giovedì 29 novembre 2012

Non tanto come, quanto piuttosto perché ovvero l'obbedienza è sempre stata una falsa virtù

Stavo scrivendo una lenzuolata sui pensieri di questi giorni, tutti stretti tra loro e correlati sebbene provengano da suggestioni diverse (il teatro, la scuola con le sue dinamiche, il corso abilitante con le lezioni di scienze dell'educazione, le mie letture attuali ovvero La svastica sul sole, T.A.Z. e Simone Weil, la situazione politica con le elezioni all'orizzonte e quella economica con Monti in tv).
Risparmio tutti i passaggi intermedi e passo direttamente alla conclusione.
La disciplina va insegnata e applicata, ma solo come metodo per diventare liberi. E per riuscire a trovare un modo per liberarci, per sempre, di quelle persone e quelle entità che la disciplina ce la vogliono appioppare per farci essere obbedienti.


lunedì 26 novembre 2012

DOC

Ho voglia di scrivere un post ma non ho tempo per farlo bene. Ma visto che sono ossessivo-compulsiva e se non lo faccio sto male:
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I punti li ho messi pensandoci. Anche gli a capo. Ora posso continuare a fare ciò che devo fare. 


venerdì 23 novembre 2012

Chi lascia la strada vecchia per la nuova...

... non saprà mai ciò che non trova.
Durante le mortali lezioni di scienze dell'educazione, ho pensato una cosa.
Che per essere educatori, e in fin dei conti esseri umani (infatti se il fine dell'educazione è fare in modo che crescano esseri umani il più possibile liberi e pieni e consapevoli, allora voglio allargare l'educazione a ogni relazione, senza stabilire chi è l'educatore e chi l'educato) bisogna essere disposti a cedere pezzi del nostro mondo, del nostro modo di vedere il mondo, e a riceverne di nuovi.
Incontrare l'altro è come partire per un nuovo continente, bisogna prima lasciare quello vecchio per raggiungerlo, o semplicemente per incontrarlo a metà strada.
Il narcisismo, l'ideologia, la sclerotizzazione della mente e dello sguardo in ciò che presumiamo vero e immutabile, la difesa spesso passiva aggressiva del nostro orticello, l'incapacità di ricevere critiche e di criticare sono nemici acerrimi dell'educazione e della relazione.
C'è un lavoro gigantesco da fare su di noi, e che si fa anche nella relazione, non solamente prima. Sbagliando si impara. L'idea che un giorno saremo perfetti, e allora sì potremo relazionarci per davvero, è solo un'altra forma di presunzione, perché presumiamo di poter bastare a noi stessi.

E' tutto un po' confuso. Ma una domanda chiara ce l'ho: date le premesse di cui sopra, cioè che è necessario essere disposti a cambiare mentre si educa e mentre si entra in relazione, come possono esistere educatori cattolici? O anche marxisti se è per quello, ma scuole private pagate dallo stato di stampo marxista non me ne vengono in mente...


giovedì 22 novembre 2012

Cose che pensavo di aver capito e mi stavano sfuggendo

Come cantava Venditti, "certi amori non finiscono, fanno giri immensi poi ricominciano". Ecco, io mi sono innamorata di me e della realtà e di un sacco di cose nel corso dell'ultimo anno. Ma a volte l'amore sembra finire. Ora sta riemergendo dal fiume carsico che l'aveva inghiottito negli ultimi mesi.
Ecco i miei amori dati per dispersi:

- la ricerca ossessiva della felicità porta ad essere infelici. Strutturalmente. Perché se cerchiamo la felicità con metodi, teorie, sistemi che sicuramente avranno successo in futuro, stiamo in realtà affermando che adesso siamo infelici. E se affermiamo che siamo infelici, allora lo siamo davvero.
- i libri di Eckhart Tolle sembrano minchiate, ma dicono tutto quello che davvero serve sapere
- la mia fottuta paura di dire dei no è solo figlia del mio narcisismo catto-borghese, che mi impone di essere buona, accomodante, altruista e generosa. E invece no, per essere davvero buoni, bisogna fare solo quello che davvero si vuole fare. Siamo sempre egoisti, sempre. Ammetterlo è l'unico modo per smettere di esserlo. Nessuno dei grandi uomini e delle grandi donne passati su questa terra ha fatto nulla che non gli piacesse davvero. Fare le cose per gli altri è terribilmente faticoso, noioso, e incredibilmente improduttivo.
- interessarsi di politica, soprattutto se italiana e leggere i giornali significa allontanarsi dalle cose davvero importanti. Le notizie sono solo insalate di parole che ci impediscono di vedere la realtà come davvero è, sottoponendoci costantemente problemi, pericoli, violenze esterne a noi, allo scopo di allontanarci da noi stessi. Perché se stiamo vicini a noi stessi diventiamo liberi, e gli esseri liberi sono pericolosi. Molto ma molto più pericolosi dei Rom.
- per essere felici bisogna rischiare. Anche e soprattutto di essere infelici. Coraggio serve, mica teorie.
- le cose che fanno più paura vanno fatte. Subito.
- arrabbiarsi può anche fare del bene. Basta trovare lo stile giusto. Bisogna prima invitare ad una danza tutte le nostre emozioni, ruotare con loro come fossimo dervisci, usare la sospensione della razionalità generata da questa danza metaforica per capire perché ci stiamo arrabbiando e una volta che la testa smette di girare, non avremo più voglia o necessità di arrabbiarci. Saremo solo decisi.
- basta ricordarsi di respirare, il resto viene da sé.



lunedì 19 novembre 2012

M'illumino perlomeno ovvero della scala degli handicap

Il motivo per cui non ci illuminiamo, a prescindere dal significato specifico che si può attribuire al concetto di illuminazione  (cessazione dei desideri, contemplazione delle verità ultime, raggiungimento della pienezza umana e spirituale, abbandono del ciclo delle rinascite) è che crediamo di doverci illuminare.
In realtà siamo già illuminati, e il lavoro è solo quello di far emergere e diventare evidente e preponderante la parte di noi illuminata, totalmente umana totalmente divina totalmente piena consapevole felice appagata. E questa parte può essere grande anche quanto una capocchia di spillo, ma c'è sempre, in tutti gli esseri umani.
Anche in quelli che considero con una parola veramente politicamente scorretta "mongoli" o handicappati. Quindi se li considero tali anche io sono come loro, sono handicappata perché non riesco a vedere il loro potenziale. E perché sono presuntuosa.
Però ammettendo di essere presuntuosa ho la presunzione di esserlo meno, quindi mi sembra di essere meno handicappata di quelli a cui attribuisco degli handicap.
Ecco, questa attitudine alle scale di valori: meglio/peggio, più avanti/più indietro, meritevole/non meritevole, giusto/sbagliato è il vero handicap.
Ecco, ora pensandoci mi è venuta un'idea fantastica: creare una trafila che come per il golf assegni gli handicap. Si fa domanda, si viene valutati e serenamente si accetta il verdetto. E poi si lavora per giungere all'handicap zero e poter giocare con i pro.
Cazzo, quasi quasi brevetto l'idea e apro l'ufficio valutazione handicap spirituali.




giovedì 15 novembre 2012

E' difficile perché è difficile

La nonviolenza non è un paravento per la codardia, ma è la suprema virtù del coraggioso. L'esercizio della nonviolenza richiede un coraggio di gran lunga superiore a quello dello spadaccino. La viltà è del tutto incompatibile con la nonviolenza. Il passaggio dall'abilità con la spada alla nonviolenza è possibile e, a volte, addirittura facile. La nonviolenza, perciò, presuppone l'abilità di colpire. È una forma di deliberato, consapevole dominio del proprio desiderio di vendetta
Gandhi 
A chi obietta che finora nella storia non sono stati possibili cambiamenti strutturali con metodi nonviolenti, che non sono esistite rivoluzioni nonviolente, occorre rispondere con nuove sperimentazioni per cui sia evidente che quanto ancora non è esistito in modo compiuto, può esistere. Occorre promuovere una nuova storia.
Danilo Dolci 
Ho imparato la lezione della non-violenza da mia moglie, quando ho cercato di piegarla alla mia volontà. La sua determinazione nel resistere al mio volere da un canto, e la sua quieta sottomissione alla sofferenza provocata dalla mia stupidità, dall'altro, hanno finito per farmi vergognare di me stesso e convincermi a guarire dalla ottusità di pensare che ero nato per dominarla; in questo modo è diventata lei la mia maestra della non-violenza.
Gandhi

Ero a lezione di teatro e dormivo.
Ora sono a casa e potrei dormire ma non riesco. Mi sento addosso il turbamento di tutta la violenza a cui ho assistito, benché solo mediaticamente, oggi. Le piazze italiane. Le piazze in Europa. L'orrore di Gaza.
Non riesco a sentirmi assolta. Non riesco a sentirmi estranea. Non riesco a non chiedermi cosa si può fare. Che senso ha essere qui, pensare alla lezione di domani per spiegare la sceneggiatura alla 5C. Pensare ai progetti di dopodomani. Pensare all'amore, solo io e il mio amore. Pensare di andarmene. Pensare al colore delle pareti della stanza.
Provo a respirare, e a dirmi think global, act local. A dirmi, stai qui.  A riportarmi alla certezza che solo il mio personale cambiamento può portare cambiamenti nella società. Che non si può sperare di liberare nessuno nemmeno con un'azione politica animata da buone intenzioni, ad ampio raggio e profonda penetrazione nella società, perché se qualcuno si aspetta di essere liberato da un altro, finirà solamente per trovare un padrone diverso. Riportarmi alla certezza che non si può giudicare nessuno. Che non significa essere neutrali, ma provare a non vedere nemici. Provare a essere davvero non violenti. Prima nel pensiero che con i gesti. Provare a dominarla la violenza.
Perché il mio corpo sente il richiamo primigenio della violenza, della rabbia, della vendetta. E non posso negarlo, o imporre ad altri esseri umani di non sentirlo.
Ma so anche che come tutte le forme di pensiero, anche la non violenza si può propagare con un virus.
E allora vado in cerca di un contagio, e cerco maestri, e aspetto paziente (e non crediate che l'attesa sia una cosa passiva) che si risveglino dei semi dentro di me.
E nel frattempo addestro il mio corpo e la mia mente ad essere pronti per essere portatori sani di non violenza, per poi portare in giro il virus. E sperare in un contagio.

sabato 10 novembre 2012

Oppure (non c'entra Vendola)

Un tempo passato a fare le cose giuste, misurate, che dobbiamo fare, che non ci fanno male, che mantengono lo status quo, che non turbano le aspettative e i programmi, che appagano i nostri piccoli sfizi, che non ci fanno cambiare, che non ci chiedono responsabilità, che non ci fanno uscire dal seminato e nemmeno seminare di nuovo, che bilanciano rischi e opportunità, che ci fanno costruire e mantenere una buona opinione, che ci consentono di farci solide opinioni, che ci intrattengono e consolano.
Oppure una vita.


giovedì 8 novembre 2012

Pari e patta

Venire a patti con la realtà è stato l'obiettivo, nemmeno troppo consapevole fino a poco tempo fa, degli ultimi due anni della mia vita.
E ora mi sembra di aver capito una cosa.
Per venire a patti con la realtà c'è solo una cosa da fare. Ovvero prendere atto che la realtà i patti non li mantiene. Cambiare incessantemente è l'unico patto che la realtà può e sa rispettare.
Ma non ci si deve arrabbiare, o provare a convincere la realtà ad adeguarsi ai contratti che noi incessantemente le sottoponiamo. E' fatta così. Non può essere diversa, visto che è la realtà.
Per questo per essere sani di mente bisogna essere folli. Bisogna fottersene, e andare avanti. E se siamo bravi e pazienti e attenti e consapevoli, scopriamo che dentro le manifestazioni mutevoli della realtà, una realtà immutabile c'è. Ma se la cerchiamo solo allo scopo di sottoscriverci un patto, l'immutabile, che immutabile non era, si squaglia, muta forma e se ne va. E la ricerca riprende.


E adesso qualche ora dopo aver scritto questo post, mi sono imbattuto in questa citazione. Tout se tient.

mercoledì 7 novembre 2012

Sbatterci la testa

Stamattina come una scema ho sbattuto la testa contro il mobiletto del bagno. Ho rischiato di svenire dal dolore, e ho passato la giornata pensando che da un momento all'altro avrei avuto i sintomi del trauma cranico (nausea, vomito, abbassamenti di vista, perdita dei sensi, problemi con memoria e concentrazione e così via. Per ulteriori dettagli leggete qui).
Invece mi è solo cresciuto un corno, e mi è venuto il raffreddore, ma questo non credo che c'entri.
In realtà ho soprattutto capito che nella vita spaccarsi la testa a pensare e ripensare e rimuginare è molto peggio e infinitamente più da idioti che spaccarsela sbattendo.
Spero di superare la nottata, momento critico nel post trauma, e ricordarmelo anche domani.

martedì 6 novembre 2012

E qualche volta fai pensieri strani

Sì, faccio pensieri strani anche nel senso in cui lo intendeva Vasco.
Ma il pensiero più strano di oggi è stato:
"Formulare un desiderio riguardo a quello che vorremmo facesse qualcun'altro è idiota, prevaricatore, deludente e probabilmente fascista. Gli unici desideri coinvolgenti azioni altrui che possiamo sensatamente esprimere sono le letterine dei regali indirizzate a Santa Lucia/Babbo Natale/Gesù Bambino. E anche se spesso sono soddisfatte, non è detto che lo siano sempre e totalmente. Le condizioni necessarie al completo o parziale soddisfacimento di suddette letterine sono che hanno a che vedere con puri desideri di bambini, e soprattutto il fatto che Santa Lucia/Babbo Natale/Gesù Bambino sono degli adulti che ci amano molto. Forse troppo. Dovrebbero prepararci alla vita futura, in cui nessuno ci amerà incondizionatamente come mamma e papà, e regalarci il cazzo che volevano, meglio ancora niente."
Tutto questo è passato nella mia mente nel breve volgere di un blip.


lunedì 5 novembre 2012

Cose serie e cose utili nello stesso post

Allora, sono andata 4 giorni a meditare. A parte che sono sfinita perché l'uso preciso della mente è faticoso (soprattutto all'inizio perché invece se poi mantieni l'abitudine ti rende una scheggia) volevo raccontarvi questo fatto.
Tornando in auto, al casello dell'autostrada mi si è rotto un tergicristallo. Ovviamente quello di fronte al lato guidatore. E, ovviamente, pioveva. Ho guidato per un'ora protesa quanto lo consentiva la cintura di sicurezza verso il lato passeggero, tanto che credo che domani avrò il torcicollo.
E allora è stato ovvio: noi la realtà la vediamo sempre così, attraverso filtri che la deformano e distorcono, come le gocce d'acqua appoggiate sul vetro, che si accumulano poi si tendono per la forza del vento e poi si asciugano lasciando tracce. E la polvere, il fumo, lo smog, la resina, la cacca dei piccioni, le foglie, i volantini. Tutte cose che si accumulano, e che cambiano il modo in cui vediamo il mondo. Che sta ad ogni modo al di là dal vetro, separato, mentre noi al di qua, dentro l'abitacolo.
E mi sono resa conto che di fronte a ogni essere umano c'è una scelta. Nella busta numero 1: passare la vita a cercare il filtro meno invadente, quello che ci infastidisce meno, che ci sembra distorcere meno la realtà, anche se per usarlo dobbiamo deformarci o assumere pose buffe, ridicole, limitanti. Pulire costantemente il vetro con il lavacristalli,  o pagare qualcuno perché ce lo pulisca, mentre noi stiamo dentro, protetti e al sicuro.
Nella busta numero 2: uscire dall'abitacolo, e prenderci la pioggia in testa. Anche le cacche di piccione. Ma oltre agli inesorabili inconvenienti potremmo arrivare a vedere il sole, la rugiada e sentire profumi e fruscii di foglie. E incontrare pure degli altri esseri umani.
Anzi, se usciamo dall'abitacolo, diventiamo parte della realtà, di quello che c'è, bello e brutto, invece di continuare a ritenerci altro. E poi se ci va, possiamo pure risalirci in macchina e farci dei tratti più o meno lunghi con passeggeri diversi, ma sapendo che la realtà è un'altra cosa. Che noi siamo un'altra cosa rispetto all'essere che sta dietro al volante.
E io non voglio giudicare se c'è una scelta migliore dell'altra. Io la mia l'ho fatta. Non so con quali risultati, cause just time will tell.
L'unica cosa che vorrei è che non facessimo i furbi, dicendo che il contenuto delle buste ci è stato nascosto. Solo questo, poi ognuno scelga ciò che vuole.


E invece, parlando di cose utili, ma da chi si va a farsi riparare un tergicristallo? Elettrauto, carrozziere, autofficina, benzinaio, concessionaria?