mercoledì 26 novembre 2014

Trasloco

Sono a casa dei miei, a svuotare la mia cameretta, che in realtà non è la mia ma è quella in cui sono state le mie sorelle finché non si sono sposate, tutte e due nello stesso anno, lasciandomi sola di colpo, con un sacco di spazio a disposizione, che ho riempito di ogni cosa.
Libri, alcuni essenziali, altri buoni per tenere fermo un tavolo ballerino, altri intonsi. Biglietti di auguri dalle zie e da amici persi di vista. Un post-it di un collega ora morto che mi chiede di restituirgli il libro autografato da don Gallo. I diari in cui ho scritto, male, su ogni piega dello vita umana e della mia misera contorta rattrappita psiche. Le preghiere che mi turbavano l'anima, che forse invece non esiste, che mi dava don Ezio. Le cose negli scatoloni da un'altra parte. La lampada da tavolo blu che non trovo.
Libri in spagnolo e in inglese. Addirittura in portoghese, che non parlo, L'orecchino di legno che ho tenuto per anni. I Dylan Dog che regalo a mio nipote Lorenzo.
Guardo i miei, stanchi, che mi hanno comprato-ristrutturato-preparato la casa, con la morte nel cuore perché vado lontano da loro e l'asma nei polmoni di 5 piani senza scale. La crema che ho messo sulle spalle di mia mamma. Il muso di mio papà, che non voglio vivere più, ma mi piega.  Li vedo così vecchi (se sanno che scrivo questo mi ammazzano) che vorrei tornare qui e prendermi cura di loro. Dire loro di non preoccuparsi, hanno fatto il possibile, ma mi hanno fatto testa di cazzo, ma che ce la faccio, ed ho imparato. Non tutto, ma molto. Che la vita fa, e io assecondo. E quando non assecondo non mi schianto, ma cado, rimbalzo e riparto.
Penso alle mie sorelle, alle botte che ci siamo date, a quando mi dicevano che ero arrivata a casa arrotolata in un tappeto peruviano, alle Barbie coni capelli tagliati, ai nostri occhi verdi, in gradazioni diverse. Penso che vorrei vederle di più, e dire loro che io me ne sono andata, ma le amo, siamo uguali e diversissime, amo i loro figli e vorrei respirare il loro odore tutti i giorni.
Penso ai miei amici che non vedo da mesi, perché mi esaurisco per far appassionare i miei studenti all'Espressionismo Tedesco, e faccio i salti mortali per arrivare a sera avendo fatto tutto, non dormo mai, e Milano in questi mesi è faticosissima. E vorrei fare i biscotti con loro la domenica, o andare al centro sociale e invece no. Invece inseguo non so nemmeno bene io che cosa.
Penso al Biondo, e alla nostra timorosa, morbida, fragile, impetuosa, insensata aspettativa di non avere aspettative. E penso che quando la domenica vedo le coppie a passeggio vorrei non essere coppia. E voglio essere io, e voglio che lui sia lui, e che ci incontriamo ogni secondo. Ma che non voglio sapere chi è. Non voglio nemmeno che lui sappia chi sono io. Perché sono certa che non gli piacerei. Il tocco della sua mano, quello lo riconoscerei dovunque. I piedi che mi scaldano i piedi, i bassi della sua voce, pure.
Penso ai ricordi che lascerò a qualcun altro, e tremo all'idea. Tremo anche all'idea che non accada.
Penso a Renzi che ho visto al Tg (non ho la tv, e quando la guardo, mi resta impressa) che parla di futuro. E non si rende conto che è il presente che conta, il presente del futuro nelle nostre teste, un futuro che c'era e non c'è più, e ci mettiamo le pezze e lo rompiamo per sempre. Penso che non resterà niente, e vorrei tenere tutto. Penso al coraggio. E allora butto anche ciò che non avrei buttato mai.
Penso alle placchette cromate che ho scelto per la casa nuova, che sono bellissime, e alla fatica di fare stare tutto. E al fatto che non vorrei niente, perché il passato altrimenti si prende il posto del futuro, ma io senza passato chi sono? E senza futuro, chi sono? Quante persone sono stata? Quante persone sarò? Quante persone sono? Sono ciò che tengo o mi definisco per ciò che butto? Ho amato troppo, ho amato male. Nomi, volti, date si confondono e mi manca la precisione che vorrei. Sono stanca.
Tutto cambia, e sebbene ricordi tutto, non riconosco più niente.
Vorrei vivere senza scegliere niente, e invece ho scelto persino le placchette cromate.
E mi illudo pure che siano mie. Ma non c'è niente di mio. Il vero padrone è il tempo.



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