'era e non c'è più, e ci mettiamo le pezze e lo rompiamo per sempre. Penso che non resterà niente, e vorrei tenere tutto. Penso al coraggio. E allora butto anche ciò che non avrei buttato mai.
Penso alle placchette cromate che ho scelto per la casa nuova, che sono bellissime, e alla fatica di fare stare tutto. E al fatto che non vorrei niente, perché il passato altrimenti si prende il posto del futuro, ma io senza passato chi sono? E senza futuro, chi sono? Quante persone sono stata? Quante persone sarò? Quante persone sono? Sono ciò che tengo o mi definisco per ciò che butto? Ho amato troppo, ho amato male. Nomi, volti, date si confondono e mi manca la precisione che vorrei. Sono stanca.
Tutto cambia, e sebbene ricordi tutto, non riconosco più niente.
Vorrei vivere senza scegliere niente, e invece ho scelto persino le placchette cromate.
E mi illudo pure che siano mie. Ma non c'è niente di mio. Il vero padrone è il tempo.



lunedì 24 novembre 2014

Niente, e tutto.

Quello che c’è oltre può essere scoperto solo se la mente è silenziosa. Potrebbe esserci qualcosa o assolutamente nulla. L’unica cosa importante è che la mente sia silenziosa. E inoltre, se vi preoccupate di quello che c’è al di là allora non state guardando che cos’è quello stato di vero silenzio. Se per voi è solo una porta verso qualcosa che sta oltre, allora non siete interessati a quella porta, mentre ciò che conta è la porta stessa, proprio quel silenzio in sé. Perciò non potete chiedere che cosa ci sia al di là. La sola cosa importante è che la mente sia silenziosa. E allora che cosa avviene? Quello che ci interessa è tutto qui, non quello che c’è al di là del silenzio.Jiddu Krishnamurti

Devo, voglio, vorrei, mi piacerebbe, lo farà, lo faccio da ora.
Ricominciare a creare il vuoto. La forma di creazione più difficile che esista. Nonché la più bella. 
Senza il vuoto, il tutto non esiste. Esiste solo il troppo. 



domenica 9 novembre 2014

Penso: "Non pensare"

Ascolto Yann Tiersen e Aphex Twin.
Aspetto che finisca il render di Final Cut, leggo delle mail. E penso.
Porca puttana. penso.
Non devo pensare. Niente da fare. Penso
Non devo pensare.
Non
Devo
Pensare
Penso che vorrei non pensare.
Che avrei voluto fare l'orafa, la sarta, la ballerina, l'attrice, la pittrice, la scalatrice, l'insegnante di aerobica, la contadina, la decoratrice.
Tutto, purché non pensare per lavoro. Essere "un'intellettuale", una persona che si guadagna da vivere solo con il pensiero, è una disgrazia.
Vorrei avere il pensiero nel corpo, nelle mani, nelle gambe, invece che in testa. Vorrei non avere cose intrappolate là dentro, che non escono se qualcuno non le fa per me. Vorrei avere le schegge nelle mani, e il giro delle dita sporco. E la mente pulita.
Il pensiero si pensa e si pensa e si pensa. Da solo. Quanta energia per mantenerlo al minimo, non farlo debordare, espandere, inglobarmi e risputarmi.
Ecco, poi adesso penso, però penso una cosa sensata (che il pensiero serve, eh, ma poi spadroneggia, fa il bulletto e devi rimetterlo al suo posto). Penso che l'idea di insegnare "coding e pensiero computazionale" nella scuola primaria sia configurabile come maltrattamento di minore.
Le cose hanno odori, forme, consistenze, resistenze, cedimenti, texture, spessori, volumi, spigoli, morbidezze. Non saper usare le mani per creare è non conoscere il mondo.
Sono un'inetta. Ma non rendete inetti dei bambini di 6 anni. Cazzo.


domenica 2 novembre 2014

Ciò che importa

Ciò che importa è l'importante.
Ciò che importa è così inutile.
Non dirmi dove sei, che lavoro fai,
se mi ami o che cosa cucini.
Dimmi solo perché nei tuoi occhi sta passando un temporale.
Dimmi come aspettare un arcobaleno.
Il tuo colore preferito.
Il suono che fai quando sei felice.
Dimmi ciò che non dovrei sapere.




mercoledì 22 ottobre 2014

Rimirar misteri

Se pensi alle rose, sei un giardino di rose

Hanno detto: “Da ogni parte c’è la luce di Dio“.
Ma gridano gli uomini tutti: “Dov’è quella luce?“
L’ignaro guarda a ogni parte, a destra, a sinistra; ma dice una Voce:
“Guarda soltanto, senza destra e sinistra!“.

Finora hai tirato male le tue frecce. Ti sei prodigato per lanciare lontano, trascurando ciò che ti era vicino.
Più lontano tiri, più il tesoro ti sfugge!
Credimi, è lo sforzo che ti fa fallire.

Perciò, tira la freccia dolcemente e cerca il tesoro con umiltà. Esso ti è vicino, e non può sfuggirti.

Jalāl al-Dīn Rūmī 


Le cose sono come sono. Non c'è niente da credere. 
Quante volte al giorno me lo ripeto! 
E se invece dovessi solamente rilassarmi, adagiarmi beata nel fatto che ancora non credo che non ci sia niente da credere? Probabilmente spezzerei questo loop che si autoalimenta. E sarei. Sarei. Sarei. Punto. 

Il mio dubbio (che mi fa provare forte, troppo forte, per far sì che le cose siano come credo io, e non come sono)  rende labili i contorni delle cos, che si spezzettano e frangono come le ombre in un piscina d'estate. Che si fanno impalpabili come la calura sull'asfalto in lontananza. Imprecise come il mondo dietro gli occhiali sporchi.

Tanto prezioso è quindi il singolo momento in cui ciò che è si disvela,  si dona, si apre, si arrende, mi fa arrendere e cadere, mi disvela, mi dona, mi apre. 
Così prezioso che non posso raccontarlo. Così abbagliante che per dirlo userò le parole di un altro mistico "Oh quanto è corto il dire e come fioco / al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, / è tanto, che non basta a dicer ’poco’."



sabato 18 ottobre 2014

Doppi fini

L'amore ha a che vedere con l'invisibile. Niente di soprannaturale, intendiamoci. Piuttosto, direi, ha a che vedere con l''invisibile possibilità di assoluta bellezza che ognuno si porta dentro, protetta, nascosta e temuta come l'aculeo nascosto delle mante.
Per amare me stessa, mi devo sforzare di silenziare il mio perfezionismo, e amare e accogliere e far sviluppare il mio inesplorato, prevedibile e al contempo imprevedibile, potenziale.
Ugualmente, per amare qualcuno come compagno di vita, come figlio, come amico, come studente, come collega, come vicino di casa, devo dargli/darle la possibilità di essere al meglio di se stesso. Nonché l'opportunità di sorprendermi. Nonché concedermi lo spazio per immaginare il suo meglio, per sognarlo, per crederlo reale benché non realizzato. Nonché, per quanto possibile, per creare le condizioni affinché il possibile reale diventi una possibilità realizzata.

Stasera ho amato Milano. Sono uscita in bicicletta, passando per zone che di solito evito. E Milano era lì, bella e preziosa. Morbida e precisa. Silenziosa. Avevo il viso fresco, i capelli caldi.
Le coppie erano a passeggio, i ragazzi sulle altalene, i trentenni all'Isola, il vino buono, le birre finite,  le luci nelle case accese, i semafori attenti. Le foglie a terra, gialle. Sugli alberi, verdi.
Tutto prevedibile, tutto imprevedibile. Tutto regalato. Tutto perfetto, tutto come potrebbe essere, ma non può sempre essere.
Infatti, se l'assoluta bellezza delle cose/persone fosse sempre realizzata, le cose/persone non avrebbero bisogno del nostro amore per convincere a svelarsi. E noi saremmo spenti ed annoiati.
Le cose/persone sono imperfette, ma non perché lo sono, e nemmeno perché non vogliono realizzarsi. Le cose/persone sono imperfette, perché desiderano dare a noi uno scopo nella vita: consentirci di fare in modo che esse stesse si realizzino.


martedì 14 ottobre 2014

Ottobre o del mistero

Faccio mille cose e ogni tanto non capisco nemmeno più a che gioco sto giocando, qual è il campo, come si fa punto, se l'importante è vincere o partecipare, se sono ancora in gara.
I giorni sono diversi l'uno dall'altro più per il meteo che per le scoperte che faccio, più per il frigo pieno/vuoto che per le impercettibili gigantesche esultanze della mente che esplora e indaga, più per l'abito che metto che per le parole che regalo e che ricevo.
Sarà il velo grigio di ottobre. Forse sì, e poi del resto, dare la colpa a qualcos'altro va sempre bene, fa sempre bene.
Però poi, un pomeriggio, una piccola rivelazione mi fa fare immaginarie capriole a mezz'aria. Di colpo sono leggera, di colpo piena, di colpo viva.
Capita per caso, o per sforzo, che qualcuno ti racconti i propri segreti. Ciò che più teme, ciò che più desidera, ciò di cui più si vergogna, ciò che più lo logora o ciò che più lo eleva.
E in quell'istante mi è chiaro. L'amore, quel senso di totale presenza comunione affetto reciprocadipendenza destinocomune individualitàsenzaconfini che è la totale mia pienezza, è quando un mistero tale e quale al tuo, ma totalmente diverso, ha il coraggio di dirsi.
Ha il coraggio di indicarti il telo nero che lo avvolge e di dirti: guarda lì, quello sono io. Mi ami ancora? Puoi amarmi nonostante questo?
L'amore è quando il velo nero non fa più paura, è quando non lo vuoi più strappare, è quando lo contempli, è quando anche tu indichi il tuo velo nero e dici: Mi ami ancora? Puoi amarmi nonostante questo?


giovedì 9 ottobre 2014

Certezze

Sono mesi che rincorro la vita che vorrei, e la vita che vorrei è quando voglio la vita che ho.
Io serva non ci morirò.
Lasciar chiuso il cuore, anestetizzarsi, occuparsi solo di "ego" ma per niente di se stessi, ricorrere al "tengo famiglia", lavorare per comprare la macchina per andare a lavorare,  sono i modi più veloci ed indolori per diventare zombie.
Gli zombie governano il mondo. Ma non permetterò che governino il mio.


domenica 5 ottobre 2014

Paradossi, dicono.

La fatica che faccio per essere davvero viva mi ucciderà.
Tutta questa vita che mi tracanno, che mi voglio divorare, mi ucciderà.
La mancanza di vitalità, nel frattempo, mi uccide. 
Un po' più in là, un po' più in là.
Voglio almeno morire felice. 


martedì 23 settembre 2014

Senzasoluzionedicontinuità

Ieri mi sono messa in contatto con l'Universo.
Mi ha detto che devo fidarmi di lui, e che mi aiuterà, ma che un po' mi devo impegnare anche io, che qualche cosa in cambio gli devo dare. Ci siamo accordati per tre caramelle gommose, ma non gli orsetti che non gli piacciono, e un mottarello.
E insomma, lo ammetto: forse  ho semplicemente parlato con me stessa, forse con dio, forse con Dio o forse con nessuno. Non lo so.
E poi oggi ho visto su l'Internazionale la foto di Laniakea, il superammasso di galassie in cui si trova anche la via Lattea, in cui si trova anche il Sistema Solare, in cui si trova anche la Terra, in cui si trova anche l'Europa, in cui si trova anche l'Italia, in cui si trova anche Milano e in cui vi trovate anche voi, e anche me.
E mi sono chiesta come fosse possibile fotografare se stessi così da lontano, e mi sono chiesta se anche una foto di Laniakea fosse in fondo un mio autoritratto. E un autoritratto di Francis Bacon forse è anche un mio autoritratto, e anche un tuo, e anche di un abitante dell'Universo, e dell'Universo stesso e di dio/Dio?
E poi Laniakea si sta allontanando, espandendo. Allontanando da che cosa? Espandendo dove? In un Nulla in cui l'Universo avanza?
E non trovo risposte. Ma le domande, quanto sono più belle di una qualsiasi risposta?
Forse l'Universo si espande semplicemente perché è curioso.


venerdì 19 settembre 2014

Vivere vs. riflettere sul vivere

Ho creduto a lungo che il senso della vita fosse cercare il senso della vita.
Riflettere, comparare, analizzare i massimi sistemi, rispondere a "chi siamo?" "da dove veniamo?" "dove andiamo?" "perché viviamo?"
Di colpo mi rendo conto che tutto ciò è divertente e fa sentire fighi e tieni vivi intellettualmente e dà un senso di spessore alla vita.
Ma le vere domande sono: "come tratto me stessa?" "come tratto gli altri?" "che scopo do al mio lavoro?" "riesco ad uscire da me stessa?" "preferisco la novità o le abitudini?" 
E le risposte a queste domande risiedono nell'uso che faccio di ogni secondo della mia vita. 

A questo punto, se tralascio l'epifania e torno alla riflessione, emerge un fatto critico:  i massimi sistemi sono evidentemente meno impegnativi. 


mercoledì 10 settembre 2014

Note a margine

Il matto in insospettabile completo grigio che mi si siede accanto in tram. La cravatta gialla che alla seconda occhiata mi spiega tutto di lui.
Il tunz tunz dagli auricolari della vicina dall'altro lato.
Gli ingegneri che vestiti da ingegneri parlano di altri ingegneri, chiamandoli per cognome.
I pendolari. Gli amanti. Gli iscritti al corso di yoga, prima lezione, che vedo dalla finestra.
Lo status di Facebook da aggiornare, mia massima attività creativa, dopo la scelta dell'outfit.
Dalle 18 alle 20 sono sempre triste.
E capisco meglio tutto. Trovo pure delle soluzioni. Meravigliosamente difficili e melodrammatiche.
Il vero problema è che quando sono felice non capisco un cazzo.

martedì 2 settembre 2014

Niente è come sembra ovvero della capoeira come imago roboris ac potentiae

Those who prefer their principles over their happiness, they refuse to be happy outside the conditions they seem to have attached to their happiness.
Albert Camus

Una capoeira.
La vita interiore mia, la vita dell'amore che vuole durare e non morire di troppa bontà o troppo cinismo, è una capoeira.
Una danza di schiavi, che si preparano, a ritmo di musica, a lottare per la loro libertà.
Forza e leggerezza. Ritmo e precisione. Gesti che sembrano solo aggraziati, che devono essere aggraziati, ma sotto l'apparenza di pura bellezza parlano di auto-dominio,  di determinazione, di ansia fame desiderio di libertà, di sogni più grandi,  di conflitti che, gestiti, fanno avanzare la vita.
Come i capoeiristi, come il samurai, come il guerriero di tutte le tradizioni mistiche: mantenersi forti, pronti a lotta, con il corpo vigile e la mente lucida, e decidere di astenersi, di portare la guerra ad altri livelli. Interni, superiori e solo in casi estremi, e quando si è pronti, portarlo all'esterno. Una volta individuati con precisione i nemici.
Potremmo essere come  un leone domato, che si è domato da sè.
Perché sa che la sua forza gli serve tutta intera, ma potrebbe anche fregarlo. E allora impara a gestirla.
E insomma, credo che Atena, la saggia dea guerriera, sia ancora con me.


venerdì 22 agosto 2014

Le mille proprietà del limone

C'è un nota introduttiva a questo scritto.
A me i limoni piacciono.
Maliziosi.
Mi piacciono certo anche i lunghi baci con la lingua, sia ora che limono solo con il Biondo sia quando li davo a caso rischiando la mononucleosi. Ma intendo propri gli agrumi gialli. Forse perché mi hanno abituato ad apprezzarli da piccola, forse perché hanno mille proprietà (fanno digerire, regolano l'intestino, rinfrescano, sono antiossidanti ecc ecc), fatto sta che raramente passa un giorno senza che ne beva il succo, o me ne mangi uno.
Ecco.
Però c'è quel detto: "If life gives you lemons, make lemonade" che a me più che ricordarmi un approccio basato sul positive thinking, ricorda l'italico "chi si accontenta gode". Non so come, da questo detto sono giunta a quest'altro, inventato da me: "if life makes you a lemon, be a lemon".
Ovvero, anche se le arance sono più dolci e piacciono a tutti e non fanno arricciare la lingua e allungare i denti, se sei un limone, non potrai mai diventare altro. Sii un limone. Però, qualcosa puoi fare.
Se per esempio come me sei nata con una naturale tendenza alla paranoia (o ti si è sviluppata nel corso degli anni) tale per cui all'interno di meravigliose meraviglie tu riesci sempre a notare le note dissonanti e i dettagli che non quadrano, e dentro di te queste particelle di imperfezione (a cui consciamente nemmeno hai fatto caso) crescono e gettano radici e ombre sulla meravigliosa meraviglia, non puoi far finta di essere diversa. Tu, come me, noterai sempre la nota dissonante e il dettaglio che non quadra, anche se non vuoi. In te, anche se ti opporrai e cercherai di razionalizzare e di riportare tutto alle giuste proporzioni, quello sbaffo di errore crescerà fino a toglierti il sonno e la ragione.
Quindi, limone sei e limone resterai. A quel punto tanto vale esserlo orgogliosamente. Tanto più che appunto a me i limoni piacciano, e che questa capacità di notare incongruenze, imperfezioni e incertezze in fondo in fondo mi piace (sebbene mi mandi ai matti).
Ma che cosa puoi fare affinché il tuo gusto aspro e i tuoi schizzi acidi che finiscono immancabilmente negli occhi non facciano storcere la bocca agli altri, che ai limoni preferiscono le arance?
Puoi fare la limonata, ok. Ma che noia!
Puoi cucinare qualcosa che ben si adatti ai limoni, una frittura di pesce, un'insalata di carote, un pollo al limone. Puoi usare il limone per far passare il singhiozzo, spremendolo su un cucchiaino di zucchero (rimedio, efficace, che ho letto e sperimentato da piccola)
Puoi piantare il limone, anzi, i limoni,  e far crescer frondose e aromatiche piantina di limoni. E mentre aspetti che crescano le zagare e ti inondino di profumo, e poi crescano i limoni, gialli e inaspettati, puoi rileggere I limoni di Montale.
E poi, puoi sempre limonare.



PS: nella foto, oggetti del desiderio

martedì 19 agosto 2014

Cose da grandi, in rime da bambina.

Se sei troppo impegnato a prendere, non c'è spazio per farti sorprendere.
Se sei troppo impegnato ad analizzare, non resta niente per cui esultare.
Se sei troppo impegnato a spiegare, che cosa mai può farti sognare?
Se sei troppo impegnato a programmare, non sarai mai capace di amare.
Se sei troppo impegnato a capire, non ci sarà nessuno a farti stupire.
Se sei troppo impegnato a pensare, nessun senso avrò il tuo lavorare.
Se sei troppo impegnato ad avere ragione, il risultato sarà sembrare un coglione.
Se sei troppo impegnato a prenderti sul serio, scoprirai ben presto quanto è deleterio.

Vivere è molto meglio di analizzare la vita. (E fanculo alla struttura, alla rima e agli obblighi).



martedì 12 agosto 2014

Positive thinking according to my dad

Continuo a credere che abbiamo il potere di scegliere delle nostre vite, di capire che in alcune situazioni mettere il muso o arrabbiarsi non cambierà le cose e quindi è meglio farsene una ragione e trovare un lato positivo. Tipo che se sei imbottigliato nel traffico, se ti arrabbi quella mezz'ora di fastidio ti sembrerà infinita. Accendi la radio e canta a squarciagola, piuttosto.
Continuo anche a credere che lavorare per la nostra personale felicità è una scelta con ricadute anche sugli altri, se io sono più felice lo saranno probabilmente anche le persone intorno a me, sono meno cagacazzi e meno disposta alla polemica.
Continuo imperterrita a pensare che alcune persone godono dell'essere infelici, così se la possono raccontare meglio, e possono chiedere compassione e sentirsi giustificati nell'essere stronzi.
Continuo a ritenere meglio non lamentarsi troppo, e piuttosto agire per cambiare le cose.

Ma c'è una cosa a cui non credo più: il positive thinking ad oltranza, noto anche come sindrome di Pollyanna. Se sei stronzo, arrogante, insopportabile, meschino, non sai fare il tuo lavoro, spadroneggi gli altri ecc ecc io ho il sacrosanto diritto di incazzarmi, e pure di dirtelo. Col cazzo che va sempre tutto bene. Col cazzo che mi stanno tutti simpatici. Col cazzo che giustifico uno stronzo perché "sai, anche lui ha i suoi problemi". Col cazzo che avere una malattia sia una cosa da cui imparare qualcosa. Magari lo è, ma resta una merda. Col cazzo che è sempre tutto fantastico e che la vita è un continuo gorgheggio di gioia.
Mio papà aveva ragione: essere buoni ma non coglioni. Ora che lo sapete, regolatevi di conseguenza.




domenica 10 agosto 2014

Se potessi

Se potessi mi squarcerei,
ora, su questo tavolo di cristallo
nella casa dove sono nata,
senza indugi lo farei.
Mi squarcerei il petto.
Aprirei lo sterno bianco e le costole,
facendole scrocchiare, e arriverei al cuore
lo terrei in mano.
Lo frugherei, se potessi, il mio cuore.
Cercherei chi ancora vi abita,
i mostri che, sono sicura, fuggirebbero ovunque.
Farei entrare aria e luce, come in un sabato di primavera.
Cercherei i cadaveri e andrei a seppellirli.
Troverei i germogli e li metterei al sicuro.
Altrove.
In una terra calda e soffice e umida.
Lo aprirei, il mio petto.
Vedrei i polmoni, e con un respiro a mani strizzate
inonderei il mondo di luce
e di tenebra
e di immagini leggere che cadrebbero a terra schiantandosi
senza rompersi.
E le inutili parole che mi affollano scivolerebbero via.
Il mio petto, se potessi, l'aprirei.
E non posso.
Perché non ho coraggio.
Perché sporco tutto.

Allora lo tengo chiuso
e cerco un diverso coraggio.
Il coraggio di sapermi un ottuso angolo di niente
che si crede essenziale.
Il coraggio di vivere senza fare del male.
Il coraggio di sogni che non nascono
di bambini che non crescono.
Il coraggio di continuare
anche se il petto no,
non me lo posso squarciare.


venerdì 8 agosto 2014

Diventando Atena nel mare di Creta.

Mi sembra che le uniche cose di rilievo che mi hanno attraversato la testa durante dieci giorni di vacanza siano queste:

- cicale vs. formiche 1000 a zero. Le prime ti stordiscono dolcemente, illanguidendo i sensi e le percezioni. Le altre ti camminano addosso e ti rovinano il cibo. Ovvero Marilisa, ricorda: la volontà e il piacere siano il tuo dovere.
- in una spiaggia di sassi, rendendomi conto che erano tutti diversi l'uno dall'altro, ma proprio tutti, mi chiedevo: ma quando è che un sasso da piccolo lo iniziamo a considerare medio, e poi grande e poi gigante e poi una roccia e poi una montagna? I limiti non esistono, le cose, seppur distinte, sfumano le une nelle altre. Io sono il limite delle cose. La definizione, il giudizio, il giudice. Ricorda Marilisa: usa bene il tuo potere.
- dopo una discussione con il biondo mi sono resa conto di una cosa: è la nostra vergogna per come siamo ci tiene inchiodati a ciò che siamo, incapaci di cambiare. Ricorda Marilisa, ridi dei tuoi limiti, gioiscine, lasciali andare. Non sono la tua casa, non sono la tua protezione, non sono il tuo onore, non sono la tua onta.

Non pensare è la benedizione degli dei. Non pensare è diventare dio.


lunedì 21 luglio 2014

Lunedì

Ho un'unghia che mi fa male.
Il sole è tramontato.
Il vino, rosso, sa di tappo.
Speravo di averlo dimenticato,
come mezzo limone abbandonato nel frigorifero.
Ma anche oggi non posso che ricordarlo.
Morirò.
E sarò la bara, la terra, l'unghia, il sole, il vino e il limone.
Non sarò più.
Sarò niente.
Sarò di nuovo.


domenica 20 luglio 2014

Domenica

Come verso la fine dell'arcobaleno
camminerò verso
il centro di te.
Ad attendermi,
nessuna pentola d'oro,
- forse il leprachaun con la falce in mano?
Del viaggio sarà ricco
il mio - nostro - viaggiare.


martedì 8 luglio 2014

Nuovi femminismi

Nuovo femminismo n.1
Il Biondo, quell'essere eccezionale e eccezionalmente fortunato (visto che sta con me), l'altro giorno è entrato in camera di ritorno dal lavoro, un lavoro che lo fa tornare a casa generalmente tardi. Io dormivo visto che al contrario mi sveglio all'alba e devo dormire almeno 7 ore (soprattutto per mantenere la pelle giovane e fresca) e prima di mettermi a letto mi ero fatta la doccia e passata quelle due/tre/quattro creme che mi metto dopo le abluzioni. E il Biondo ha commentato: da quando sei qui questa stanza è profumata.
Qualche giorno dopo, mentre parlavamo probabilmente della sua totale incapacità di fare il bucato, mi dice: "Per fortuna ci sei tu ad ingentilirmi".
Ecco, io avrei potuto graffiare la faccia, fare il muso, covare vendette e/o pensare di mollarlo per una frase del genere se me l'avesse detta diciamo un anno fa. O magari se me l'avesse detta un altro, non so. 
Invece soffiandomi il naso gli ho chiesto se per favore andava in farmacia a comprarmi delle cose per la sinusite devastante che ho in corso (a luglio, maremma maiala!)
Lui si è un po' spaventato, che ha pensato subito lo volessi sottomettere, ma poi è andato.
Ad ogni modo, che cazzo c'entra tutto ciò con il femminismo?
Il femminismo è la rivendicazione che ogni donna dovrebbe fare per essere vista e considerata come degna di uguali diritti e doveri rispetto agli uomini, da parte di ogni uomo, in qualunque contesto sociale (per strada, al bar, a scuola e soprattutto al lavoro). E' il rifiutarsi di dare per scontato che le donne debbano stare attente a come si vestono di notte per non farsi stuprare, o che debbano diventare brave a dire no alle richieste di pompini da parte dei loro capi senza farsi licenziare, o che vengano giudicate stronze-in-carenza-da-scopata se sono loro stesse i capi ecc ecc. 
Ma il nuovo femminismo, almeno per me, è la rivendicazione che voglio tutto quello che ho scritto sopra, e non un dito in meno, ma anche la rivendicazione che sono donna, e ho delle peculiarità in quanto donna (sebbene non sappia fino a che punto queste peculiarità siano iscritte nella coppia di geni XX e quanto siano invece culturali). E rivendicare che sì, posso ingentilire, anzi, che forse il mio scopo nel mondo è proprio questo. E che invece di diventare un maschio e propagare un sistema machista e distruttore posso addirittura aiutare i maschi ad accogliere la loro parte più ingentilita, e non solo perché profumo la stanza, ma perché sto nelle relazioni umane in maniera più morbida rispetto al maschio medio e alla donna che si incattivisce perché vuole sentirsi accettata dal maschio. Ma non per questo divento babbea. 

Nuovo femminismo n.2
Alla fermata della 90 vedo un chiassoso gruppetto di adolescenti, di circa 14 anni. Due di loro si baciano, cioè lui bacia il collo ad una, che è ad ogni modo consenziente e felice, e le mette le mani ovunque. Lei, truccata, indossa un top maculato con scollatura su invidiabilissima (almeno per me) terza ed è alta una spanna in più di lui. Lei è una piccola donna, lui un bambino, liscio liscio e magro magro, con pantaloni neri un po' scesi e crestino. Penso: ma come farà a piacerle? Poi mi ricordo: hanno 14 anni e di fronte all'urgenza della scoperta non si può mica aspettare il principe azzurro. Però sicuramente poi lei capirà e ne cercherà uno meglio, più adatto a lei. 
Saliamo sulla 90, affollatissima. Si mettono davanti alla porta, poco lontano da me, e continuano a scambiarsi effusioni e a parlare ad alta voce. Lui è abbastanza invadente, un polpo. Lei cerca di usare il cellulare e lui è dappertutto. Ad un certo punto lei dice: "Dai basta, fai la bravA". 
Li (le?) guardo, devo ammettere curiosa e un po' imbarazzata. Sono due ragazzine, ma certo! E visto che lui cioè lei cioè quella più bassa non si scolla di un millimetro e schiocca dei baci superschioccosi, lei cioè quella più alta le ripete "Brava, dai! Tranquilla che devo rispondere". 
Ecco. Nuovo femminismo perché? Perché le due ragazzine sono serenissime rispetto al baciarsi in pubblico tra ragazze, e probabilmente delle 30enni avrebbero più remore e più timore, anche magari per episodi poco piacevoli di omofobia o scherno. E mi piace e sono felice di questa loro naturalezza. E penso che dovrebbe essere proprio così, baciare chi ci pare, ovunque. 
Ma nuovo femminismo anche perché ho pensato: ma scusa,  la differenza di aspetto e di altezza la trovi accettabile per due ragazze, ma insopportabile se si fosse trattato di un ragazzo e una ragazza?! Allora sei proprio scema, anzi, sei proprio figlia di questa società scema. Il nuovo femminismo è anche stare con chi ci piace: alto basso giovane vecchio ricco povero storpio o bonissimo. Liberi tutti! Libere tutte! 
(Ma per fortuna il Biondo è alto, bono e giovane! Ricco non so, ma siamo ricchi d'amore, se non mi lascia dopo aver letto questo post.)




sabato 5 luglio 2014

Tutti giù per terra

Sto lavorando in un centro estivo per bambini e ragazzi disabili.
Un posto abbastanza estremo, una specie di mondo in cui vigono le leggi basilari dell'esistenza, solo e semplicemente quelle, nella forma più schietta, e quindi quasi disturbante: mangiare, dormire, andare in bagno, ottenere quello che si vuole, essere compresi, essere amati, proteggere il proprio spazio vitale. 
Ci sono molti ragazzi con varie forme di autismo. In tutti è estremamente visibile un desiderio fortissimo, maniacale, verso qualcosa, generalmente un oggetto. Quando questo desiderio è soddisfatto, il resto del mondo non esiste più. Quando invece questo desiderio è insoddisfatto, la reazione è forte, a tratti addirittura violenta, esasperata anche dalla difficoltà nel comunicare.
Qualcuno ha paure incontrollabili, altri inspiegabili momenti di euforia o tristezza. Ignorano ciò che non vogliono sentirsi dire. 
C'è una libertà pazzesca nei comportamenti dei ragazzi. Fanno esattamente ciò che sentono nel momento in cui lo sentono, fregandosene del giudizio altrui. Il prezzo di questa libertà è vivere nella follia, nel completo, o quasi completo, isolamento. Incapaci di sentire le emozioni degli altri, e di trovare un canale per esprimere in maniera sensibile le proprie. 
E di nuovo ho pensato che in realtà siamo tutti degli autistici sotto mentite spoglie. Vogliamo delle cose e la mancanza di queste cose ci fa soffrire; siamo prigionieri di emozioni basilari che ci arrivano da vecchi schemi emotivi; tendiamo a ripetere dei pattern; ci spaventa il cambiamento; comunichiamo approssimativamente ciò che vogliamo e ci arrabbiamo se gli altri non ci capiscono; interpretiamo malamente ciò che gli altri ci dicono, perché proiettiamo sempre su di loro i nostri percorsi mentali; preferiamo ottenere il risultato immediato della soddisfazione del nostro desiderio invece di giocarci nella relazione con l'altro. 
Noi però siamo abituati a considerare questo schema normale. Ed in effetti è normale, perché è la norma.
Eppure ho capito una cosa. Che l'unico modo di uscire dal nostro personale autismo è vederlo e accettarlo a poco a poco, e vedere gli autismi altrui, e accettare le relazioni con gli altri esseri umani per come sono, sospendendo il giudizio, almeno per gli esseri umani che ci piacciono (e se facciamo questi esercizi, quelli che ci piacciono saranno sempre di più).
Provare a godere dei momenti di bellezza nelle relazioni e cercare il modo per moltiplicarli e replicarli, invece di chiuderci a riccio per evitare i momenti difficili, che, sapevatelo, sono inevitabili, ma, risapevatelo, si possono superare.
La soluzione all'estrema irrimediabile spaventevole lontananza tra di noi e ogni altro essere umano è ammettere che condividiamo la stessa situazione di disagio, in forme diverse e peculiari per ognuno. Ammettere che siamo costretti, strizzati, compressi in un mondo mentale angusto, e quindi allenarci ogni istante affinché lo spazio stretto e soffocante del nostro cuore, della nostra mente e dei nostri occhi diventi più flessibile, morbido, elastico.


martedì 1 luglio 2014

Imagine there's no heaven

Inferno e Paradiso non esistono.
Non esistono in cielo e non esistono in terra.
Esistono però nella nostra mente, capace di trasformare quello che è normale vita in pezzi di inferno e pezzi di paradiso, illusioni talmente vere da essere in grado di uscire dalle nostre teste e colonizzare la nostra vita e farla sembrare per davvero inferno o paradiso. Spesso a momenti alterni, che si alternano veloci come schizofreniche identità.
E addirittura queste illusioni invadono le menti altrui, delle persone vicine a noi, e poi le loro vite e le illusioni, più vere del vero, si propagano.
Siamo portatori sani di virus dell'illusione. E quando ce ne accorgiamo, non possiamo illuderci di non esserlo. E quindi una  cosa possiamo fare: decidere quali illusioni propagare, che sarebbe già un gran passo. Ma l'altro, decisivo, passo è quello di accogliere la vita così come è e riconoscere tutto ciò che succede, e lasciare che succeda. Non ci sarà più Inferno o Paradiso, colpa o demerito, delusione o euforia. Ci sarà solo una cosa: una perfezione sempre migliorabile. La perfetta perfezione delle cose imperfette, ma vere.

giovedì 26 giugno 2014

Sinnerman

Serve cura.
Cercare la parola giusta, l'immagine che vogliamo, il contatto perfetto, la distanza ben calibrata.
Cercare ciò che si vuole, e farlo, con la maggior cura possibile.
Sbagliare è concesso, ma solo se si sbaglia con cura, grazia, attenzione, se si sbaglia per imparare.
Non c'è orrore più grande che trascurare i dettagli, tirare via le cose, farle senza nemmeno accorgersene, fare sbagli e non notarli.

Voglio tornare dove le cose accadono, dove le cose si fanno, dove le cose pulsano, invece di stare altrove.



mercoledì 25 giugno 2014

Rimedi alla tristezza

Oggi ero triste. Molto. E sebbene scriva un blog e vi abbia raccontato quasi tutto, non scriverò il motivo della mia tristezza. Non importa, fra l'altro.
Importa al massimo sapere come l'abbia curata, questa tristezza. Ché a volte noi persone troppo analitiche sappiamo riconoscere benissimo che cosa ci fa male, e possiamo risalire alle cause delle cause delle cause, ma non troviamo soluzioni. Perché le cause si possono ricostruire, seduti a tavolino o sdraiati nel letto (o in piedi sotto la doccia) mentre piangiamo. Ma le soluzioni richiedono azioni. Richiedono empatia, che è un'azione, visto che è un moto dell'anima verso noi stessi o verso gli altri. Per le soluzioni non basta la pura speculazione.
Che cosa ho fatto, quindi, per curare la mia profonda tristezza? Ho chiamato alcuni miei amici, e con ognuno di loro è uscita una parte diversa di quella tristezza che mi abitava, senza nemmeno avermi pagato l'affitto.
Ognuno di loro ha smosso delle parti di me. Perché nemmeno nella tristezza siamo monolitici. Siamo piani che si intersecano, spirali, dodecaedri con spigoli in comune, gomitoli, nasse, librerie ingombre. Da un amico mi sono fatta spiegare delle cose, da un'altra ho accettato che mi facesse piangere. Un terzo mi ha fatto ridere, il quarto mi ha abbracciato senza parlare.
Ecco. La mia tristezza aveva tutte queste varianti. Era bella, polimorfa e cangiante.
Ma la cura vera è stata questa: prendere la 90 e fare mezza Milano. E dentro la 90, piangere. E così, ignorata da sconosciuti che in lingue diverse si affannano dietro e dentro le loro vite, mi sono sentita normale. Parte di un fluire che non solo va da Lotto a Corvetto e poi prosegue e gira tutta la notte, ma di un fluire immenso, che ha a che fare con me, profondamente con me, ma non ce l'ha con me. Un fluire che semplicemente appunto fluisce, e che è pronto a spazzarmi via, se mi metto a fare la diga, ma è pronto a portarmi dove devo essere portata se mi ci abbandono.


giovedì 19 giugno 2014

Il senso è che il senso non esiste

Non riesco a scrivere. 
Non ho tempo, ma questa del tempo è sempre una scusa. Mi manca una motivazione.
Mi sento così precaria di ritorno a Milano, e precisamente a Milano sud e precisamente nella casa del Biondo e dei suoi coinquilini, e nello stesso tempo così immersa in una richiesta di presa in carico del mio futuro (lavoro, casa, soldi, graduatorie della scuola, progetti da finire o da iniziare, ulteriori esami, la 90 che non arriva mai) che non so che cosa scrivere.
Rivedo poco a poco i miei amici e mi sembra di non essere partita mai, di essere rimasta qui. Eppure sono cambiata, ho i capelli più lunghi e più ricci e dei brufoli che non se ne vogliono andare, scesi con me dall'aereo proveniente da Londra, a Orio all'incirca due mesi fa.
Non ho scritto quasi a nessuno, né inglese per sapere come si sta a Boston, anzi, per accertarmi che Boston esista davvero, né italiano. Non rispondo quasi mai ai whattsapp. Viaggio spedita, eppure vago. Vedo le persone che ho voglia di vedere se riesco. Programmo meno. Mi agito forse di meno, ma da qualche parte mi agito ancora di più.
Devo trovare nuove motivazioni per ribellarmi al diventare adulta. Voglio diventare responsabile di me stessa, ma non adulta. Adulto è una parolaccia, una gabbia, è la noia e la scelta che non sceglie. 
Voglio guardare fino a diventare tutt'uno lo zingaro al semaforo, le nuvole del temporale che si avvicina, l'acqua del naviglio, i miei nipoti, sentire le lenzuola sfregarmi addosso, la stanchezza bruciarmi gli occhi, la soddisfazione gonfiarmi il petto, il rimorso stringermelo, le gocce del temporale che finalmente si sfoga cadermi sulla pelle. Voglio assaporare il sole, vedere le pozzanghere asciugarsi, l'altalena riprendere a dondolare. Voglio pedalare forte e sudare copiosamente, disprezzare e amare molto i pendolari e soprattutto le pendolari anche se indossano le ballerine.
E non riesco a farlo. 
Ho un velo, dentro. Il sipario rosso della stanza con le piastrelle bianche e nere di Twin Peaks. Finché non si alza, o non si crea un varco da cui forze ignote possano fluire, non riesco a scrivere. Se non dell'impossibilità di scrivere. 
Serve attingere alla vita, per vivere. E la vita degli adulti non è una cosa in cui ci sia vita. Come in questo blog, esistono parole, ma non esiste il nerbo, la spina dorsale, il senso e la finalità. Visto che effettivamente il senso della vita non esiste, ma dobbiamo inventarcelo perché senza non sappiamo vivere, vorrei riuscire a reinventarlo. E certamente non sta in nessuna delle cose in cui mi sono immersa per obbligo caso o scelta azzardata
La verità è che è veramente ricco chi può scegliere di occuparsi di ciò che vuole, e di se stesso. Tutto il resto, a parte il Biondo che quando arriva a casa tardi dal lavoro mi riempie di felicità, non conta niente. 


sabato 7 giugno 2014

Dell'essere altro. Dell'altro essere.

Oggi vorrei essere una chiocciola.
Andare per il mondo solo con il necessario. La mia protezione, creata in maniera inconscia e naturale da me, un posto che non è un posto, in continuo aggiornamento, portato sulle mie spalle.
Vorrei rinunciare a valigie, libri, vestiti, scarpe, sandali, cinture, borse, computer, libri, sigarette, penne e diari.
Vorrei muovermi lenta, lasciando un segno del mio passaggio semplicemente perché vado, non perché lo penso e lo organizzo. Smettere di correre e di affannarmi e di girare a vuoto e di richiamare l'attenzione. Andare, e basta.
Vorrei prendermi cura di me, come fa la chiocciola secernendo la bava che la protegge dalle asperità del terreno.
Vorrei chiudermi in me quando sono stanca, per poi  forare la barriera quando il giusto tempo è giunto.
Vorrei incontrare un altro essere, simile a me, da amare per un momento, per fecondarci a vicenda, e poi salutarci. Senza litigare su mascolinità e femminilità, su distanze e differenze. Senza nemmeno godere della bellezza dello scambio. certo, ma oggi andrebbe bene così.
Vorrei mangiare la lattuga, e non temere la morte, che arriverà con il becco di un tordo, la lingua di una rana, o il veleno dell'uomo.
Vorrei essere simile, ma un po' diversa dalle altre chiocciole. Vorrei non sentire il sapore aspro del mio ego, e passare la vita respingere o subire o condannare o compatire gli ego altrui. Tutti uguali, protetti dal guscio, tutti liberi, tutti soli.
Vorrei.  Ma non posso. E forse nemmeno mi piacerebbe.
Però oggi ci penso, e così mi placo.


mercoledì 30 aprile 2014

Notturno - Milano Est

Viale Forlanini. Ore 01:00.
Neve a fine aprile, parrebbe.
Invece no. E mi scopro a pensare quanto sarebbe bello fare l'amore trasportati  dal vento che preannuncia un temporale, come i piumini dei pioppi, abbandonati alla saggezza della natura, totalmente inconsapevoli e quindi totalmente presenti.
Poi dei fari mi portano via, e sto di nuovo guidando.

giovedì 24 aprile 2014

Salus per nihilum

L'unico modo che conosco per rimanere sana di mente è sdoppiarmi, triplicarmi, moltiplicarmi.
Guardarmi da fuori, con occhi che non siano i miei, da punti di vista improbabili.
Cercarmi nei sogni, nel respiro, nella sigaretta che fumo, nel caffé, in una coccinella, nell'acqua che mi scende nell'esofago e in quella che scorre nel lavandino.
Vedermi come mi vede mio padre, mia madre, il venditore di rose, un nazista, Renzi, mia sorella, la mia migliore amica, il mio fidanzato, il meccanico e pure un medico, un ubriaco e il cane che passa al parco.
Guardare il mio sguardo che guarda il mondo.

Sono niente, un aggregato di sguardi e sensazioni.
Sono potentissima, in questo niente.


domenica 20 aprile 2014

Esistenzialismo pasquale

"Le Progrès, ce long chemin ardu qui mène jusqu'à moi."
"Faute de renseignements plus précis, personne, à commencer par moi, ne savait ce que j'étais venu foutre sur terre."
Jean-Paul Sartre, Les Mots, 1964
La mia vita è come una bava di lumaca in una foresta.
Quasi invisibile, evanescente e trascurabile.
Eppure sono qui, a lasciare una scia di cui nessuno si ricorderà. Che anche per Dante Alighieri o Gesù Cristo, ad un certo punto le loro bave di lumaca spariranno, nel Big Bang finale o sgretolate nel tempo o nei fraintendimenti di chi pensa di osservarle e conoscerle, quando in realtà sta guardando il riflesso del riflesso del riflesso nel proprio occhio.
Eppure sono qui, e l'unica cosa che riesco a fare è dirmi che non è tutto uguale.
Non le parole scritte, non le parole dette e nemmeno quelle lette, non i sorrisi, non le lacrime non il peso la qualità il colore dell'amore, non i cieli e non i venti, non le mani e non le bocche, non i fiori non le musiche,  non le fabbriche non le stalle non gli uffici non i treni. Non sono tutti uguali.
Eppure tutte queste cose hanno una sola funzione: sono un diversivo dal pensiero della morte. Del mio essere sola davanti alla morte. Dal momento in cui mi girerò e vedrò la bava di lumaca che ho lasciato dietro di me. Inutile, compiuta e quindi vicina alla definitiva scomparsa.
Eppure, la bava di lumaca che è la mia vita non può che compiersi e farsi che nell'assommarsi di scelte, che no, non sono tutte uguali.
E la mia bava di lumaca, svanirà. Ma forse potrò vederla, per un momento, perlacea, trafitta dal sole, bella e preziosa e insostituibile. Forse.
O forse no.
Eppure sono qui.



mercoledì 16 aprile 2014

Le cose che farò una volta tornata in Italia

I have been to hell and back.And let me tell you, it was wonderfulLouise Bourgeois

Tra tre giorni sarò a quest'ora sarò a Orio al Serio. Oltre a ringraziare la Ryanair, che sebbene odi non posso che ammettere che sia comoda, mi sembra giunto il momento di fare una lista delle cose che farò una volta tornata in Italia.
Amo le liste, e poi per me questo è un nuovo inizio, quindi faccio la lista delle cose imparate e dei buoni propositi, come si fa a dicembre/gennaio per celebrare la fine/l'inizio dell'anno nuovo.
Ecco le cose che farò una volta tornata in Italia:
- farò moltissimo l'amore con il biondo e mai più espatrierò senza di lui.
- farò moltissime coccole ai miei nipoti, e ascolterò le loro storie e gli racconterò le mie. E li farò ridere, che le risate dei bambini sono la benedizione del mondo.
- andrò dalla mia mamma e dal mio papà a ringraziarli, che anche se mi hanno fatto in un modo per cui sono dovuta andare lontanissimo per trovarmi e per trovarli, ecco, mi hanno fatto.
- andrò dalle mie sorelle e mi farò coccolare
- andrò a salutare anche le zie e gli zii e i miei cugini e RdL tutta
- berrò un sacco di spritz con i miei amici
- pian piano chiamerò tutte le persone che avrei voluto chiamare in questi mesi, e gli dirò quanto gli voglio bene, e se possibile le vedrò
- comprerò una bicicletta
- comprerò una casa, a Milano. E l'arrederò e la terrò per benino. Poi prima o poi ci saranno pure dei bambini dentro la casa
- monterò il documentario che ho girato qui, e se farà schifo sarò contenta lo stesso, perché l'ho fatto quasi tutto da sola. E soprattutto perché l'ho fatto.
- lavorerò ad altri progetti miei, ora che so che non è impossibile farlo
- continuerò a disegnare, anche se sono una mezza chiavica
- continuerò a recitare
- ricomincerò a mettere l'anticellulite
- sarò meno pigra e sperimenterò di più
- proverò a non sentire il giudizio degli altri
- smetterò di cercare definizioni per me stessa, e per gli altri. Smetterò di voler essere diversa, e di volere gli altri diversi
- farò in modo di riuscire a fare la cosa che più mi piace al mondo: insegnare. Non solo Dante, le guerre puniche o l'attacco sull'asse, ma come diventare esseri umani. Ci proverò, per lo meno. E lo voglio fare in Italia.
- mi ricorderò dell'importanza di fare una cosa per volta, e quando non ci riuscirò e tutto mi sembrerà difficile, proverò a ridere di me e della mia confusione
- mi ricorderò degli amici conosciuti qui, e gli scriverò ogni tanto. E se verranno in Italia, farò in modo che la mia casa sia la loro casa
- mi ricorderò che essere cattivi, razzisti, giudicanti è molto più facile che non esserlo. E che l'unica cosa che conta, per diventare essere umani migliori, è fare le cose difficili
- mi ricorderò che essere felici è difficile, ma anche molto facile, e che nessuno può essere felice al posto mio, o farmi felice al posto mio.
- terrò presente che essere buona non vuol dire essere cogliona, e nemmeno smettere di lottare per le cose in cui credo. Ma significa smettere di lottare contro qualcuno.
- non andrò mai più a vivere in un posto freddo
- cucinerò di più, e in modo più salutare, e mi iscriverò ad un gruppo di acquisto solidale
- proverò ad essere vegetariana seriamente
- assaporerò le pause, e saprò che tutto passa
- amerò la mia malinconia, il mio disgusto per l'umanità, le mie paranoie, la mia tendenza depressoide, perché senza di quelle non sarei io, e senza quelle non vorrei diventare migliore
- apprezzerò la pazienza
- avrò fiducia, e mi farò stupire
- saprò gestire la noia, e la routine, senza diventare pazza, ma nemmeno senza diventare noiosa
- comprerò un bollitore elettrico per il the e le tisane, che non posso più vivere senza
- smetterò di dire che all'estero è sempre tutto più bello, più giusto, più facile e meno provinciale
- smetterò di dire che "come in Italia, da nessun'altra parte"
- mi ricorderò che quando arriva la merda, lamentarsi non serve a niente, e l'unica cosa sensata da fare è usarla come concime
- continuerò ad usare gli altri come specchio del mio orrore o della mia bellezza, e mi offrirò a loro per fare lo stesso
- conoscerò persone e posti nuovi, e supererò ogni giorno le mie personali, interiori Colonne d'Ercole, e non avrò più paura d'andare all'Inferno come Ulisse. Perché all'Inferno non credo più.


lunedì 7 aprile 2014

Potrei scriverti io una poesia d'amore

Potrei scriverti io una poesia d'amore.
Che le leggo, le poesie d'amore,
ma i maschi le scrivono per le femmine,
e non posso dedicartele;
e ad Alda Merini abbiamo strofinato le parole così a lungo
che non ne è restata che la buccia.
Ma che poesia posso scrivere io?
Di che posso parlare?
Non dei capelli, del polso gentile e del sorriso.
Delle gambe? Fa ridere ammettere che mi piacciano.
Non posso scrivere una poesia per far ridere di me.
Non posso lasciare che mi ami fino al punto in cui riderai di me.
Ma posso ridere finché mi amerai.
E posso farti ridere, perché così mi amerai.
E posso ignorarti, così torturata mi amerai.
E posso essere puttana, così sarai geloso.
E posso essere santa, così sarai sereno.

Oppure posso stare zitta, e ascoltare la tua voce,
che si fa scoppi e crepitio.
E, zitta, guardare nei tuoi occhi la tenerezza,
concreto desiderio di corpi.
E con parole senza lettere seguirti nel cosmo.
E, zitta, annusare e cercare nell'odore
i confini tra me e te. E non trovarli.
E, zitta, sentire l'anima che si raffredda,
mentre vai via.
E, zitta, dirti: "Oggi, fai tu.
E anche domani."
Perché io presumo, e non so niente.
Io tagliuzzo e rompo tutto.
Io ho ragione, e sbaglio tutto.
Io mi scuso e raggomitolo.
Tu ti fermi.
Tu mi fermi, mi spacchetti.
E sono nuova. E sono intera.



domenica 6 aprile 2014

Le parole proibite nel 2014: comunismo e capitalismo


In realtà la borghesia conosce solo un modo per risolvere il problema delle abitazioni, e si tratta di una soluzione che riproduce di continuo il problema. È il metodo chiamato “di Haussmann”… Le ragioni possono essere le più diverse ma il risultato è sempre lo stesso: i vicoli sordidi e le stradine malfamate scompaiono, permettendo alla borghesia di congratularsi sfacciatamente con se stessa per il magnifico successo conseguito, ma ricompaiono immediatamente da qualche altra parte… La stessa necessità economica che li ha prodotti in un luogo li riproduce in un altro. 
Engels, La questione delle abitazioni, 1872

Ormai la parola comunista è una parolaccia. La si associa solo ad una cosa: il comunismo sovietico, che di certo non era un posto divertente dove vivere. Non raggiunse l'obiettivo di rendere gli uomini uguali, rese solo qualcuno più uguale degli altri. Non cambiò i parametri su cui valutare l'economia, visto che URSS e USA per decenni fecero la gara di forza sulla produttività, la conquista dello spazio e altre simili amenità. Non trasformò la tecnologia in uno strumento di liberazione degli umani dalla maledizione biblica della fatica. 
I teorici del comunismo, meglio, del socialismo, videro con chiarezza i problemi dell'assetto economico-politico e sociale del loro tempo e le loro previsioni sullo sviluppo della società capitalistica (concentrazione della ricchezza nelle mani di un numero sempre minore di persone) sono perfette.
Però l'applicazione pratica, il tentativo di applicazione pratica è stato fallimentare. Anche a Cuba, dove tutto sommato grazie anche ad un clima più mite (e quindi una predisposizione d'animo diversa) le cose non sono andate così tragicamente, il socialismo reale è agli sgoccioli. Del resto il capitalismo non fa stare meglio le persone. Basta guardare gli Stati Uniti con le agghiaccianti statistiche sulla povertà, o la Cina capitalista per capirlo. O la tecnologia usata solo come mezzo per risparmiare su quel fastidioso obbligo di far lavorare gli operai.  O le code alla Caritas dei pensionati, a Milano, nel 2014.
Però il capitalismo non lo possiamo criticare, perché sarebbe come il cane che morde la mano che lo nutre, o il pesce che vuole fare a meno dell'acqua in cui vive. Ci dicono che il capitalismo è "naturale". Belli miei, di naturale e inevitabile quando si parla di cose umane non c'è niente, a meno che non si persuadano le persone del contrario. Ad esempio: per un bambino con una famiglia violenta, quella è la sua normalità, e non può che presupporre che in tutte le famiglie funzioni così. Ma quando, con tanta fatica, pazienza e amore qualcuno gli svela che non è così, il mondo per lui cambia. E anche lui cambia, anche se sempre si porterà con sé i segni di quella prima esperienza. 
Comunque, tornando al punto, perché il comunismo ha fallito nonostante la precisione dell'analisi? Perché il capitalismo continua invece a mettercelo in quel posto con grande naturalezza? 
Perché? Be', mica sono una politologa. Ma mi piace guardare la natura degli esseri umani, a partire dalla mia, e dare una risposta. 
E mi sembra di aver capito che tutti gli esseri umani vogliono qualcosa di speciale nelle loro vite. Non possono sopportare di essere una cosa tra tante altre cose. E sia il capitalismo sia il comunismo lo fanno. Ci fanno sentire parte di un ingranaggio. Ci fanno sentire in colpa, o addirittura ci arrestano a seconda dei casi, se deviamo dalla norma, se abbiamo sogni altri rispetto al successo, i soldi, l'obbedienza alla realtà. 
Però il capitalismo è più intelligente, e sfrutta questo desiderio umano vendendo il sogno del successo. Se ci si impegna, si lavora, si rispettano le regole (almeno formalmente) si può agevolmente scalare la piramide sociale. Fondamentalmente si può passare dall'essere fottuto da qualcuno al fottere qualcuno. 
Lo chiamiamo sogno americano. A me sembra un incubo, in cui le nostre vite restano intrappolate. 
Cerchiamo il successo e la ricchezza, perché è ciò che siamo abituati a considerare come prezioso e rilevante. 
Ma ci dimentichiamo di noi, e degli altri. E se pensate che sia buonista, andate a fare in culo.  Steve Jobs e il suo discorso "Stay hungry, stay foolish" è bellissimo e pieno di insights, ma la sua visione del mondo ha infine portato la Apple, che io finanzio (sia ben chiaro, non mi tiro fuori dal gioco) a produrre i suoi prodotti in Cina con condizioni e paghe non esattamente democratiche. 
A me pare che forse la parola comunista potrebbe tornare in voga in un'altra accezione, oppure insomma possiamo inventarne un'altra meno sporca di quella, partendo dal fatto che l'umanità ha bisogno di una cosa: di un sogno comune.
L'asfissia dei sogni collettivi/collettivistici del comunismo e il livore dei sogni individuali capitalistici sono un massacro per milioni di vite. 
Serve un sogno comune, in cui io conto quanto gli altri, ma so che io sono diverso da chiunque altro. Un sogno in cui questa diversità sia accettata, elaborata, condivisa, partecipata e rispettata. Un sogno in cui nessuna religione dica che le donne, gli omosessuali, i neri o i punk sono pericolosi. 
Un sogno che dica solo che we're born to shine. E dia ad ogni individuo la possibilità concreta di farlo, a modo suo, per sé e per far sì che possano risplendere anche gli altri.
Finché risplendere è vietato perché ci rende eccezionali e dobbiamo essere normali, e finché chi risplende risplende tanto da rendere invisibili gli altri, perpetueremo quell'inferno in terra di cui parla Sartre, in cui gli altri sono il nostro personale inferno. Perché noi siamo il loro personale inferno. 

sabato 5 aprile 2014

Le cose che ho imparato in sette mesi di scuola nella campagna inglese

Tu le connais, lecteur, ce monstre délicat,
- Hypocrite lecteur,  - mon semblable,  - mon frère!

Oggi è stato il mio ultimo giorno di scuola a Spilsby, Lincolnshire, UK.
Forse è presto per fare un bilancio, ma voglio fissare questo momento di consapevolezze all'incrocio tra me, la stranierità, l'adolescenza e l'educazione,
Al di là delle questione prettamente didattiche (esiste un modo di insegnare storia che non è il prof che parla per due ore, si possono coltivare talenti artistici anche dentro un percorso didattico strutturato) ho capito che:
- in classe non hai solo dei ragazzini. Ogni mattina arrivano a scuola le loro famiglie e l'intorno geografico, socio-geografico, psico-geografico, e il governo, e i datori di lavoro, e il mondo intero. Hai torme di persone davanti a te. Tu occupati solo dei ragazzini,  che sono il tuo vero datore di lavoro, ma non dimenticarti che tutti gli altri hanno influito, influiscono e influiranno su di loro.
- il fatto che i ragazzini siano il tuo datore di lavoro non significa accontentarli o che debbano averla vinta ogni volta. Significa conquistare la loro fiducia e ammirazione, così li avrai vinti per sempre, e faranno tutto quello che gli chiederai. Ma loro non sapranno che lo stanno facendo per loro stessi e non per te, quindi tu ringraziali.
- per insegnare qualcosa devi trovare un punto di equilibrio tra la noia di quello che gli studenti sanno già e l'impossibilità di quello che non sanno ancora fare. Un faticosissimo equilibrismo. E devi sempre spiegare perché stai insegnando ciò che insegni. La risposta: "è nel programma" non convince nessuno.
- per essere un bravo insegnante servono sogni. Sogni personali, e sogni sui ragazzini. Di un loro futuro brillante, luminoso. Non ricco, no quello che cazzo c'entra. Un sogno di felicità. Non servono le statistiche, non i codici di progresso. Ma i sogni. E principalmente il sogno che questi ragazzini costruiranno un mondo migliore. In una scuola di provincia è maledettamente difficile sognare e far sognare. Perché tutto è lento, immutabile, conservatore perché conservato, disperso, lontano ma nello stesso tempo tutti ti controllano. In provincia i sogni diventano prepotenti, e devi andare a farli germogliare altrove, o non diventano. In provincia i sogni non superano i confini del villaggio, i limiti del pettegolezzo. Devi avere sogni giganti, in provincia.
- la provincia è uguale ovunque. Mi fa mancare il fiato e venir voglia di scappare, ovunque si trovi. Ma mi affascina, anche, perché mi fa tornare da dove sono partita. E in provincia, quella vera, la gente si sposa tra consanguinei e gli stranieri sono quelli del villaggio accanto. Immaginatevi come potevo essere straniera io. Ma il fatto è che siamo tutti stranieri, ma con una grande urgenza di appartenenza e accettazione.
- quello che un insegnante sogna per sé, determina il sogno che avrà per gli studenti. Ma un insegnante sa anche che il sogno non è un obbligo, ed è pronto a cambiare idea,  perché sa che ha molte più cose da imparare che da dare. La supponenza degli insegnanti è orrenda, sterile, anzi controproducente. E i ragazzini ti vedono attraverso. Non puoi mica mentire od abbellirti. Il sorriso finto lo sgamano subito. La noia, pure. La paura, in un nanosecondo.
- insegnare è gettare un seme che non sai quando germoglierà e che cosa ne nascerà. Ma se non lo lanci, questo seme, non nascerà niente. Le date, i fatti, i nomi, quelle se le dimenticheranno. Ma il seme, prima o poi, fiorirà. E questa scuola inglese che si ossessiona con i risultati è una scuola che non vuole che gli insegnanti lancino questo seme. Perché il seme è potenzialmente rivoluzionario, mentre le statistiche sono inerti (se non per tagliare i fondi a chi non li raggiunge, e obbligarlo a insegnare per il risultato immediato). Se in Italia mi lamentavo di questo controllo, in Inghilterra è così opprimente da togliere il fiato. 
- nella scuola dove ho lavorato gli insegnanti erano stressatissimi: 35 ore a settimana a scuola più il tempo a casa di correzioni e preparazione, controlli ogni sei settimane, valutazioni interne, valutazioni esterne, report, programmazioni scritte, riunioni. E nessuna staff room. E soprattutto  la supervisione non disinteressata di un tizio che guadagna dal gestire l'accademia grazie a detrazioni fiscali gentilmente concesse dal "labourista" Tony Blair. Cazzo, che sogni puoi avere in queste condizioni? Gli insegnanti sono lavoratori, ma non possono essere sfruttati (nemmeno gli altri lavoratori dovrebbero esserlo, tra l'altro). Gestiscono relazioni, e devono avere il modo ed il tempo di essere aperti per accogliere queste relazioni.
- un mio studente aveva problemi di dislessia. Ogni tre parole mi chiedeva: "Is the spelling correct?" e lo era sempre. Lo stigma del problema addosso ad un ragazzino lo segna a lungo. Nello stesso identico modo,  il nostro giudizio sulle cose le fa diventare quello che vogliamo, anche in senso negativo, visto che lamentarci vien sempre comodo. Le cose e le persone cambiano, mutano, ma solo se lasciamo loro lo spazio per dispiegarsi.
- R. è gigante, ha 13 anni ma se volesse potrebbe farmi seriamente del male. E' totalmente ingestibile: problemi di attenzione, di lettura, un'intelligenza superiore che non riesce ad esprimersi pienamente, unità alla naturale stupidità della sua età. L'ho visto felice solo cucinando, e ho visto la sua TA (sostegno) arrancargli accanto tutti i giorni. E lei riconosce in lui un'umanità e delle qualità uniche. Perché R. sa essere tenerissimo, e onestamente disarmante. Ma ho visto gli insegnanti insistere perché lui si comportasse secondo la norma. Ma che norma possiamo applicare a R.? La sua vita è la sua norma. Non è nasty, è solo ciò che può essere. E non sarà la voce grossa a dissuaderlo. E non sarà dargli una red card, metterlo in isolamento, spedirlo fuori, chiamare l'extra support ad aiutare il docente. Perché nel momento in cui l'insegnante gioca più pesante, gioca di forza ha perso. Perché ora il ragazzino sa che lo considera un nemico, e farà di tutto pur di vincerlo.
- Un giorno preparavo un piccolo video, e cercavo i costumi. Ho messo le scatole dei costumi nel corridoio, perché erano impilate in un minuscolo sgabuzzino. Giusto il tempo di aprirle, cercare, richiudere e riporre. Qualcuno passando le ha viste, e ha pensato che ero un pericolo per la sicurezza dei ragazzi e hanno fatto un report in segreteria. Oppure hanno pensato che la domanda di uno studente, a margine di una lezione, su come si diceva una parola in italiano, fosse una pericolosa distrazione sulla via della saggezza che loro stavano infondendo agli studenti. Quindi, le perle ai porci conviene darle solo se i porci hanno qualche possibilità di migliorare, ovvero sono ancora studenti. Agli adulti meglio dare solo quello che si meritano. E invece di arrabbiarmi, restarci male, giudicare, dovrei sempre ricordarmi che il nemico sono io. Perché se io sono serena, niente mi tocca. E per essere serena, non posso che fare una cosa, essere me. Peccato che in Inghilterra, in una certa Inghilterra che poi è simile ad una certa Italia, essere adeguati sia più importante dell'essere sinceri. Vedi tabella sottostante. Vedi la mia ironia amara sugli inglesi. Non sono mica serena, se noto tutto ciò.
- L, why are you here? ( sottotesto, at this lesson, if you are refusing to work) Risposta: Because I'm from Spilsby Miss. Why are YOU here? La sensazione di solitudine, di straniamento, di diffidenza, di rifiuto che ho provato io, straniera in una scuola di provincia, è la sensazione base di ogni essere umano sulla terra, da quando si stacca dalla mamma fino alla tomba. E ogni essere umano sulla Terra, tendenzialmente fa quel che può, quel che gli hanno insegnato a fare per proteggersi da queste sgradevoli sensazioni. Gli adolescenti attaccati (esplicitamente o implicitamente) dagli insegnanti, si proteggono attaccandoli, e viceversa. L'indigeno che si sente invaso dai forestieri, attacca vedendoli sbagliati, pericolosi. Lo straniero attacca l'indigeno, trovandogli i difetti, o bevendo rumorosamente wodka sulle sue panchine per difendersi dalla solitudine. La working class sgomita per arricchirsi, non capendo che il ricco ha bisogno del povero, e che per uno che ce la fa, milioni vivono in un'assurda rancorosa speranza. L'orrore del mondo è dovuto al fatto che il divide et impera è un meccanismo chiarissimo a quelli che comandano, che sanno usarlo per far fare le guerre intestine ai poveracci, invece che contro di loro.
- un regalo dato o ricevuto, un abbraccio a ciglio umido e un "ciao", in italiano, detto da (o indirizzato a) uno studente di cui ti ricorderai per sempre come se avessi tra gli 11 e i 16 anni, è una ricompensa eccezionale. Love is the answer.

La conclusione di tutto ciò è una sola. Almeno per me.
L'equilibrio tra individualità e comunità, tra differenze e umanità, tra tradizioni e novità, tra peculiarità e globalità, tra trasmissione del sapere e innovazione del sapere, tra autoritarismo e egualitarismo, tra si trova in un solo modo: bisogna uscire dal proprio ego.
Voglio ricordarmi sempre che niente di ciò che accade è un attacco a me, che gli altri sentono le loro miserie e si stanno, anche loro proteggendo. E che se attacco peggioro tutto. Posso solo provare ad essere gentile. Almeno al livello di vita quotidiana, delle persone che incontro e che sono come me. Anche se poi certamente esiste qualcuno che sa che fili sta tirando delle marionette che pensa di comandare, e per quelli riservo tutta la mia indignazione e cercherò per quanto possibili, di fotterli.
E voglio ricordarmi che tutto è collegato, l'altro non è altro, ma è un'estensione di me, altrettanto preziosa. Anche se diversa. Dividere il mondo in me/altri è come scegliere un braccio, tra destro e sinistro, a cui rinunciare. Saremo monchi per sempre, se faremo questa scelta.
Una volta affrontato l'ego, e vigilato, tenuto a bada, combattuto giorno per giorno, tutto il resto (ovvero il cambiamento politico, economico, sociale) sarà solo una naturale conseguenza di tutto ciò. Perché se fai crollare dentro di te il divide et impera, questo smetterà, prima o poi di funzionare. E' l'unica rivoluzione possibile, che è poi il mondo, possibile, ancorché difficile di gente come Gandhi e Mandela. Quindi certo che serve fare politica, e protestare contro chi il divide et impera lo usa e lo vuole diffondere sempre di più. Bisogna però, credo, soprattutto cambiare prospettiva. Ma che fatica, e che tempi lunghi.
L'alternativa, però. ricordiamolo, è privarci di un braccio... Preferisco avere pazienza, e tenermi due braccia.

lunedì 31 marzo 2014

Un post su commissione, al fin di render nota la verità, e essere un po' meno babbazzi.

Allora, in Inghilterra sono convinti che Caffé Nero sia italiano. Cioè, non semplicemente che sia uno dei pochi posti in cui accanto al Latte e al Frappuccino puoi bere un buon caffé espresso italiano.
No, pensano proprio che noi in Italia si vada da Caffé Nero, invece che al bar cinese sottocasa, o da Princi.
Probabilmente pensano addirittura che ci mangiamo i mini panettoni che stanno in bella vista sul bancone per tutto l'anno,
Baristi (li chiamano proprio così, senza sbagliare lo spelling, al contrario di molti aspiranti concorrenti del Grande Fratello italiano) di Caffé Nero indossano magliette con questo claim: The best espresso this side of Milan.

Quello che gli inglesi non sanno è che in realtà noi italiani, noi milanesi per la precisione, andiamo alla California Bakery, pensando di fare una cosa americana, e pensando che in California facciano lo stesso. Mmm, spiace deludervi, ma California bakery è tanto italiana quanto Caffé Nero è inglese.
E sono entrambe spropositatamente care, perché oltre ai prodotti vendono il sogno di stare per un po' in un altrove più figo, più cool, più internascional.
E poi, da una parte all'altra della Manica e dell'Atlantico, siamo incapaci di mettere in fila due frasi nella lingua che ci fa sognare...

Mortacci nostri e loro e de tu nonna! Che siamo scemi!