domenica 11 settembre 2016

Una somma di piccole cose/1

La piantina di basilico cresciuta per caso nel vaso della betulla ormai morta. Non l'ho piantata, non me l'aspettavo. E' bello averla, ma non ne avevo proprio bisogno nel senso stretto della parola bisogno.
Ne avevo avute altre, morte, seccate così per il caldo, per trascuratezza, per caso, per il terreno sbagliato.
Ora questa è rigogliosa, ci ho messo un ugello dell'irrigatore a prendersene cura. Ci strofino le mani e sento l'odore sulle dita. Ne prendo qualche foglia per condire i pomodori. Ho tolto persino le erbacce intorno, stamattina
E ogni volta che la vedo mi ricordo che programmare la vita è uno sterile esercizio di presunzione. Bisogna lasciar fare al vento.



martedì 2 agosto 2016

Ciao ciao bambina

Un numero sconosciuto mi chiama. E' una donna, ha trovato un gatto che potrebbe essere Apache, il mio micio pirata sparito da una settimana. Vado a vederlo.
E' un falso allarme. Apache ha il naso rosino, sempre sporco di schifezze e gli occhi verdi. Questo no. Però lo coccolo lo stesso.
Per consolarmi vado alla gelateria dove ieri ho lasciato il cartello con le foto di Apache e il mio numero e non ho nemmeno preso il gelato da tanto ero provata. Provo lime e zenzero e un altro gusto tropicale. E' buonissimo. Ci potrei andare più spesso.
Me lo mangio seduta alle panchine del parchetto. Una signora accanto a me sta cercando di cantare una canzone.
Le sue amiche ridono. Sono vecchie. Milanesi come chi lo è diventato e parla il dialetto con accenti che sanno di Mediterraneo e non di polenta.
D'improvviso mi ritrovo a cantare con lei "vorrei trovare parole nuove, ma piove piove sul nostro amor".  La donna, resa fiduciosa dal mio accompagnamento, alza la voce stonata (ececredo, ha l'apparecchio acustico) per un poderoso finale. Una famiglia indiana ride, la mamma con la mano a coprire la bocca. Due ragazzini sudamericani alzano la testa dagli smartphones. In effetti è buffo.
Ed è un momento gratuito ed irripetibile. Mi emoziono. Mi viene da piangere, ma non piango.
Non è un pianto di tristezza. E' come se fosse venuto un momento di gratitudine estrema. Per le perdite che ho attraversato, che sono segni di cose vissute. Cicatrici che valeva la pena farsi. Sempre e comunque.
Non avrei mai pensato che adottare un gatto potesse insegnarmi tutte queste cose. Su di me e sugli altri animali, a quattro a due zampe. Su come gestire il passato, vivere il presente e respirare il futuro. Su come accettare il bianco e il nero mio, suo, degli altri.
Girare per il quartiere da due giorni è una delle esperienze più potenti che abbia fatto. Viviamo sempre a metà. Sempre chiusi nel nostro io. Sempre timorosi e incazzati, con la sensazione che ci abbiano rubato la vita e forse è così, ce la siamo fatta fottere.
Chissà se troverò Apache. Chissà se quando lo troverò avrò davvero il coraggio di portarlo in campagna. Chissà se avrò il coraggio di accettare che non torni. Non lo so. Però so che adesso vado a dormire che poi più tardi, quando ci saranno meno rumori in giro, uscirò a cercarlo. E mi sembra infinitamente più sensato che uscire per andare da qualsiasi altra parte. E se per voi è folle perché è solo un gatto, io non posso che augurarvi un'esperienza così intensa da aprirvi il cuore e farvi fare pace con voi stessi.
Perché Apache questo ha fatto a me. Mi ha permesso di curarmi. Mi ha permesso di amare qualcosa per come era e in cambio non c'erano nemmeno dei grandissimi gesti d'affetto. C'erano, ma quando voleva lui. E per me andava bene. E io andavo bene a lui. Io non ero mai stata capace di sentirmi adeguata. Eppure, lo sono stata. Io non ero mai stata in grado di non essere il centro della relazione, Invece al centro c'era lui. Io non ero mai stata in grado di lasciare andare. Invece, ho lasciato che le cose fossero come erano. Io non ero mai stata capace di accettare qualcuno che non mi venerasse per la mia intelligenza, le cose che so e altre minchiate. Apache non aveva bisogno di niente, di nessuna dimostrazione. Al massimo di qualche concreta scatoletta di cibo puzzolente Io, che volevo programmare sempre tutto, ho imparato a prendere le cose come sono e gioire tantissimo nell'istante. Io che ho sempre avuto paura di prendere decisioni, ho deciso che lo volevo tenere e lasciare libero ed ho imparato a seguire l'istinto, anche quando potrebbe far male.
Apache è stato il catalizzatore di insegnamenti che non volevo vedere e non potevo accettare ma che erano già presenti, in potenza, nelle relazioni con le altre persone. E' servito un quadrupede peloso per insegnarmi che tutti quelli con cui interagisco sono miei maestri.
Io ho sempre mollato oppure mi sono attaccata alle cose con le unghie e con i denti. Ora faccio tutto ciò che posso per trovarlo. Se lo troverò, anzi, quando lo troverò, sarò felice. Se non lo troverò, lascerò andare, e mi terrò una nuova, preziosa, brillante cicatrice.


giovedì 7 luglio 2016

Nietzsche guarda i gatti e i gatti guardano nel sole, mentre il mondo sta girando senza fretta


The natural is sufficient. If one strives, he fails.Lao-Tzu
We do not possess an 'ego'.
We are possessed by the idea of one

Wei Wu Wei 
Stavo impazzendo perché il mio gatto Apache non accettava il nuovo gattino, Zen, trovato sotto una macchina. Era furibondo con lui e con me, ringhiava e soffiava tutto il giorno. E allora io ho comprato il diffusore di ormoni materni facciali, ho separato le ciotole del cibo, le lettiere, li ho tenuti lontani per una settimana, coccolavo Apache con l'unico risultato di farlo innervosire ancora di più. 
Poi, sono andata al mare per 5 giorni. Li ho chiusi in casa, con una signora che un giorno sì e uno no passava per cibo acqua e altre necessità. Sono tornata e ora Apache e Zen hanno trovato un loro equilibrio. Apache fa di nuovo le fusa e Zen gli mordicchia la coda. Sono quasi amici, direi. 
Tutto questo mi fa pensare.
Che le cose vanno sempre come devono andare.
Che mi sopravvaluto come gattara. 
Che sopravvaluto in generale il potere delle mie azioni: mi agito perché le cose funzionino e ciò di solito complica tutto.
Perché tutta questa agitazione, che forse non è solo mia, ma di molti? Ci agitiamo tantissimo per ottenere le cose, e facendolo alteriamo le condizioni di partenza e aggrovigliamo tutto.
Probabili motivi:
non ci fidiamo abbastanza di noi stessi, quindi dobbiamo fare, agire, provarci al massimo;
non ci fidiamo abbastanza dell'Universo, che di solito fa che le cose vadano per il meglio, o perlomeno per la soluzione più semplice;
dobbiamo provare il nostro ego: siamo bravi, siamo in gamba, ce la facciamo, otteniamo risultati. 
Il problema è sempre lì: vivere per l'ego. Per l'ego a volte  facciamo cose molto brutte, ma anche cose che apparentemente sembrano belle. Per l'ego siamo gentili, attenti, giusti, carini, non ci arrabbiamo mai, non ci emozioniamo, fingiamo che non ci piaccia scopare, mangiamo con i gomiti stretti anche quando stiamo morendo di fame, non mandiamo affanculo chi se lo meriterebbe, accontentiamo tutti, assecondiamo l'idea che vogliamo che gli altri abbiano di noi. Per l'ego ci allontaniamo da noi stessi, dal nostro centro e abbracciamo un'immagine falsa, rinunciamo ai nostri desideri e coltiviamo mazzi di rancore. 
Ma voler parere buoni non significa esserlo e non significa nemmeno che i risultati dei nostri sforzi siano buoni. Le mie intenzioni nel prendermi cura di Apache e Zen erano buone, ma i risultato no. Andare via 5 giorni lasciandoli soli è stata una scelta che avrebbe fatto gridare all'abbandono di animali le gattare più dure e pure, perché sai, in un momento delicato come quello dell'inserimento di un gattino nuovo in casa, bisogna essere lì. Eppure l'azione buona ha dato risultati cattivi, l'azione sbagliata risultati ottimi. 
L'ego è la vera causa della morale degli schiavi di cui parlava Nietzsche. Vogliamo sembrare buoni, nascondiamo la nostra forza per non sembrare stronzi, ma in realtà vogliamo manipolare. E soprattutto non vogliamo che gli altri pensino che siamo stronzi.
Esempio: l'altro giorno un tizio con cui lavorai mille anni fa, a little weird, mi scrive per la centordicesima volta su FB. Per anni l'ho ignorato e accettato alcuni poke (ma, per dio,  ancora si fanno i poke?), aggiornamenti non richiesti sulla sua vita, qualche commento sulla mia bacheca, velati inviti a vedere che maschio era. Mi sono resa conto che mi ero convinta che non gli dicevo di mollarmi perché non volevo farlo rimanere male. Era una scusa per non sembrare stronza ai suoi occhi. Ma non avevo più voglia di sentirlo e di trovarmi di fronte ai suoi imbarazzanti messaggi. Ne avevo facoltà, quindi ho deciso di cancellarlo dagli amici. 
Perché dobbiamo sempre lottare per essere migliori di ciò che siamo? Non è più facile accettare ciò che siamo e vedere che man mano questa accettazione crea spazio per un miglioramento naturale? Non significa vivere come bruti, eh. Significa usare quell'amorevole accettazione che il nostro ego beneducato usa per tutti innanzitutto per noi stessi, lasciandoci liberi, accettando le nostre reazioni naturali, dicendo sì e no quando vanno detti. 
Credo che un mondo in cui tutti vivessimo fino in fondo la morale dei padroni potrebbe essere un filo complicato. Ma per arrivare ad una moralità che tenga insieme me stessa e il mondo, bisogna assolutamente passare da una moralità che se ne freghi dell'ego che ci vuole buoni, e che vada verso ciò che veramente è buono per noi. 
Serve che smettiamo di mascherare i nostri desideri, reprimerli, travisarli e invece ci sentiamo forti abbastanza da viverli tutti e temperarli per poter avere una vita comune. 
Chi invece non ha il coraggio di sentire i suoi desideri, di agire un po' meno ma più pienamente, senza paura del giudizio altrui delle consuetudini di ciò che direbbe nonna sembrerà anche buono visto da fuori, ma andrà per il mondo emanando effluvi rancore che cercherà di camuffare sotto parole di bontà universale al profumo di rosa. 





martedì 28 giugno 2016

A tutti quelli che credono di non farcela

Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto. Dal Vangelo di Luca, 11, 9-10

E mi includo nella lunga lista di quelli che non credono di farcela, anche se i fatti dicono che ce l'ho fatta, ce la sto facendo e non ho nemmeno combattuto così forte.
Negli ultimi 24 mesi ho attraversato un piccolo personale inferno. Sembrava che da ogni parte mi girassi le cose cadessero a pezzi.
Un breve riassunto per chi ha perso delle puntate.
- ho perso un girino che stava nella mia pancia, come se fosse fatto di niente, e invece era fatto, se non d'amore, di follia d'amore
- il fidanzato mi ha lasciato. Se n'è andato di casa, senza preavviso e fidanzandosi dopo due settimane con quella che negava di scoparsi ma io lo sapevo che se la scopava. Non mi ha mai più cercata nemmeno per salutarmi.
- si sono suicidati due ragazzi della mia età, non amici ma quasi, buttati sotto il treno per la disperazione
- ho visto persone a cui voglio bene lottare contro tumori di vario tipo e, in un paio di casi, uscirne sconfitti
- ho visto una persona che amo immensamente prendersi il cazzo di HIV
- ho visto una persona che amo immensamente scendere in un inferno di paranoie incontrollabili e ho provato a farmi roccia su cui potesse appendersi per risalire almeno un po'
- ho riaperto posti del passato che avevo chiuso in una polveriera, e non sono saltata in aria
- sono stata in India da sola, non mi sono fatta sposare da nessuno dei medici indiani che mi si sono proposti e sono sopravvissuta ad un'intossicazione alimentare con visioni annesse
- ho imparato a chiedere al mio corpo che cosa ha quando si ammala, e praticamente non prendo più medicine
- ho avuto visioni della realtà ultima dell'universo senza friggermi il cervello
- ho imparato il perdono
- ho preparato due orrendi concorsi per l'immissione in ruolo come docente, di cui almeno uno passato
- ho visto ragazzini devastati da genitori che si meriterebbero di perdere la potestà genitoriale e non ho sbroccato
- ho imparato a depennare, una via l'altra, le persone che non aveva nessun senso assecondare nei loro deliri di controllo o svalutazione o oppressione, e l'ho fatto senza isterismi, ho semplicemente preso la porta, che era sempre stata lì
- ho imparato a non mettere le mani al collo (e non averne nemmeno la tentazione) a chi questiona continuamente la mia vita. Spesso sono le zie, ma non solo.
Ho visto anche un sacco di bellezza e amore e pulizia e cose che mi hanno smosso le viscere anche quando pensavo di essere paralizzata. Però sono stati 24 mesi di fatica. Ci sono ancora delle cose che hanno bisogno di essere affrontate completamente, ma sono qui.
Mi sembra di essere cresciuta di 10 anni. Eppure ancora sorrido, non ho troppe rughe di preoccupazione in mezzo agli occhi e soprattutto non voglio più avere un cazzo per cui sperare che le cose vadano meglio. 5 o 6 anni fa, non mi ricordo precisamente quando, ero sdraiata su un letto con il timore di volare via e dissolvermi nel nulla ed ero infelice, profondamente infelice. Ero arrabbiata, rancorosa, passivo-aggressiva, piagnona, terrorizzata dalla vita e dalle conseguenze di ogni azione. E pensavo che fosse normale. Pensavo che se avessi ottenuto alcune cose tutto si sarebbe risolto. Che minchiata.
Non è stata la speranza a salvarmi la vita, ma l'accettazione del presente. Qualsiasi sia il presente.
Accettazione significa piangere tutte le lacrime che vogliamo piangere, scrivere tutto ciò che vogliamo scrivere, lavorare al meglio, fare tutte le capriole di gioia che riteniamo necessarie per appagare lo spirito, stare in silenzio per ore, parlarne altrettante, sbronzarsi o andare a meditare. Accettazione totale di quello che c'è, di quello che è preparato per noi, perché abbiamo la consapevolezza che possiamo affrontarlo. Se è davanti a noi, è per essere affrontato, e lo sapremo fare.
La speranza è una trappola per poveri illusi, che si illudono di qualsiasi cosa: il guru gli darà la risposta, ci sarà la vita eterna, arriverà il principe azzurro o Geeg Robot d'Acciaio a salvarle, avranno successo, un lavoro migliore, la prossima riga di bamba li renderà immensamente liberi e felici, la vacanza dei sogni li cambierà eccetera eccetera eccetera. La speranza è quella cosa che rende gli occhi delle persone in metropolitana vitree e opache e senza luce. La presenza li rende invece scintillanti e vivi, sia nella gioia che nella tristezza.
Non esiste la speranza. Esiste una cupa disperazione al fondo di ognuno di noi in cui prima affondiamo e meglio è. Bevetela. Sputatela, tossendo e vomitandola. Trovate qualsiasi cosa vi faccia stare bene e fatela, il più spesso possibile. Concludete i vostri progetti (ecco, io su questo sono stata carente ma arriverà il momento anche per questo) o inventatene di nuovi. Cercate le risposte non negli altri e nemmeno nella vostra testa. L'unico posto in cui dovete guardare è il vostro corpo. Ascoltatelo. Lui sa tutto. Lui siete voi. Smettetela di pensarvi migliori o peggiori del vostro corpo.
Non aspettatevi un cazzo. Avrete tutto, niente di meno. L'universo è a disposizione, ma davvero pensiate che darà qualcosa a chi invece di chiedere si lamenta, invece cercare si rotola nella sua miseria e invece di bussare gira le spalle alla porta?
Non siate ridicoli. Tuffatevi, ora.



domenica 26 giugno 2016

Sulla stramberia

Non ho ancora capito una cosa: ma quando mi dicono, e me lo dicono spesso, che sono stramba, si tratta di un complimento, una constatazione amichevole, una sorpresa, un fastidio, una paura, un checacchioneso? E poi, sono così stramba? Che cosa mi rende stramba anche quando non sto facendo niente che mi sembra strano? Perché non mi accorgo di essere stramba, anzi mi danno fastidio le persone che vogliono essere strambe a tutti i costi? Ma non è che anche io voglio essere stramba a tutti i costi e nemmeno me ne accorgo? (questa ultima ipotesi mi fa tremare le vene e i polsi...)
Io in realtà trovo tutti strambi, anche le persone normali mi sembrano strambe perché troppo normali. Perché se uno si sforza di essere normale, è strambo. Non puoi provare ad essere te stesso, a dire ciò che pensi, a non essere telecomandato dai tuoi dovrei, dalle tue paure, dalle tue illusioni, da ciò che ti chiedono di essere?
Forse mi dicono sono stramba perché non ho la tv. Ma non credo sia per quello, quasi nessuno dei miei amici ha la tv.
Forse mi dicono che sono stramba perché esterno più di altri pensieri semi imbarazzanti che abbiamo tutti, perché il mio vangelo è vivere vicina ai miei sentimenti. Se lo facessimo tutti forse smetteremmo di farci mille paranoie sull'essere normali. Forse smetteremmo anche di aver paura di far entrare gli altri nel nostro campo di gioco. Forse potremmo dire ciò che sentiamo. Forse potremmo persino non dirlo e farlo capire e capire da soli ciò che provano gli altri. Forse potremmo accettare fino in fondo il nostro cuore. Forse potremmo essere un po' più liberi. Senza sforzarci nemmeno troppo, perché tanto siamo tutti strambi a modo nostro.
Ma non sono ancora sicura che mi dicano che sono stramba per questo. Sinceramente non lo so. Però evidentemente lo sono.


sabato 25 giugno 2016

Strani incontri del venerdì sera: Beppe il mago e la fiducia incondizionata

Ieri sera stavo salutando il mio amico Francesco fuori da un locale, quando ci si avvicina un tizio che ci dice se può farci un gioco di lettura del pensiero.
Diciamo: ok. Quindi Beppe il mago, questo il nome del tizio,  ci chiede di pensare ad un numero o ad una forma geometrica e ne azzecca mezza al terzo tentativo. Però resta sereno e decide per una lettura della mano improvvisata. Nessuna divinazione plausibile, però Beppe il mago resta sempre bello sereno. A me come sempre viene il dubbio che magari ha ragione lui anche se io non lo so, però in effetti non c'azzeccava niente.
Stiamo per andarcene davvero quando ci dice: oggi ho capito una cosa. Ho capito che Dio da noi vuole solo una cosa, che ci fidiamo di lui. Perché se ti fidi niente di male può accaderti per davvero. Se invece hai paura, sei pieno di dubbi e metti in questione che Dio voglia per te solo il meglio, allora soffrirai. Però la sofferenza ti farà capire che devi fare una cosa sola: fidarti. Ma non di lui, non nel senso di avere fede in qualche religione, ma proprio del fatto che sei vivo e che andrà tutto bene.
Grazie, Beppe il mago. Una cosa l'hai azzeccata in pieno.
Serve fiducia. Come il bambino che inizia a camminare non mette in discussione che la terra scompaia mentre lui alza il piedino e nemmeno mette in dubbio che ce la farà ad imparare, così dovremmo e soprattutto potremmo vivere noi adulti, con un atto di fiducia totale.
Atto di fiducia che comporta che al nostro ego disfattista e iperprotettivo e che innalza separazioni crederemo sempre di meno, solo al momento del bisogno reale. Atto di fiducia che è comporta una resa, che è l'atto più coraggioso che possiamo fare.


venerdì 10 giugno 2016

La leggerezza della gravità

Se semplicemente si riuscisse a lasciar andare le cose, ci si accorgerebbe che il male si esaurisce, e si afferma il bene.
Carl Gustav Jung
Abbandonar(si). 
Con cautela, eh, che se svieni di colpo batti la testa. Che se non ti sei preparato un posto confortevole dove farlo più che una resa alla vita diventa un harakiri sui coltelli che hai preparato per te stesso. 
Lasciarsi andare, come quando ci si addormentava da piccoli.
Poco a poco si perdevano le forze e la presa. Poco a poco la leggerezza della gravità ci attirava e ci consegnavamo, inerti, inermi e fiduciosi, al sonno. 
Adesso invece a volte nel processo di resa sobbalziamo, tesi in uno spasmo che ci chiede di riprendere il controllo. Lascia fare, lascialo accadere. Ma non credergli. Non stai per cadere. 
Adesso siamo convinti che tutto sia da controllare. Siamo convinti che vivere ci ucciderà. Siamo convinti che non ci dovrebbe essere spazio per niente che non sia deciso, voluto, programmato, pianificato, analizzato. 
Siamo totalmente disconnessi dall'essere, che è puro divenire, e ci aggrappiamo all'avere. E quando molliamo la presa, perdiamo anche l'avere che stringevamo in mano e ne siamo terrorizzati.  Quando molliamo la presa, però, ci tuffiamo nell'essere, dove ci si può perdere e ritrovare ad ogni secondo. 
Let it go. Qualsiasi cosa sia, lasciala andare. 
Let yourself be. Lasciati essere.
Let it happen. Lascialo accadere.


giovedì 2 giugno 2016

Polvere di stelle variamente aggregata

Ieri sera sono andata alla lezione di yoga settimanale.
A parte il fatto che oggi non riesco nemmeno a tenere in mano il telefono per via di una postura dinamica che mi ha decisamente irrobustito i bicipiti, è successa una cosa.
Durante la meditazione il mio corpo si è pian piano sciolto. Ho avuto la netta percezione di essere inizialmente un arrosticino saldamente, tenacemente, ostinatamente attaccato al suo spiedino, come se in me tutto fosse contratto, pronto a reggere un colpo, chiuso, in difesa, attaccato a qualcosa. Qualcosa cosa? Non lo so, ma era come se fosse il centro del mio corpo.
Era un qualcosa che sotto quella morsa stava morendo. Credo che quel qualcosa fosse energia. Ma la domanda è: che energia è un'energia bloccata?! Anche nelle pile Duracell l'energia immagazzinata, se non usata, dopo un po' sparisce.
Io mi stavo avvoltolando stretta come un boa costrictor (ma l'imamgine giusta è proprio quella dell'arrosticino) attorno al "mio" centro, sperando di sorreggerlo. In realtà lo stavo poco a poco sfiancando, rendendo cianotico per la mancanza di ossigeno e vita.
Ora, questa sensazione di liberazione non è la prima volta che la vivo. Però erano mesi che vivevo senza un'apertura, senza mollare, senza respirare davvero.
Che cosa racconta questa sensazione?
Uno: che mi devo rilassare.
Due: che il rilassamento imposto mentalmente non serve ad una cippa. Se il corpo si può rilassare, allora la mente segue.
Tre: Il corpo si può rilassare se respiriamo. Se non respiriamo moriamo. Anche se siamo vivi, quando respiriamo male, in realtà siamo morti.
Quattro: questa sensazione di rilassamento è piacevolissima ma fa anche una paura fottuta. E se mollando il mio spiedino io, che sono un arrosticino, svanisco, mi affloscio, cambio forma e quindi nome?
Cinque: ora che ci penso bene: non sono un arrosticino. Sono un essere umano libero e potenzialmente felice ed illimitato ma sono tanto tanto affezionata al mio spiedino tanto da non volerlo mollare.
Sei: preferisco continuare ad illudermi di essere un arrosticino o arrendermi alla piacevole evidenza che mi ricorda che sono un essere umano?
Sette: la risposta ce l'ho. Ho passato dei mesi di merda in compagnia del mio spiedino, credendomi un arrosticino: mo' bbasta.
Otto: capire le cause per cui ho preferito essere un arrosticino invece di un essere umano è stato fondamentale, così come il verificarsi di una serie di eventi (che definirei casuali ma che non hanno niente di casuale) che mi hanno preparato a rivivere questa sensazione
Nove: essere un arrosticino ha di bello una cosa: che non si sceglie un cazzo. L'arrosticino vive semplicemente: lo costruiscono, lo vendono, lo si mangia, lo si digerisce e bene così. L'essere umano deve scegliere, in particolare deve scegliere una cosa: di essere libero. Altrimenti si illude di non essere un arrosticino pur essendolo di fatto
Dieci: ma come è possibile che questo ammasso di atomi di cui sono fatta, che non sono altro che polvere di stelle esattamente come un arrosticino, possa pensare tutte queste cose e sapere di essere, senza ombra di dubbio, diverso da un arrosticino?




martedì 17 maggio 2016

Istruzioni per un corteggiamento, soprattutto per chi ha oltre 30 anni

Non ho una relazione stabile da qualche tempo. A parte che avevo un rospetto da digerire e mi sono presa tempo per farlo,  i tempi non sembrano felici per avere una relazione. Il tempo storico, il tempo anagrafico e ultimamente nemmeno quello meteorologico. Eppure certo che mi piacerebbe. E prima o poi accadrà. Nel frattempo ogni tanto esco con qualcuno, con risultati abbastanza agghiaccianti, ma indubbiamente divertenti e affascinanti per la loro assurdità. 
Da queste uscite, grazie all'osservazione e all'auto-osservazione, ho condensato una breve lista di cose che mi sembrano utili, in modo da vivere un po' giocosamente questa fase della mia vita, senza però fingere che non mi piacerebbe incontrare un uomo che mi piaccia davvero e a cui piaccio davvero, con cui serenamente fare progetti, figli e quelle cose lì. Ho persino imparato a capire in fretta, basta il tempo di un drink, chi funziona per me e chi no, chi mi accende delle cose e chi me le smorza senza via di scampo.
Ecco quindi un elenco, incompleto ma credo chiaro. 
1. Se corteggiate, siate coraggiosi. Le vostre intenzioni sono comunque palesi e cercare di nasconderle per non farvi sgamare vi rende vicini al patetico
2. Uscire una sera con uno/a non significa firmare un patto di sangue
3. Ad ogni modo, sparire dopo una sera fa di voi un/una codardo/a. Meglio dire una cosa banale tipo: sono stato/a bene, ma non funziona, grazie, auguri, stammi bene. 
4. Non serve fare lo showing off dei risultati raggiunti nella vita né voler sembrare dei geni/talenti/fighi. Ciò che siete, bastate. 
5. Fregatevene del successo in vista di un risultato a lungo termine, e rallegratevi del momento in se stesso. Terribile uscire con persone che hanno scritto in faccia: per favore pigliami tu, che non ne posso più. Le cose accadono da sé, senza manipolazioni o proiezioni assurde. 
6. Se una/o non risponde ad un messaggio magari ha una vita, o dorme, o magari vuole pensarci 5 minuti, o magari in quel momento non gli/le va. E' un suo diritto, you know?
7. Stile nei messaggi. A parte l'uso del congiuntivo, è auspicabile anche capire che cosa dire e quando. Il sexting come primo approccio possiamo lasciarlo agli adolescenti. 
8. Non messaggiate contemporaneamente 12 persone diverse, altrimenti tutto diventa più difficile. A meno che avere 12 relazioni contemporaneamente sia effettivamente il vostro obiettivo relazionale. 
9. E perlomento non messaggiate con altre "riserve" mentre siete ad un appuntamento
10. Le donne alla prima uscita possono accettare di farsi pagare un drink. Gli uomini possono provare a pagarlo. Ma anche: sticazzi. Dobbiamo accettare un cambiamento copernicano dei ruoli maschili e femminili che abbiamo interiorizzato come normali e non è detto lo siano. 
11. Il modo in cui si accetta un rifiuto dice di noi molto più di altre cose. Guardatevi mentre fate i/le passivo-aggressivi/e se dopo due volte non c'è la terza. Contegno, signori/e, stile, e se non ce la fate: psicoterapia finché ce la farete. 
12. Se siete fidanzati/e e uscite con un'altra persona, ditelo. L'altra persona potrà pure decidere di essere vostra amante, ma ha il diritto di saperlo. In più, se si sentirà presa in giro, potrete sempre dirle/gli: "Tesoro, te l'avevo detto".
13. Se vi siete allontanati, tornare sul luogo del delitto dopo un po' richiede un grande stile. A volte una grande faccia come il culo. E spesso un/a babbeo/a dall'altra parte. 
14. Se uno/a vi piace, fateglielo sapere. Se non vi piace, siate gentili nel dirlo. 
15. Non prendetevi così sul serio, davvero. No, non serve. 


domenica 24 aprile 2016

Il disordine di casa mia, la struttura dell'occhio e l'esistenza di dio

L'uomo deve usare la propria mente per liberarsi, non per degradarsi.
La mente è amica dell'anima condizionata, ma può anche essere la sua nemica.
Per colui che ne ha il controllo, la mente è la migliore amica,
ma per colui che ha fallito nell'intento, diventa la peggiore nemica.
Bhagavad Gita VI, 5-6

Prima ero cieco e ora ci vedo
Vangelo secondo Giovanni - 9, 24

Tutto ciò che ho veduto mi induce a confidare nel Creatore per tutto ciò che non ho veduto
Ralph Waldo Emerson

Un lunedì sì e un lunedì no viene a casa mia Esperanza, una simpatica signora che in tre ore rende casa mia un posto degno di essere chiamato casa.
Io ci provo a mantenere ordinato, ma mi accorgo che qualche ora prima che Esperanza arrivi sistemo mucchi di vestiti, pile di piatti sporchi, asciugamani a metà tra lo sporco e l'utilizzabile, i libri sparsi in ogni dove (non so leggere un libro alla volta quindi ce ne sono sempre almeno tre, inoltre in questo periodo sto pure studiando per il concorso docenti quindi ho libri, evidenziatori, fotocopie, verifiche da correggere in ogni dove).
Dopo che ho vagamente riordinato, Esperanza arriva, spolvera, strofina, spruzza, pulisce, io porto giù la spazzatura e casa sembra nuova.
Perché la casa ogni due settimane è disordinata e sporca (vabbe', mica che vi deve far schifo entrare, però insomma, nemmeno splendente)? Se mi rispondete: perché sei disordinata non avete capito niente.
E' vero che sono disordinata, ma in realtà io sono più che altro pigra. Sistemare un vestito nell'armadio (anzi, nella cabina armadio che mi piace tanto) richiede più lavoro rispetto a sistemarne 10 insieme. Per lavoro intendo proprio la definizione fisica. Per lavoro intendo proprio lavoro in senso fisico, ovvero, come lo definisce wikipedia: "In fisica, il lavoro è il trasferimento di energia cinetica tra due sistemi attraverso l'azione di una forza o una risultante di forze quando l'oggetto subisce uno spostamento e la forza ha una componente non nulla nella direzione dello spostamento".
Sistemare un solo vestito per volta per 10 volte comporta che io vada avanti e indietro dalla stanza alla cabina armadio 10 volte. Se invece li sistemo tutti in una volta dopo averli ammucchiati sulla sedia in camera, posso fare un solo viaggio. Avrete quindi capito che io seguo solidi principi di risparmio energetico, e anche che se il lavoro ha a che fare con l'energia, per risistemare la casa è necessario che venga utilizzata una certa energia, quelle che io e soprattuto Esperanza (quale nome più sublime per la mia salvatrice?) immettiamo nel sistema. 
La casa, con la giusta immissione di energia è quindi pulita. Ma perché non resta pulita? Perché io ma anche Apache, il vento che trasporta polvere dalle finestre aperte, i miei ospiti che vengono a cena, il sugo che salta sul fornello siamo tutte cause di disordine, ovvero, detto in termini quasi scientifici, aumentiamo l'entropia del sistema. La nostra energia vitale non si dispone quindi in modo che tutto resti ordinato (gli spruzzi del sugo non finiscono sullo strofinaccio da soli, i peli di Apache non finiscono nella spazzatura, per quanto mi possa esercitare nel lancio dei vestiti questi non finiranno ben piegati nell'armadio da soli). Perché? Perché "nelle trasformazioni reali, irreversibili, l'entropia totale, sistema ambiente, aumenta sempre", come riporta la Treccani
Orbene. 
Oggi al corso per insegnanti di yoga studiavamo il terzo chakra e gli organi da questo controllati, tra cui l'occhio. Ad un certo punto l'insegnante dice una cosa sul fatto che le cellule del cristallino, la lente dell'occhio, per rendere il cristallino appunto trasparente come cristallo hanno perso nucleo e mitocondri. Resto sbalordita dalla finezza della natura. Leggendo on line alcuni siti tra cui questo (libri di medicina non ne ho) scopro che si tratta di una forma speciale di apoptosi, ovvero di morte programmata delle cellule. 
Quindi pensando alla faccenda dell'entropia che fa diventare casa mia un posto non gradevolissimo in soli 15 giorni e fino all'arrivo di Esperanza, e paragonandolo alla meraviglia di cellule che senza che nessuno gliel'abbia detto e senza nemmeno un cervello (quello di cui noi andiamo tanto fieri e ci sentiamo capi del mondo per via di quella cazzata del Cogito ergo sum cartesiano) si dispongono dove devono essere e muoiono a metà in modo da diventare trasparenti e permetterci di vedere, uno come fa a negare l'esistenza di dio, di Dio, di una coscienza, di un'entità, di un'intelligenza?
Io non ce la faccio. Mi sembra impossibile che lo stesso principio di base che vale per tutto il mondo fisico ovvero l'entropia non si sia applicato allo sviluppo delle cose che sono successe dopo il Big Bang. 
Le alternative sono: 
- c'è andata di culo ad essere vivi (se tutto sommato consideriamo piacevole questo giro di giostra sul pianeta Terra in forma umana): le possibilità che si originasse la vita, e dai primi batteri tutte le forme di vita che ci hanno consentito di essere come siamo sono veramente pochissime, anche se spalmate su tempi molto molto lunghi come quelli cosmici. 
- ci ha detto molto male nell'essere vivi (se consideriamo indesiderabile, insensato, insopportabile questo viaggetto): tra tutte le cazzo di combinazioni che le molecole potevano prendere sono diventate proprio DNA che poi ha cercato corpi sempre più evoluti per colonizzare il mondo, facendomi passare circa 75 anni di inferno
- deve esserci una qualche forma di energia che è stata immessa nel sistema Universo in modo tale da determinare la nostra esistenza in questa forma (esattamente come io determino con la mia energia cinetica che i vestiti vadano nell'armadio e non restino sparsi nella stanza). 
Io propendo per l'ultima ipotesi. Noi non vediamo e non immaginiamo quale sia questa energia, perché nemmeno il mio vestito se si svegliasse con coscienza ma con sensi che non gli permettono di vedermi si chiederebbe perché a volte è in camera, a volte si muove e a volte è nella cabina armadio.
La figata però è che noi abbiamo dei sensi (e tra i sensi includo anche la mente, come i buddisti, perché in questo caso mi sembra opportuno) che, se ben indirizzati, ci permettono di intuire questa energia. Magari non la capiremo subito, visto che probabilmente ci accecherebbe. Però con il retto sforzo possiamo vederla. 
Almeno, io inizio a intuirla, e a spaventarmi sempre meno di questa intuizione che all'inizio mi turbava molto. Ero diventata fieramente materialista, non c'era spazio per cazzate energetiche, teologiche, teleologiche. In effetti non ce n'è bisogno, perché sono tante parole che coprono la realtà. La realtà è semplice. Esiste qualcosa che non vediamo normalmente, ma che possiamo vedere. E questo qualcosa è amore che ci ha chiesto di esistere come molti perché potessimo vederlo e potessimo tornare uno. 
Come ho imparato, spero, è sempre troppo presto per cantare vittoria. Quindi dico semplicemente che mi impegno a provare a vedere questa cosa che esiste, perché esiste. 


mercoledì 30 marzo 2016

Felicitàààà...ti ho persa ieri, ma oggi ti ritrovo giààààà

Scommettere.
Sempre.
Tutto.
Sulla.
Felicità.

Mi sono svegliata una mattina ed ero, inaspettatamente e incontrovertibilmente, uscita dalla comfort zone in cui la felicità non era possibile.
Perché un posto in cui non potevo essere felice era diventato un posto confortevole? Oh, che domanda, ma perché era più facile.
Pensavo che la felicità risiedesse nell'ottenere quello che desideravo, quindi diventava più facile non desiderare niente oppure desiderare una qualsiasi cosa e fare i capricci e frignare perché non l'avevo ottenuta
.
Pensavo che la felicità fosse avere questo o quello, essere quello o questo, e provavo tante forme di questo e quello e poi mi arrendevo, e siccome felice non lo ero mai, una forma valeva l'altra. E forma non ne avevo più, e tutto intorno le cose e le persone si distorcevano, collassavano, liquefacevano.
Pensavo che la felicità fosse essere libera dalle imposizione esterne, e non mi accorgevo che ciò che dovevo liberare (ciò di cui mi dovevo liberare?) ero io stessa, quindi mi dibattevo per un po' ululando contro qualcosa, e poi o mi schiantavo di fatica, o atterravo per disperazione nel mondo.
Credevo che essere felici fosse essere scemi. Come essere felici in un mondo tanto imperfetto e ingiusto e criticabile e duro? Meglio essere infelice, almeno mi intonavo al mood generale.
Ero certa che essere felice si facesse da soli, o in due come gli innamorati di Peynet. False entrambi, la felicità si fa in molti.
Non sapevo che l'infelicità è contagiosa e me ne riempivo. Non sapevo che l'infelicità creasse divisioni, e mi trinceravo dietro i miei nastri elettrificati.
Ero convinta di non meritarmela, la felicità. Si può essere felici solo se perfetti credevo.
Ma ora so che sono perfetta, anche se sono una minchiona piena di difetti. Siamo tutti così perfetti che vi vorrei baciare tutti in mezzo alla fronte, anche se poi urlo che siete stronzi e non capite un cazzo.
Scommettere sulla felicità non è essere ingenuamente ottimisti, non significa non vedere le ingiustizie e stare a braccia incrociate mentre penso agli angeli custodi. Non significa nemmeno non vedere i problemi e sperare che l'Universo paghi il bollo auto per me o monti un lavoro o vinca il concorso al posto mio. Queste aspettative sono da idioti (giusto per dirlo agli idioti che pensano che io sia diventata idiota).
Essere felice significa vivere con il cuore aperto. E a volte fa male, ma non so come sono felice lo stesso. Essere felice significa non nascondermi. Essere felice significa accettare e lasciar andare. Essere felice significa non incazzarmi perché le cose non sono come dico io. Essere felice è vedere le persone nella loro inutilità invece che come funzioni di un mio scopo.
Essere felice significa vedere che ogni cosa che accade è una possibilità per andare oltre un mio limite. Essere felice significa sperare che gli altri vivano le cose allo stesso modo, ed essere certa che prima o poi lo faranno. Essere felice significa smetterla di pensare ossessivamente alle alternative, all'altrove, a ciò che non c'è e vivere il più possibile ciò che c'è.
Essere felice significa non considerare nulla come non suscettibile di una risata di pancia, eppure prendere tutto molto seriamente.
Essere felice significa non aver bisogno di niente e di nessuno, eppure accogliere tutto e tutti e goderne quando ci sono e lasciarli andare quando vanno via.
Essere felice significa credere in quello studio scientifico secondo cui fingere un sorriso rende davvero più felici. Essere felici è adorare le persone cupe e che si infastidiscono all'idea della felicità, e prenderle in giro. Essere felice significa smettere di chiedermi se sono felice., significa smetterla di tracciare la sorgente del benessere con marcatori radioattivi solo per scoprire da dove arriva e dove va.
Essere felice è accorgermi che respiro. Essere felice sono le coincidenze che non sono mai per caso.
Essere felice è sentire l'energia della meditazione e ringraziare di averla incontrata.
Essere felice è far felici gli altri. Soprattutto questo. Far felici gli altri. Riemergere dalla lanetta che si annida nel nostro ombelico con qualcosa in mano da regalare. Prendersi dei rischi, non chiedersi sempre perché, fare e basta.
Essere felice è fottermene se mi considerano ingenua, semplice, poco adatta alla vita contemporanea, non abbastanza cinica, quando affermo queste cose.
Essere felice significa vivere. E io voglio intensamente, profondamente, vivere. E io sto vivendo, spesso intensamente e profondamente. Che fatto curioso.







giovedì 24 marzo 2016

Smettere di fumare

Sto smettendo di fumare o perlomeno riducendo moltissimo, scelta a cui sono arrivata solo per motivi di salute: mi si frantuma la testa per la sinusite, mi si infiammano tutte le vie aeree superiori, mi viene la febbre ed è evidente che il fumo non possa che peggiorare tutto ciò.
Ma a me fumare piace. Posso dire questa cosa? In Italia è un'affermazione forse ancora permessa ma in Inghilterra, per esempio, sarebbe davvero sconveniente dirlo. Che palle, a me fumare piace.
Mi rendo conto che spesso non ho il controllo su quanto fumo e questo mi fa innervosire. L'essere dipendente da qualcosa è sempre una mezza merda, ma ci sono tanti plus nel fumare e poi siamo dipendenti da un sacco di cose, il tabacco è solo la punta dell'iceberg...potrebbe essermi capitato nella vita di diventare dipendente dall'eroina e sarebbe stato molto peggio...
Mi rendo conto che le sigarette puzzano e non mi piace, ma già fumando i drum (le sigarette rollate da me, malissimo tra l'altro) il problema della puzza è meno forte. E poi basta aprire le finestre di casa e passa tutto, no? E poi lavandosi capelli e denti regolarmente e mangiando delle mentine noi fumatori non diventiamo automaticamente mostri della puzza come ci dipingono i non fumatori...
Ma mi rendo conto sopratutto che fumare sigarette ha cementato amicizie, da sempre. Dalle gite scolastiche alle superiori, alle vacanze o nelle serate quando vuoi conoscere qualcuno, alle notti in cui accompagnavo a casa un'amica e stavamo in macchina a raccontarci un sacco di fatti e sensazioni privatissimi scandendo il tempo con 10 "ultime sigarette", alle cene in cui stai a tavola per ore condendo sigarette, minchiate, cose serie e un po' di amari. E poi fumare è esteticamente bello, anche sexy direi, non sempre, ma sei sei un po' fig@ aggiunge del fascino.
Mi rendo conto anche che insegnando dovrei lanciare forte e chiaro il messaggio che il fumo fa male. Ma spesso sono accaduti momenti educativi più intensi durante una sigaretta fumata insieme ad uno studente/essa in crisi che durante le ore di lezione in classe.
Mi rendo anche conto che fumare è un comodo passatempo: sto aspettando un autobus, l'inizio di uno spettacolo, un amico che non arriva. Posso guardare il telefono (loser), posso guardare le scarpe dei passanti, posso meditare un poco sui rumori intorno a me oppure...posso fumare una sigaretta!
Quindi ora si pongono delle questioni chiave:
Che cosa faccio ora nel tempo lasciato libero dal fumo?
Come riempio quei minuti? Lavoro di più? Mangio di più (ho il terrore molto preciso di prendere 10 chili per il cambio del metabolismo...)? Tamburello di più con le dita? Mi incazzo di più con il resto del mondo? Medito di più?
Come sostituisco la pausa sigaretta con qualcosa che mi dia la stessa sensazione di spazio vuoto in cui la mente può distaccarsi del tutto dal lavoro che sto facendo o al bisogno mi consenta di focalizzarmi meglio?
Che scuse uso per chiedere o dare un momento di attenzione esclusiva a qualcuno o per ritagliare degli spazi dentro i momenti di gruppo?
Rileggendo tutto questo pippotto che ho scritto con gli occhi di chi sa, perché lo so, quanto forti siano i condizionamenti che governano le nostri vite, e sa che siamo fatti di abitudini, e sa che la paura del cambiamento è solo paura dell'ignoto, e sa che ci rassicuriamo con le cose come i bambini con i peluches mi viene da ridere.
Però cazzo, fumo da 20 anni. L'attaccamento più lungo della mia vita, direi. Mi manda in sbattimenti, quasi come quando finisce una storia. Un altro ex da archiviare. Quindi fase di down, poi assestamento, poi odio, poi nostalgia, poi la normalità diventerà essere separati e magari di tanto in tanto potremo vederci e risentirci. Ma sarà sempre qualcosa con cui devo andare cauta per non ricaderci, anche perché ci sarà solo la mia volontà coinvolta, il fumo non mi dirà "No, Misa, ti voglio bene ma non possiamo tornare insieme". E io non potrò nemmeno odiarlo perché è stronzo. A parte il mal di testa e i soldi spesi il fumo è stato un piacevole compagno di vita.
E poi ogni cambiamento è un'implicita accettazione del tempo che passa. E io odio il tempo che passa. Mica posso far finta di essere zen se non lo sono. Porco cazzo.
Uff.





sabato 5 marzo 2016

Il gin, la nausea, il cavolfiore scondito.

La cosa che più mi allontana dalle persone è il tentativo che molti fanno di sembrare diversi da ciò che sono perché si immaginano che io (o altri) li possiamo apprezzare di più dentro e dietro il travestimento di cui si agghindano.
Il motivo per cui le persone che agiscono in questo modo mi allontanano è presto detto: ho fatto la stessa cosa per molti anni, l'ho fatta quasi sempre. Ero così certa di non piacere, di non essere giusta, di dover essere diversa, di dover essere migliore di ciò che ero che un pilota automatico mi trasformava ogni volta in qualcosa che non riconoscevo pienamente, in cui mi muovevo goffamente, in cui il mio io profondo si intristiva per poi scoppiare o implodere.
Ora però questo gioco mi ha nauseato a tal punto che appena lo odoro da lontano non riesco a muovere un passo. Anzi sì, riesco a correre in direzione contraria, dopo aver però indagato bene il fenomeno.
Un po' come quando ero stata male con il gin e non riuscivo più a berlo. Però di fronte ad un gin tonic lo annusavo per capire se mi attraeva o disgustava, se riuscivo a berlo di nuovo oppure no. Ora posso bere gin in quantità moderate, non mi disgusta più, ma non mi piace.
Quindi tra un po' forse sarò di nuovo in grado di non sentirmi in dovere di dire a chi si traveste per compiacermi di smetterla e sarò pure capace di travestirmi se sarà necessario (che a volte nel gioco delle parti che è la nostra vita è necessario saperlo fare, non per compiacere gli altri, ma per assecondare alcune circostanze).
Per ora, la nausea è troppo forte. Non ce la faccio. Che gusto si trova nell'essere blando e insapore come un cavolfiore del supermercato stracotto e scondito? Perché questo è ciò che si diventa mascherandosi: non si è nessuno, si è sgradevoli. Si evidenziano le cose che vorremmo nascondere. Non si lascia spazio all'energia primordiale di cui tutti siamo fatti perché fluisca e si prenda lo spazio di cui ha bisogno e si rilassi.
Noi non siamo bandierine al vento, noi siamo il vento.
Quindi quando sento odore di tentativo di compiacimento, per ora non ho scelta:  corro lontano.


giovedì 3 marzo 2016

Unum est Omnia, Omnia est Unum

Non premere il pulsante.
Non aprire niente.
Tieniti stretta.
Tieniti chiusa.
Non si vola.
Non si regala.

Chiedo scusa, ora. 
Non lo sapevo, allora. 
Scusa a quelli a cui niente davo .
Scusa a quelli da cui niente ricevevo. 
Però. Piangevo.
Piangevo sul dolore delle cose che non potevo lasciare andare perché non le avevo. Convinta di non averle, le trattenevo e marcivano e intossicavano.
Poi ho aperto il cuore, ed era di carne e batteva. 
Mi sono sono chiusi gli occhi e lo sguardo si è spalancato. 
Ho aperto le mani, e traboccavano, senza sosta, in ogni direzione. 
Ho toccato il mondo, ed esisteva.
Mi ha sfiorato la bellezza, ed entrando, è uscita. 
E ciò che è dentro è fuori, ciò che è fuori è dentro. 
E tutto è in me, e io sono in tutto. 
E se ci sono, effondo, e non affondo. 



mercoledì 2 marzo 2016

Is this the end?

Quando non hai più risposte, forse hai semplicemente esaurito le domande.
E accettato ciò che c'è per come è.


giovedì 25 febbraio 2016

La vita quotidiana come rappresentazione: oltre la paura del ruolo


Gli uomini hanno bisogno di contatti sociali e di compagnia sotto un duplice profilo; da un lato essi necessitano di un pubblico davanti al quale recitare le proprie vanterie, dall’altro di compagni di équipe con i quali entrare in cospirazioni segrete e rilassarsi nel retroscena.   Erving Goffman 

Oggi in classe - una seconda!!! -  ho parlato di questo testo che chiunque abbia studiato un poco di sociologia conosce, appunto La vita quotidiana come rappresentazione di  Goffman
Poi ci ho pensato un po' su, e mi è venuto in mente che sì, noi pensiamo di essere noi ma siamo un sacco di ruoli diversi, un fascio intrecciato di ruoli diversi.
E la differenza fondamentale tra l'esserne inconsapevoli e l'esserne consapevoli è che nella prima ipotesi rischiamo di passare la vita a fare ciò che ci viene chiesto dai ruoli scritti da noi per altri mentre nella seconda possiamo per lo meno scegliere quali ruoli rifiutare, quali personalizzare meglio, quali mescolare.
Senza ruoli, palcoscenico, retroscena pare che non si possa vivere, anche se lascio aperta la possibilità di un mondo oltre il mondo in cui le cose siano per come sono e non per come devono essere, per come riusciamo ad interpretarle, per come vogliono apparire ecc.
La lieve, o profondissima, vertigine che ci viene quando ci si scombinano le carte ai nostri ruoli (ad esempio quando ci licenziano, ci innamoriamo, ci lasciano o lasciamo, vogliamo cambiare vita, mandiamo affanculo il capo, notiamo la bellezza dove prima non riuscivamo a vederla...) è proprio la vertigine di fronte al vuoto che immaginiamo dietro la maschera che ci siamo levati o che ci hanno strappato.
Il vuoto del non sapere più darci un nome, un senso, uno scopo, un ruolo, appunto. Di non riuscire più nemmeno a rilassarci nel backstage perché in scena non sappiamo chi siamo, che cosa dobbiamo fare, che cosa si aspettano da noi, che cosa possiamo dare.
In quei momenti così preziosi è meglio tuffarsi, invece di restare incollati dove siamo con la nausea che ci ingorga stomaco e pensieri.
Qualche cosa, un nuovo noi (parziale, dubitante, caduco) uscirà.


Nelle foto qui sotto, un'esemplificazione del tuffo in un cambio di ruolo.






domenica 21 febbraio 2016

Dei conflitti, delle difficoltà, dei problemi, dell'equilibrio e degli sbatti

Ho fatto un workshop di scrittura teatrale e recitazione, ovvero ho il cervello un po' fritto ma molto vivo dopo 20 ore di lavoro in 2 giorni e mezzo.
Guardare alla drammaturgia come possibilità di un vita un po' più interessante di quella inconsapevole, ecco, era un esercizio che non facevo da un po'.
Considerazioni emerse.
I conflitti sono di tre tipi: interno, interno di origine esterna, esterno.
Esemplifichiamo: vorrei un gelato.
Conflitto interno: non so se mangiarlo è giusto o sbagliato: potrei essere intollerante al lattosio, temo di ingrassare, ne ho già mangiati altri 5...
Conflitto interno di origine esterna: vorrei un gelato ma costa troppo, non so se posso davvero spendere 4 euro visto che ne ho in tasca 5 per arrivare a venerdì ed è lunedì pomeriggio. Oppure: vorrei il gelato di una certa gelateria ma è chiusa, quindi non so se ripiegare su un gelato qualsiasi.
Conflitto esterno: voglio un gelato ma il proprietario della gelateria non me lo vuole vendere perché gli sto antipatica, oppure voglio un gelato, lo compro e mentre sto per mangiarlo arriva uno che me lo ruba.
La reazione alle difficoltà che insorgono da questi conflitti sono la misura del desiderio del personaggio nel perseguire il suo obiettivo. Può mollare subito, sentirsi annientato e non volere più niente, usare la resilienza per trovare altri modi per raggiungere il suo obiettivo...
I problemi sono solo il mezzo che abbiamo per trovare soluzioni adeguate. Senza problemi ci annoieremmo perché tutto sarebbe già scritto. Senza problemi perché vivere? Non avremmo niente da sistemare. La nostra capacità di vedere i problemi e la nostra capacità di trovare soluzioni sono la nostra forma di intelligenza più acuta e utile.
A lungo ho pensato che l'equilibrio fosse l'ideale eterno da trovare una volta per tutte. Che minchiata. Dall'equilibrio, nell'equilibrio, non scaturisce la vita, perché l'equilibrio che si fissa è quello proprio delle cose finite, intrappolate, inerti. Dei problemi risolti una volta per tutto, tipo con fine del film o del dramma, o con la sepoltura.
Gli sbatti sono problemi a cui ci rifiutiamo di collegare la necessaria soluzione. Vediamo solo il rovello, l'impiccio, il fastidio, e non la possibilità creativa che ne è l'inevitabile accompagnatrice. Quando ragioniamo per sbatti, non siamo creativi. Siamo solo reattivi. E' come scrivere un testo, o provarlo per la prima volta ed essere infastiditi se non funziona subito.

L'ultima considerazione è che Umberto Eco forse è vissuto invano. Gli intellettuali o presunti tali che fanno corsi come questi dovrebbero ogni tanto anche dedicarsi a ciò che considerano trash, vile, inappropriato. Perché io tante cazzate sui social media come quelle che ho sentito in questi giorni, raramente. Li mortacci nostri, pure io non ho la televisione, però ogni tanto riemergo dal sarcofago di libri, buonismo e pensieri alti. E se nomino The Voice non andatevene a male! A maggior ragione visto che per scrivere di cose e persone vere bisogna almeno un po' amarle, anche se non ci piacciono, e perché imparare ad  aver a che fare con persone diverse da noi è un sano esercizio di creatività (e umiltà).




domenica 14 febbraio 2016

La nemesi di Valentino

A RdL Valentino era il nome di un bar di quelli di una volta, che puzzava di vino, di fumo, di geriatria e di mazzi di carte da briscola usurati (li avete mai annusati? Sanno di sporco e sudore e sebo e polvere)
Quando entravo al bar Valentino per comprare il Maxibon mi sembrava di fare una cosa sbagliata. Ah, potere dell'educazione borghese.
Oggi la mia amica Silvia ci ha tenuto a ricordarmi che era san Valentino. Ha pure affermato che il nostro aperitivo era il festeggiamento migliore, agognato da anni.
Poi però mi ha fatto arrivare a case e per insistere sulla questione, mi ha fatto chattare per un'ora e mi sono venuti in mente dei 14 febbraio degli anni passati, e un po' fanno ridere è un po' fanno piangere. Perché anche io che scrivo un blog, non salvo quasi nessuno da una qualche etichetta, sono femminista e autonoma, anche io ho un cuore che palpita. Giuro. Sto pure diventando sempre più buona, non tratto più male i cuori che mi si affidano e imparo a non far trattare male il mio.
Quindi, anche se festeggiare San Valentino é abbastanza da sfigati, e i baci Perugina li compro spesso come regalino anche agli amici e alle amiche ma mai per San Valentino, resta il fatto che per qualche motivo mi accorgo sempre che sia proprio quel giorno. Questo giorno.
Ecco quindi alcuni ricordi sparsi. Tratti dall'ultima parte della mia vita, che quella precedente è confusa, come se appartenesse ad un'altra persona.
Ricordo n.1
Mi ha lasciato da un mese. Sto sotto un tram come mai mi era capitato prima e mai più dopo. Non lavoro non mangio spesso non mi tolgo il pigiama fino a quando torno a letto. Mi rimbalza da un mese, regalandomi bidoni che collezioni dentro l'armadio. Ma il pomeriggio del 14 febbraio mi chiama: "Ciao. Ti ho chiamato perché volevo dirti che ti voglio bene" più altre frasi che nemmeno riesco a capire e mette giù. Dovevo essere chiaro che era l'inizio di anni di costante puntuale colossale impedimento di ogni mio tentativo di dimenticarlo, andare oltre, sentirmi libera. Avrei dovuto bruciare il telefono che conteneva il suo numero, lanciarlo nella Geena, Invece: lo richiamo insultandolo, nutrendo per la prima e più gustosa volta il suo onnivoro ego.
Ricordo n.2
Nemmeno ci accorgiamo che è San Valentino. Siamo semplicemente in giro ed entriamo in un ristorante. Intorno a noi solo coppie. Il cameriere ci fa l'occhiolino. Allora, spinti dalle circostanze, con un po' di imbarazzo bridiamo e intrecciamo i calici. Che ci vogliamo bene è indubbio. Che cosa siamo, chi lo sa. Per fortuna ora siamo diventati amici, e qualcosa di certo c'è. La mattina dopo uscendo da casa mia dice una cosa tremenda, ma così tremenda che non riporterò per non infangarne la reputazione nel caso qualcuno potesse riconoscerlo. È un amico, ora. Le cose cambiano e si riparano a volte: ti voglio bene, non lo dico a nessuno che cosa mi hai detto, mi hai anche mandato delle bellissime mail dopo per riparare un po'. Ad ogni modo: abbiamo smesso di frequentarci dopo aver festeggiato inconsapevolmente San Valentino.
Ricordo n.3
Compro un biglietto per un concerto di un gruppo che gli piace. Non me ne accorgo ma è proprio per...la sera di San Valentino, of course. Due giorni prima unica vera litigata della nostra convivenza, che poi avremmo pure potuto litigare meglio, cazzo, che quando litighi è meglio mandarsi forte a quel paese e dirsi tutto rispetto a fingere di aver fatto la pace per non rompere le cose. Che tanto le cose si rompono se devono rompersi, e si rompono ancor di più se sotto le pezze si lasciano crescere i bubboni. Quindi andiamo al concerto e io piango tutta sera, no dico: letteralmente tutta la cazzo di sera. La musica mi emoziona sempre, nel bene e nel male. Ed ero presa malissimo. Si era rotto qualcosa e non riuscivo ad ammetterlo.  Per concludere la serata, in metro troviamo una che lui si era scopato, e aveva mollato brutalmente: la sua faccia da finto penitente mi fa venire voglia di cavargli gli occhi. E invece: incenerisco lei. E poi mi rimetto a piangere.
Tirando le somme l'unica cosa che mi viene in mente per giustificare l'evidente antipatia che il giorno di San Valentino prova per me è che l'Universo mi sta dando chiari segnali: l'amore romantico, di plastica e pieno di selfies con i cuori non è per me. Giuro che l'ho capito, mi faccio anche interrogare volontaria se vuoi, caro maestro Universo, ma possiamo passare definitivamente alla prossima lezione?

venerdì 12 febbraio 2016

Tregua

C'è stato un periodo della mia vita in cui l'unica cosa che volevo era rompere i coglioni.
Dovevo rendere evidente una verità su me stessa al giorno, in una sorta di bulimia di ricerca di verità, guidata dal sacro e fervente spirito di Nietzsche che viveva in me.
Ma non soddisfatta di rompere i cabasisi a me medesima, li rompevo pure agli altri, convinta che tutti avessero il dovere di stanarsi, dandosi la caccia senza tregua, e pure il diritto di sentire da me ciò che da soli non riuscivano a vedere.
Avevo sempre ragione, su di me e pure sugli altri.
Ma facevo continuamente esplodere bubboni, creavo crisi, cercavo diplomazie tra le varie entità della mia psiche e tregue (armate) con gli altri.
Ora sapete che c'è?
Anche ora vedo un sacco di cose, e so di avere spesso ragione in virtù di un intuito preciso. Eppure la via mediana della civile convivenza venata di illustre consapevolezza e di sana accettazione vince.
Guardo, rifletto, agisco, sto zitta. Non mi rompo il cazzo. Non ve lo rompo. Vivo. E vi lascio in pace.
Poi, se chiedete, vi dico tutto quello che volete, vi spiego tutte cose. E so che mi ringrazierete. Anzi, fatelo, chiedete per favore! Ottimi consigli al prezzo, al massimo, di un bicchiere di vino.
Ma se non chiedete, liberi di essere perfetti così come siete. Anche di guardare Sanremo, giuro.


sabato 6 febbraio 2016

Perché sono fieramente femminista (e amo gli uomini)

LISISTRATA: Ho il cuore che mi brucia, Cleonice
E poi sono tanto angustiata per noi donne!
Perché gli uomini ci ritengono capaci di tutto
CLEONICE: E lo siamo davvero, per Zeus
da Lisistrata, di Aristofane

Perché al mio primo lavoro vero, appena laureata, gente convinta di essere emancipata in quanto di sinistra piuttosto radicale, mi chiamava "segretaria particolare",  e si dava di gomito, implicando che la particolarità fosse fare i p******i al mio capo, un politico meravigliosamente rispettoso, sotto la scrivania.
Perché un altro datore di lavoro, quando mi sono licenziata, mi ha mandato via mail un film porno. Aveva 60 anni.
Perché il proprietario di un albergo al mare mi ha bloccato in una cabina telefonica color mogano, mi ha leccato la pelle del braccio e mi ha detto: sei salata. E poi mi ha messo la lingua in bocca. Avevo 14 anni.
Perché il fatto che sorrida e sia gentile e rida alla battute e non faccia la figa di legno quando conosco qualcuno, anche sul lavoro, è stato spesso visto come: sei facile. No, sono socievole. Non vuol dire che te la darò. Se mi innamoro, certo che sì. Se ne avessi voglia, forse sì. Puoi anche provarci, se vuoi. Ma, tesoro, non è scritto nel nostro contratto.
Perché la mia amica che aspetta un figlio non debba temere per il rinnovo del suo contratto, che si è meritata perché è la più brava di tutti.
Perché maschi e femmine si nasce, ma uomini e donne si diventa, e il modo in cui questa società ci fa diventare uomini e donne è folle.
Perché amo gli uomini, e vorrei che fossero lasciati liberi di dire che hanno paure, fragilità, fatiche. Diverse dalla mie di donna, diverse da quelle di qualsiasi altro uomo. Ma le hanno. E ne devono poter parlare. E possono andare dallo psicologo senza sentirsi mezze checche. 
Perché sono stufa, e ho il cuore spezzato nel vedere uomini che naufragano. E sono molti, molti di più delle donne. 
Perché ora c'è bisogno di essere femministe e femmine e donne. Ed è vero che siamo diverse dagli uomini, e che la nostra diversità è una ricchezza. I millenni di maschilismo con guerre, stupri, saccheggi, disastri ambientali lo dimostrano. 
Perché in principio c'era la Grande Madre, e ora Dio è sempre al maschile. 
Perché le donne come Lisistrata possono fermare le guerre, semplicemente togliendo agli uomini ciò che per loro, vista l'educazione sentimentale da primitivi che ricevono e anche la natura di cui siamo fatti, è il premio: il sesso. 
Perché a tutti, incluse le donne a cui piacciono altre donne e inclusi gli uomini a cui piacciono altri uomini, sia concesso di fare dentro e fuori il letto ciò che preferiscono dei loro organi sessuali, in particolare del loro organo sessuale più importante: il cuore. 
Perché se una donna vuole ricoprirsi di modestia, mettendosi il velo come le musulmane o essendo sottomessa come spiega Costanza Miriano, lo possa fare. Come scelta il più possibile libera, in mezzo ad altre forme di femminilità, tutte accettate. 
Perché a scuola le donne hanno voti più alti, ma appena arrivano al lavoro guadagnano meno degli uomini. 
Perché le donne che arrivano al potere non se ne facciano mangiare, non facciano la gara per diventare uomini. 
Perché le minigonne sono fighe, e se gli uomini apprezzano quando mi vedono, ne sono anche felice. Così come sono felice se vedo un uomo che mi piace. Ma se dico che non mi devi toccare, non mi devi toccare. 
Perché la polarità uomo e donna è più bella, quando è piena e non stereotipata. 
Perché le donne mandano avanti il mondo da millenni, ma votano da meno di 100 anni. 
Perché non siamo un'appendice degli uomini. Siamo l'origine di uomini e donne. Insieme agli uomini. Ma per gli uomini a volte l'origine della vita dura il momento di un orgasmo, per le donne almeno 9 mesi, e di solito una vita intera. 
Perché non essere femminista ora significa chiudere gli occhi su millenni di storia ingiusta. 
Perché l'obiettivo del femminismo, almeno del mio, non è la castrazione del maschio o la "testosteronizzazione" della donna. E' il risveglio della profonda femminilità degli uomini e della profonda mascolinità delle donne, è la pacificazione con il proprio essere. E' creare un amalgama nuovo, che renda possibile incontri nuovi e società nuove. 





giovedì 28 gennaio 2016

Guerrieri

Ho strappato minuscoli attimi di felicità con la stessa naturale ferocia di una leonessa che si avventa sul cuore caldo e palpitante di una gazzella.
Ora mi sembra che la felicità non vada conquistata, ma solo goduta. Lasciata scorrere, naturale come una fonte. Protetta dall'inquinamento, quello sì, esattamente come una fonte. Condivisa anche. Cercata negli altri. Ma mi sembra così lontano il tempo della lotta armata per la felicità. La felicità sono io, è l'Universo, come faccio a lottare per qualcosa che già ho, che mi abita, anzi di cui sono intrisa e composta?

Ma a volte serve essere guerrieri. Stare di fronte al nemico. Guardarlo negli occhi. Stare di fronte ai mostri. Ma, ecco, questo è il problema: non sono mostri. Il nemico ha un nome, che va riconosciuto e accettato, altrimenti si colpisce a caso, come un kamikaze, mescolando sangue colpevole e innocente e innocuo.
Questo nemico ha quasi la tua stessa faccia. Quasi la tua stessa voce. Quasi i tuoi stessi occhi. Ma morti, tutto è morto, e se non è morto abbastanza vuole solo morire di più. Vuole disfarsi, vuole disfarsi di te. Vuole svanire. Cerca il nero e vi indugia. Ti fa pensare che anche tu voglia lo stesso.
Ti convince di essere più potente. Ed in effetti lo è. E a te, non resta che lottare.
Questo nemico ha un nome: depressione.
Depressione.
Depressione.
La malattia del secolo, pare. E quindi ingurgitiamo milioni di milioni di pillole. E poco poco amore. La disgrazia più vera non è avere la depressione. Ma averla e non saperlo, pensare che sia normale. E volere che anche gli altri siano così, mezzi morti come te. Senza amore come te.
Perché vincere la depressione sarà la tua seconda nascita, non casuale ma causale. Un attraversamento delle cause ed egli effetti che è un trascenderli. Un passaggio nel buio, come nel canale vaginale. Questa volta senza placenta ad ossigenarti. Sei tu, solo, a cercare la luce.
E quando la trovi, ne vuoi ancora di più. Vuoi farti luce. Capisci di non poter essere altro che luce. E sai che ogni ombra chi incontrerai sarà luce, prima o poi. E' già luce, anche se non lo vedi.
E benedici il momento in cui tutto è diventato buio, perché ti ha fatto vedere, accecandoti all'inizio, quanta luce esiste. Quanta luce sei. Quanta luce sei sempre stato.




domenica 24 gennaio 2016

Un post al volo

He hoped he would live through this, but he was willing to die, if that was what it took to be alive. Neil Gaiman

E invece organizzo le giornate, mando in stage dei ragazzini, penso che studierò per il concorso,  apro la cassetta della posta e ne tolgo bollette e pubblicità, rimando progetti, incastro faccende, mi incastro sulla poesia. 
E mi mangio le unghie a sangue. 



giovedì 21 gennaio 2016

A dirlo son bravi tutti

Reggi lo sguardo su una cosa
finché quella cosa sarà senza nome
senza senso
senza utilità
senza scopo.
Senza futuro e senza passato.
La cosa sarà infine ciò che è realmente. 
Vuota. Libera. Completa.
Reggi lo sguardo su un tuo sentimento
finché avrà smesso di pulsare
tormentarti
attrarti
obbligarti
lusingarti. 
Il sentimento sarà inattaccabile
come un diamante
o corroso e volatilizzato,
imploso, nella sua stessa insensatezza.
Reggi lo sguardo su una tua scelta
finché vedrai che non c'è nessuna scelta,
solo illusione di premi e castighi
possibilità e impossibilità.
Niente ti sarà proibito
tutto il bene si compirà. 
Reggi lo sguardo su te stesso 
finché non ci saranno
più aspettative
più rimorsi e compiacimenti
più paure
più nessun desiderio di cambiamento
e nessuno sforzo. 
Sarai ciò che veramente sei. 
Tutto. 
Lascia andare ora
ora
ogni costruzione su come dove quando e perché accadrà
e sarai libero.
Sei libero.
Sei libero.
Sei libero.




lunedì 18 gennaio 2016

Andate. Tutti. Affanculo. Vengoancheio.

Il cinico è uno che conosce il prezzo di tutto, e il valore di nulla.
Oscar Wilde

You have the choice: either as little displeasure as possible, painlessness in brief … or as much displeasure as possible as the price for the growth of an abundance of subtle pleasures and joys that have rarely been relished yet? If you decide for the former and desire to diminish and lower the level of human pain, you also have to diminish and lower the level of their capacity for joy.Federico Nietzsche 


Sì, facciamo tutti insieme un bel salto verso la gaia terra del fanculo. 
Perché tutti abbiamo un buon motivo per andarci.
Chi ha perso, non trova, non ha mai avuto motivi per essere felice ed è ostinatamente incazzato al primo accenno di felicità.
Chi vede motivi di felicità come Pollyanna, torturandosi perché li deve trovare.
Chi si sente meglio degli altri, convinto possessore della verità. Solidale e ddessinistra finché il suo ego privilegiato non viene messo in discussione.
Chi non prende posizione. Voi andate affanculo due volte.
Chi prende posizione solo dopo essersi assicurato che sia quella giusta. Voi andate affanculo tre volte. 
Chi non osa mai.
Chi se ne accorge, ma non fa nulla.
Chi fa tutto, ma non si accorge di nulla. 
Chi vorrebbe metterti una mano sul culo e la lingua in bocca, e si limita a mandare messaggi giusti.
Chi ti mette mano sul culo e lingua in bocca senza preoccuparti che tu lo voglia.
Chi accetta mano sul culo e lingua in bocca di qualcuno che non gli piace. 
Chi pensa che siamo menti scorporate.
Chi pensa che siamo corpi senza anima.
Chi venera l'anima e lascia straziare i corpi. 
Chi di fronte alle parole di uno sconosciuto reagisce con la fuga, l'aggressione, il disagio.
Chi parcheggia sulle ciclabili.
Chi sa e non parla.
Chi parla e non sa. 
Chi pensa che i bambini siano più scemi degli adulti.
Chi pensa che i bambini siano funzionali agli adulti che saranno. 
Chi resta bambino per sempre. 
Chi non si accorge che l'unica fonte di infelicità e sofferenza sono i limiti mentali fisici economici sociali razziali sessuali a cui è stato coartatamente educato. E che in mancanza d'altro (e d'alto) ha finito per adorare. 
Chi preferisce morire d'invidia che provarci. 
Chi odia la differenza.
Chi pensa che la sua differenza sia più differente.
Chi fa prendere la multa al condominio perché fare la differenziata è troppo sbatti. 
Chi va fuori di testa a vedere un fazzoletto di carta nel bidone della plastica. 
Chi pensa che essere uguali sia essere liberi.
Chi cerca qualcosa da cui liberarsi.
Chi si libera seppellendosi nelle cose.
Chi si libera da solo, ingabbiando gli altri. 
Chi libera gli altri, e si rotola all'inferno, godendone.
Chi legge sempre e chi non legge mai.
Chi sogna sempre e chi non sogna mai.
Chi è più interessato a ricordarsi i sogni per raccontarli all'analista che a vivere.
Chi pensa che il tempo atmosferico sia sempre sbagliato: troppa nebbia, sole, pioggia, vento.
Chi non parla lingue straniere.
Chi le parla ed è più interessato a parlarla bene che a parlare bene. 
Chi è proibizionista senza essersi mai acceso una canna.
Chi non sa darsi una regolata. 
Chi non ti aiuta, perché lui ha la sua vita, che è complicata anche quella.
Chi è amico, e non ti chiama mai.
Chi ha sempre gli stessi amici e non muore di noia.
Chi ha sempre gli stessi amici e muore di noia, e non se ne cerca altri.
Chi non ha amici, perché è troppo impegnativo.
Chi ama più le teorie che la persone. 
Chi non ha nessuna teoria. 
Chi pensa di non essere in nessuna di queste categorie.

Cercati un motivo. E vattene affanculo. 
Starai meglio dopo. 
So much better! 



mercoledì 6 gennaio 2016

L'armadio a muro della personalità. Get out of the closet.

Ogni volta che dici una cosa tipo: "ah, ma io sono fatta così, non ci posso fare niente" "ho sempre fatto così" "non farò mai questa cosa" "farò per sempre quell'altra" "non ce la farò mai" stai facendo la cosa peggiore che potresti farti: ti stai autosabotando, mutilando il tuo potenziale .
Ti stai confinando in quattro convinzioni misere che non prendono in considerazioni le infinite possibilità che ti aspettano.
Non sai che cosa ti succederà nella vita, quindi non puoi essere certo di ciò che farai o  non farai. Non conosci i miliardi di possibilità aperte di fronte a te.  Ma soprattutto non sai chi sei ora. Non sai che ciò che chiami orgogliosamente io, ciò che consideri la tua preziosa (o misera) personalità è solo una reazione a condizionamenti sociali e familiari (e karmici se ci credi) e che la sua utilità è molto minore dei disagi che ti può creare e che in effetti ti crea.
Avete presente i cantanti o i registi che dopo un po' di album o di film proprio non ce la fai più a sopportarli perché suonano, mostrano, raccontano cantano sempre le stesse cose, leggermente modificate? Ecco, quello sei tu dopo che ti sei chiuso nell'armadio a muro della tua personalità.
Di solito i cantanti famosi tendono di più a copiare loro stessi, perché nonostante una parte di pubblico cerchi di forarsi i timpani ogni volta che sente una canzone "nuova" mettiamo di Ligabue, una larga fetta di fans si scioglie al sentire le stesse rassicuranti note e parole.
Perché? Come uno possa ascoltare ancora Ligabue è un mistero troppo profondo perché io lo possa risolvere qui. Ma che l'abitudine sia rassicurante, che il rivivere sempre le stesse cose sia per molti meglio che lasciarsi andare al cambiamento - che è l'essenza stessa della vita  visto che tutto ciò che nasce muore, e nel frattempo muta - sono processi molto facili da vedere, anche in noi stessi.
Perché l'armadio a muro della nostra personalità è generalmente molto molto più rassicurante dello specchio in cui guardarci e scoprire ciò che realmente siamo.
Perché ciò che realmente siamo è... Scoprilo. Get out of that f***ing closet, come on!
Oppure restaci dentro, a ripeterti come un autistico (lo siamo tutti, senza saperlo) le solite frasi e a giocare con i soliti gingilli.
Tanto prima o poi l'universo ti caccia a calci nel sedere dal tuo armadio a muro.
La tua personalità, per quanto bella ammirata apprezzata indorata, per quanto ti faccia sentire potente o ti protegga da ciò che temi, è solo un armadio a muro. Lì dentro puoi solo asfissiare.