martedì 31 luglio 2012

Piazzale Loreto, martedì 31 luglio 2012, 00:12, +29°C

Un paio di settimane fa scrivevo che il mondo ci manda dei segnali. Ieri si parlava con Pietro della stessa cosa, in particolari di segnali cupi e mortiferi.
E dopo un po' si diceva anche che la nostra generazione è morta. Gaber diceva, con un amaro bilancio di una vita, che la sua generazione ha perso. La mia, la nostra, invece mi pare morta, perché mi sembra sempre che il massimo della nostra preoccupazione sia trovare un video che finalmente non ci annoi su youtube.
E allora abbiamo pensato che la voglia di trovare creare inventare farci accadere qualcosa che ci scuota è perché vogliamo provare a non essere morti. Provarcelo, provarlo agli altri, provare a vedere se è possibile non essere morti.
E mentre tra viale Monza e Corvetto, mezza distratta e mezza concentrata, mi tornava alla mente questo dialogo, pedalavo in silenzio. Perché mi si è rotta la macchina e ho perso le cuffie dell'iPhone. Segnali. Come tutto.
E poi sulla discesa di corso Lodi non pedalavo, e mi facevo portare dalla forza di gravità. E finalmente ho sentito l'aria rinfrescarmi il sudore. E ho capito che non sono morta. Magari non ho vinto, non ancora, e non so bene cosa ci sia da vincere. Ma non sono morta.
Non siamo morti. Ci pare più comodo, ma non lo siamo.
Non siamo morti. Cazzo. Siamo vivi.

giovedì 26 luglio 2012

Declino rispettosamente l'invito a unirmi alla vostra allucinazione ovvero una sorta di microsaggio

Una meditazione buddista sull'amore inteso come metta, meditazione che si pratica per sviluppare la capacità d'amare e non per capire intellettualmente cosa sia l'amore, consiste nel ripetere con piena attenzione questa frase: "Proprio come io voglio la felicità e non voglio la sofferenza, così questa persona vuole la felicità e non vuole la sofferenza".
Questa persona su cui ci si concentra è inizialmente qualcuno a cui vogliamo bene, poi qualcuno di neutrale, infine qualcuno di ostile. 
Praticando la meditazione con costanza capiamo profondamente, anzi, sentiamo che tutti noi esseri umani cerchiamo la stessa cosa, semplicemente con strategie diverse. E che spesso è solo la mancanza di chiarezza sull'obiettivo vero a far prendere a noi e agli altri strade che ci allontanano dalla felicità invece che farci avvicinare. 
Questo significa giustificare tutto, anche le persone cattive, anche ciò che non ci piace e ci fa orrore? Non credo, al massimo significa comprenderlo nella sua struttura profonda. E smetterla di odiare. Perché quando capiamo che tutti noi esseri umani cerchiamo la stessa cosa ci viene voglia di accompagnare le altre persone, e noi stessi, verso la ricerca della vera felicità e l'allontanamento  o perlomeno l'accettazione della sofferenza. 
Scopriamo inoltre che le persone più cattive, che consideriamo i nostri nemici, sono così perché non riescono ad ammettere che vogliono una sola cosa. Vogliono essere felici, che tendenzialmente coincide con l'essere amati ed essere disposti ad amare. E fingono, per paura di perdersi o per troppo dolore. E iniziano a raccontarsi di volere altro: soldi, potere, fama, donne o/e uomini a volontà, dominio e violenza. E poi mettono in atto i loro propositi, senza la piena consapevolezza che diventeranno via via più tristi e sofferenti. Il mondo si trasforma per loro in qualcosa di totalmente opaco e disperso nella nebbia. Non c'è felicità, ma nemmeno dolore vero. Sono anestetizzati. Hanno raggiunto il loro scopo. 
Noi invece che avremo praticato metta (o che ci saremo allenati ad amare in altro modo) il mondo lo vedremo brillare, anche nei colori cupi, anche nella sofferenza. Ci colpirà la felicità così il dolore, la bellezza tanto quanto l'orrore. Ma sarà tutto reale. E sapremo dire: io voglio essere felice. E sapremo cercare la nostra strada per la felicità, con un equilibrio morbido tra il principio di piacere e il principio di realtà.

E ora attenzione, perché sto per compiere un salto logico che potrebbe anche non reggere. Ho parlato del principio del piacere e del principio di realtà. Oltre alla realtà psichica e spirituale di ogni uomo c'è una realtà concreta, economica politica e sociale con cui,  per aumentare la nostra felicità e alleviare la nostra sofferenza, dobbiamo fare i conti in quanto essere incarnati,
Noi pensiamo che i discorsi e le sottese realtà politiche economiche e sociali stiano ad un livello altro rispetto alle nostre vite e alla nostra ricerca di felicità.
Ma non è così. Lavorare e vivere insieme agli altri è gran parte della nostra possibilità di essere felici e di creare felicità, a meno di una scelta di vita totalmente solitaria e ascetica.
Da parte di molti degli attori coinvolti nei processi politici economici e sociali, esiste una volontà di mantenere invisibile l'importanza di questi meccanismi per la nostra felicità. Di mantenerci anestetizzati. Ma questa volontà non è dolosa, non esiste una cupola di uomini malvagi che ci vogliono fregare. Almeno, non credo. 
Semplicemente le strutture economiche politiche e sociali, essendo fatte dagli uomini, ricalcano le dinamiche spirituali e psicologiche umane. Come gli esseri umani anche le strutture politiche economiche e sociali dimenticano il loro fine: la felicità umana. Hanno paura di dissolversi, di non esistere più, di dover cambiare, se ammettono questo fine. Esattamente come gli esseri umani depressi. lontani e inconsapevoli della loro più profonda aspirazione. La struttura (e non uso a caso il termine marxista struttura, anche se secondo me la struttura della struttura marxista sta altrove, sta negli uomini) la struttura, dicevo, esattamente come gli uomini, per paura di non farcela a raggiungere il suo scopo lo abbandona e lo nasconde sotto la strategia del potere, del dominio, della violenza, dell'inconsapevolezza. Le strutture economico politiche e sociali inconsapevoli e "psicologicamente malate" sono potentissime, perché in esse rimbalzano, amplificandosi e sovrapponendosi, il dolore e la sofferenza e le conseguenti crudeltà dei singoli uomini tristi e sofferenti che le hanno costruite e vi si dedicano, nella speranza inutile di trovare consolazione al proprio dolore profondo. 
Ma se possiamo imparare ad amare gli uomini imperfetti, possiamo imparare ad amare anche le strutture politiche economiche sociali imperfette. 
E amare delle strutture imperfette non vuol dire accettarle.
Vuol dire vederle nella loro concretezza di strutture sofferenti, di cui vogliamo e possiamo alleviare il carico di sofferenza, con l'unico mezzo a nostra disposizione: noi stessi e le nostre scelte. Possiamo amarle. E viverci dentro consapevoli dell'aspirazione profonda alla nostra felicità, da cui non si può più distinguere il desiderio che anche gli altri siano felici. E ogni nostra scelta, ogni nostro atto può cambiare le strutture di un po'. Le può smontare da dentro. 
Perché per fare la rivoluzione c'è una sola cosa da distruggere: il nostro ego. 

martedì 24 luglio 2012

D'un pianto solo mio non piango più

È la lotta per la sopravvivenza amici. Ovunque: in un villaggio ai margini del deserto come in un appartamento all'Isola, in una favela di Rio o in un monastero benedettino o buddhista, tutti gli esseri umani, tutti noi, cerchiamo una cosa sola: sopravvivere alla vita.  
E pensiamo sempre che sia la contingenza il nemico da sconfiggere per uscirne vivi: la fame che morde, l'esame da passare, un amore che finisce, la concentrazione mistica che non tiene, il lavoro che non troviamo, la yacht da riparare, lo smalto che si scheggia, la ruga che incombe, la grandine che rovina il week end (o il raccolto a seconda del culo che hai avuto a nascere qui o in Punjab).
Ma tutti, sempre, una sola cosa facciamo. Sopravviviamo. 
Quasi tutti. Perché c'è anche la possibilità di vivere invece che di sopravvivere. Pare che per farlo serva essere ad uno stadio superiore, un po' come un Super Saiyan. Ma secondo me basta imparare le strategie per fottersene, e avere fiducia. 

lunedì 23 luglio 2012

Tirocinio formativo attivo ovvero aria di rivoluzione


Si pensa solo a conservare il proprio bimbo; non basta: bisogna insegnargli a conservarsi da uomo, a sopportare i colpi della fortuna, a vivere, se occorre, fra i ghiacci dell'Islanda o sulla rupe ardente di Malta. Inutilmente prendete precauzione perché egli non muoia, dovrà pur morire, ed anche se la sua morte non sarà opera delle vostre cure, esse saranno ugualmente fraintese. Non si tratta tanto di impedirgli di morire, quanto di farlo vivere. Vivere non significa respirare, ma significa agire, significa far uso degli organi, dei sensi, delle facoltà, di tutte le parti di noi stessi che ci danno il sentimento dell'esistenza. 
J.J. Rousseau

Faccio i test in preparazione al quizzone preliminare di mercoledì per il TFA, classi di concorso A13 e A22.
Date, definizioni, localizzazioni, spiegazioni e cavillosità di ogni genere. E capisco che se non sono capace di non essere pignola, razionale, sempre in cerca del pelo nell'uovo, determinata a capire tutto in ogni minimo dettaglio e a non mollare la presa finché ho certezze, non e' colpa mia. Sono stata abituata così, dalle elementari in poi. La logica di base é semplice: maggiori le nozioni certe apprese, maggiore la riuscita. Ma la vita vera non funziona così e la decostruzione e' per me ancora lunga. 
Allora mi viene ancor più voglia di passarlo, il maledetto quizzone. Insegnerei anche le date e le nozioni imparate, ma soprattutto il dubbio perenne, la sospensione del giudizio, l'apertura mentale.  Mi vedo beata creatrice di piccoli o medi-piccoli instancabili rivoluzionari. Poi mi ricordo che parliamo della scuola italiana. E mi viene da piangere. Perché anche se passassi il quizzone, e poi lo scritto e poi l'orale e poi facessi il tirocinio e poi avessi una cattedra e riuscissi a non farmi cacciare insegnando ai ragazzi a pensare, purtroppo finirebbe tragicamente. Avrei creato dei disadattati. I cittadini liberi in Italia non sono merce utile. 
In caso finisca davvero per insegnare, sarà meglio che convinca i ragazzi a giocare bene a calcio, e che spieghi alle ragazze che la bellezza dei soldi non sfiorisce mai. 



sabato 21 luglio 2012

Rubare ai vecchi per dare ai giovani

In un articolo in cui gli psicologi italiani raccontano i loro pazienti in tempi di crisi, trovo questa frase riferita ai giovani precari: "È come se vivessero nell'eterno dilemma tra il volere tutto e la drammatica constatazione di non ottenere nulla. Rischiando l'immobilità: immobilizzarsi per troppa necessità di primeggiare". 
E mi si smuove una rabbia antica, che pensavo diluita nei miei viaggi mistici. No, cazzo, non è ancora il momento del misticismo totale. Sono arrabbiata.
Con i miei genitori, zii, insegnanti, che, inconsapevoli, mi hanno venduto un futuro facile. Tanto ero brava a scuola, niente mi costava davvero fatica, il progresso è illimitato e il sogno americano è sempre possibile.
Con la classe politica e dirigente italiana, che vive in un clima da Ancien Régime.
Con la mia generazione che non riesce non dico a organizzare, ma nemmeno a pensare la rivoluzione, e non parlo della rivoluzione proletaria. Parlo della rivoluzione di saper dire no, di stare con la schiena dritta, di costruirsi un futuro umano e relazioni vere.
Con quelli che nella mia generazione ce la stanno facendo, ma solo connivendo con un sistema sociale economico e politico che è orrendo corrotto e ingiusto.
Con me, perché mi sono lasciata fottere. E ora pago le conseguenze dell'immobilità di anni con una sensazione di irrequietezza che sembra portarmi fuori dalla mia stessa pelle.
E allora per rubare ai vecchi per dare ai giovani (o diversamente giovani, come ormai mi sento io) devo imparare un nuovo tipo di immobilità: quella dell'animale che si finge morto, solo per attaccare meglio.
Fanculo.



giovedì 19 luglio 2012

Sprofondare nel punto centrale dell'anima


Da questo fondo più intimo devi compiere tutte le tue opere senza perché. In verità io dico: finchè compi le tue opere per il regno dei cieli, o per Dio, o per la tua eterna felicità, cioè per una ragione esteriore, non sei veramente come dovresti essere. Chi cerca Dio secondo un modo, prende il modo e lascia Dio che è nascosto sotto quel modo. Ma chi cerca Dio senza modo, lo prende così com'è in se stesso. Chi domandasse per mille anni alla vita: "Perché vivi?" se essa potesse rispondere, direbbe soltanto così: "Io vivo perchè vivo". Poiché la vita vive del suo proprio fondo e scaturisce dal suo proprio essere. Se qualcuno domandasse a un vero uomo che agisce dal suo proprio fondo: "Perché compi queste opere?", egli, se dovesse rispondere rettamente, dovrebbe dire: "Io opero per operare". 
Meister Eckhart
Tra aspirina per guarire, frigorifero da riempire, granita siciliana da preparare, lavatrici da fare e bucato da ritirare. E ancora: lavoro da trovare, soldi da rincorrere, dipendenze emotive da smontare,  amore da proteggere, test per il TFA da studiare, amicizie da coltivare, progetti da organizzare, corsi di filosofia orientale da valutare, sessioni di yoga da pianificare, weekend al mare per abbronzarsi, carriere da costruire, politiche da ripensare. 
La sensazione è che forse conta solo il lago di solitudine in cui imparare a restare. 


mercoledì 18 luglio 2012

L’amore è per i coraggiosi, tutto il resto è coppia

Si chiamano agrumi gli ortaggi che buttano fuori il sapore agro. Le arance e i limoni sono agrumi, ma non lo fanno apposta e invece c'è molta gente a Milano che gli piace essere agruma.
(Ilaria C. terza elementare, Milano, 1977)
Non ho la più pallida idea di cosa c'entrano titolo e citazione insieme.
Però credo che c'è molta gente che è agruma fuori Milano e gente che non è agruma anche se sta a Milano. Ma è difficile, perché l'agrumità ti si attacca addosso.
E allora bisogna vigilare, sempre. Perché basta un attimo di distrazione e anche se hai scoperto che  Dente alla fine è un depresso paranoico e crudele, continua a cantarti in testa.



lunedì 16 luglio 2012

L'amor che move il sole e le altre stelle

Non vi posso stare a spiegare i perché, sarebbe troppo lungo e noioso e tornerei a parlare del mio ombelico.
Fidatevi e basta. Se vi va.

L'universo ci parla. Attraverso piccoli dettagli, coincidenze inaspettate, bellezze quasi insostenibili, colpi bassi ma che siamo in grado di ricevere, l'universo (altresì detto Dio, Gaia, l'Uno, Yahweh, Brahman o come preferite) risolve tutte le questioni aperte, le cose che non capiamo e che ci sembrano problemi, le incertezze, le ansie, i pensieri ossessivi. Pacifica e consola, porta a compimento e riapre nuove strade. 
Ma possiamo ascoltare le sue "parole" solo dietro alcune condizioni. Non perché l'universo sia in qualche forma cattivo, ma perché dobbiamo lavorare su di noi per avvicinarci allo stato naturale, quando ne capivamo appieno la lingua. Ora, nel nostro stadio di esseri minuscoli e imperfetti, ne possiamo intendere almeno qualche parola solo se:
- vogliamo realmente risolvere le questioni aperte, invece di conservarle come comodi rifugi per continuare a piangerci addosso e smettere di migliorarci
- siamo pronti a vivere fregandocene totalmente del giudizio altrui, per vivere ogni secondo esattamente come vogliamo. Che non significa vivere egoisticamente, anzi. Significa assumersi in pieno la responsabilità delle nostre azioni perché ammettiamo che non esista nessuno su cui scaricare le colpe, e ammettiamo che sarebbe ingiusto e vigliacco farlo. 
- smettiamo di pensare in termini di opposizione, e ci sentiamo parte di un tutto, in cui un dolore inflitto agli altri è una ferita inferta a noi stessi e una gioia provata da noi è una felicità per il cosmo intero.

Se gli uomini ascoltassero le "parole" dell'universo, preparandosi a riceverle e non rifiutandole quando gli giungono all'orecchio, il mondo sarebbe un posto ancor più bello e sicuramente più giusto. Perché non esistono uomini cattivi, ma solo uomini soli. E chi può sentirsi solo se sente che l'universo parla proprio a lui, e pure attraverso di lui?

E sinceramente se pensate che sono una trentenne pseudo-mistica e un po' bollita, non me ne frega niente. Io so che ciò che scrivo è vero. Ne ho le prove. Quali? Ve lo provo con i fatti, non con la logica: ho voglia di svegliarmi domattina e di andare nel mondo per incontrare tutto ciò che arriverà.




sabato 14 luglio 2012

Dell'inutilità del mio ombelico

Oggi ero triste e pessimista. E ho deciso di concedermi la possibilità di essere triste e pessimista. Di piangere le lacrime di commiserazione che mi portavo dentro da qualche mese e ostinate non uscivano. Mi spremevo come un mezzo limone rinsecchito e indurito da una lunga permanenza in frigorifero, e allo stesso modo molto sforzo produceva due misere gocce. Anche a teatro, anche di fronte ad un testo che mi devastava come Ricorda con rabbia.
Poi mi ha chiamato A. e mi ha detto che anche lui ieri ha pianto. Dopo aver letto la storia di un ragazzo eritreo, unico sopravvissuto di un naufragio di un barcone con 56 persone a bordo. Dalla Libia tentavano di raggiungere l'Italia per cercare la vita rischiando la morte. Fuggiti per sfuggire alla morte, per annusare la vita.
14 giorni e 14 notti attaccato ad una corda. Da solo in mezzo al mare. Ha visto morire i familiari, ha visto navi passargli accanto senza notarlo. Ma  lui doveva vivere. Lui voleva vivere. Lui è vivo. Doppiamente vivo, ha attraversato la morte e per fortuna o per tenacia ha vinto.
E penso che io quest'ansia di vita che fa il paio con lo spregio della morte non l'avrò mai, perché il benessere appanna l'istinto di sopravvivenza. E posso decidere se passare la vita a capire le ragioni sociali, psicologiche, culturali di questa mia inettitudine e continuare quindi a stare nei confortevoli pressi del mio ombelico.
Oppure posso decidere di guardare altrove. Posso decidere di alzare la testa, come un ominide finalmente eretto, e guardare verso gli altri esseri umani, verso i limoni rinsecchiti non dal frigorifero ma dal caldo e dal freddo estremi che ci sono là fuori, dove il mio ombelico non proietta la sua ombra.
E ancora adesso vedo che continuo a parlare di me, e quindi ancora sono ombelicale. E' tempo di altre storie.



venerdì 13 luglio 2012

The pursuit of happiness

Until you make the unconscious conscious, it will direct your life and you will call it fate.  Carl Jung
The pursuit of happiness, il famoso diritto riconosciuto nella Dichiarazione d'Indipendenza USA non è e non può essere un lavoro solo mentale. Come i personaggi ben riusciti dei film, bisogna fare delle cose pratiche per ottenere ciò che si vuole. Stare zitti e fare. Al massimo far sì che la parola sia azione in altra forma, mica chiacchiere e distintivo.
Stamattina ho fatto una lista delle cose che veramente devo e voglio e soprattutto posso perseguire:

- una casa da comprare a Milano (bilo o trilocale con terrazzo)
- incontrare due persone che vogliano fare un percorso di un paio di mesi alla scoperta del sogno lucido
- un lavoro che grazie alle mie competenze vere o simulate (scrivere, pianificare, dirigere, consigliare) mi faccia guadagnare tanti soldi (meglio se rubando ai ricchi per dare ai poveri come me)
o in alternativa a questo
- incontrare un artigiano (ceramista, incisore, fabbro, erborista) che voglia insegnarmi il suo mestiere
o in alternativa a questo
- decidermi a fare un lavoro che abbia a che fare con il corpo: massaggiatrice, osteopata, insegnante di yoga
e poi
- migliorare come attrice: trovare scuole, corsi, workshop, registi da affiancare
- accettare l'amore così come si presenta
- tempo, soldi, attrezzature e un producer per girare dei corti
- coraggio. Tanto.

Per l'ultimo punto sono solo fatti miei, per gli  altri si accettano suggerimenti o candidature. 


martedì 10 luglio 2012

Creatività

Essere creativi significa usare ogni blocco, difficoltà, impedimento, di qualsiasi natura sia -fisica, psicologica, sociale, politica, affettiva, geografica, organizzativa - come occasione per sperimentare soluzioni. 
Ma non con lo scopo di risolvere le cose una volta per tutte. Perché quello a volte accade da sé, se ci si mette abbastanza impegno nel divertirsi stando serenamente vicini a ciò che ci ostacola. 
Voler risolvere un problema, invece di accettarlo come parte del gioco, ne moltiplica solamente la difficoltà. Giocare è sempre meglio. 

domenica 8 luglio 2012

Ordine e bellezza, lusso calma e voluttà.

Il modo migliore per essere infelici è spendere il tempo a chiedersi se si è felici o no.
Stamattina mi sono svegliata dopo pochissime ore di sonno perché Alessandro imprecava per aver perso il treno a causa della sbornia al Plastic. Io ho valutato per 3 secondi il mio mal di testa e ho capito che la giornata se ne sarebbe andata a quel paese, e ho maledetto il momento in cui ho deciso di andare con lui, che ho altre mille cose da fare e della fiesta mi importa sempre meno e alla fine c'era pure della musica brutta, ed ero sudata fradicia e con vestito zeppe e borsa tutte sporche della solita schifezza che trasuda dal Plastic, anche quello nuovo.

Congedato Alessandro, ho riprovato a dormire, senza successo. E allora ho pulito casa. E ho capito delle cose. Eccole.

Mia mamma fin da piccola insisteva affinché tenessi le mie cose ordinate. Forse lo faceva nel modo sbagliato, o forse io ero rebel without a cause già dai 3 anni, ma non ho mai seguito gli inviti, che a seconda dell'umore erano caldi, pressanti, rabbiosi, rassegnati, imploranti.
Mentre lei raggiunge vette di perfezione (chiedete alle mie amiche cosa pensano della casa al mare, dove negli armadi tutto è insacchettato singolarmente e impilato con cura) io mollo le cose dove capitano, accumulo inutilità, arrotolo nei cassetti, lascio depositare polvere per settimane.
Ma sbaglio. Perché prendersi cura delle proprie cose è segno di rispetto per sé. E da questa cura nasce spontanea, senza sforzo, la cura per le cose altrui, e da questa a sua volta la cura per gli altri, prima quelli che amiamo, poi gli sconosciuti, poi il mondo intero. Ecco, forse mia mamma non ha saputo mostrarmi questo processo, così che riordinare ed avere cura mi parevano pratiche borghesi da eseguire al fine di essere belli e giusti agli occhi altrui. E forse davvero per lei è un po' così, ma pazienza, mica è colpa sua.
Anzi, in qualche forma mia mamma mi ha fatto scoprire che bellezza, gentilezza, amorevolezza stanno anche in una casa pulita o in un cassetto ordinato. E sapete cosa vi dico? Che alla serata al Plastic di ieri preferisco le pulizie di questa mattina.


Ma mi ci voleva la lieve malinconia post-sbronza-da-Plastic per farmelo capire.
Quindi alla fine ho pure capito, di nuovo, che gli errori non esistono e che non bisogna lamentarsi mai, nemmeno di una sbronza non voluta e di una serata che ti annoia. E ora, per favore, datemi un Moment.


giovedì 5 luglio 2012

All the times the world has ended

Sono qui davanti allo schermo da un po', ma non ho niente da scrivere a proposito del titolo del post.
Mi piace. Potrebbe bastare.
E invece no, mi invento continuamente cose su cui speculare interrogarmi analizzarmi, con cui pungolarmi affossarmi elevarmi. Tutto ciò, come qualsiasi inventore di una delle fini del mondo, solo per trovarmi un senso per cui vivere, come se non ce ne fossero. Purtroppo a noi serve la tragedia incombente per sentirci vivi. 
Ma quando la smetterò con questo quotidiano millenarismo? 

lunedì 2 luglio 2012

Dalle stelle alle stalle e ritorno



Conversazione in auto:
A: "Sai cosa è successo ad Alan Turing perché era omosessuale?"
M: "No. Ma chi era Turing?"
A: "Un genio"
M: "Sì, ma cosa faceva?"
A: "Faceva...il genio. Che inventava cose geniali"
M: "Ma cose tipo..."
A: "Tipo dei calcoli che nessuno aveva inventato prima."
M: "L'addizione!"
A+M: (Ridendo fino ai lacrimoni): "Sembra un dialogo di Maccio"

Allora torno a casa, inizio a leggere cose, mi sento ignorante, decido che voglio saperne di più, che leggerò prima o poi questo libro e scopro pure che c'entra questo:


E se posso leggere vedere e scrivere tante cose in così poco tempo stando a casa è anche grazie ai pioneristici lavori sull'informatica svolti di Turing, che davvero si è ucciso per le conseguenze dell'essere stato dichiarato colpevole di reato di omosessualità e quindi castrato chimicamente. Nell'anno del Signore 1952 in Inghilterra.
E così il mondo si rivela di nuovo (ma di nuovo non perché si ripete, ma di nuovo come il nuovo di una novità, di un'epifania) come un impasto straordinario di cazzate, di orrori, di meraviglia, di risate e di bellezza che realmente mi toglie il fiato.