mercoledì 23 dicembre 2015

Fiumi.

A volte fai il morto e galleggi.
A volte ti rilassi faticando in lunghe e calme bracciate.
A volte ti siedi sulla riva e lo guardi scorrere. Ti guardi scorrere
A volte ti siedi sulla riva, chiudi gli occhi e ne ascolti solamente il rumore. Il tuo rumore.
A volte ti tuffi, poi ti agiti, bevi, tossisci e temi di affogare.
A volte puoi solo assecondare la corrente.
A volte ti accorgi che cambia il panorama.
A volte è in secca, e fai schizzare le pozzanghere, indispettito.
A volte è riparo dal caldo, altre riparo dal freddo.
A volte ti gela le ossa, altre è tiepido come il brodo per un risotto.
A volte esonda, e rende fertile la terra.
A volte rompe gli argini che lo costringono e ti affascina il suo potere distruttivo.
A tratti limpidissimo, a tratti inquinato.
Ha un inizio e una fine, ma da dove vengano e dove vadano le sue gocce, non lo saprai mai
In certi punti incontra altri fiumi, le cui acque si mescolano poco a poco.
In altri punti crea rami morti, che poi morti non sono, sono piccole paludi piene di rane, uccelli, canne,  libellule.
Un giorno ti inghiottirà e tu penserai di non essere più.
Ma sarai qualcosa che non sai.


sabato 19 dicembre 2015

Incredibilmente anche mia madre è un essere umano

Lei 70 anni, io 35.
Lei la quarta, io la prima.
Lei concreta, io aerea.
Lei organizzatrice, io pure.
Lei nonna, io zia.
Lei solida all'apparenza, fragile dentro. Io fragile all'apparenza, un'inaspettata resilienza dentro.
Lei cattolica, io bho.
Lei non aveva dubbi, mi pareva. Io glieli ho fatti venire, mi pare.
Lei conosce le regole e le accetta, io le conosco e ci sbatto la testa.
Lei bionda ancora naturale, io tinta da 10 anni per coprire i capelli bianchi.
Lei con un gran gusto e un grande armadio, io pure, soprattutto il secondo.
Lei non capisce le pubblicità, io gliele spiego.
Lei non ha senso dell'ironia, io la prendo in giro continuamente.
Lei indipendente, in un mondo che forse gliel'ha impedito. Io indipendente, ma non so bene che farmene dell'indipendenza.
Lei accusata, io giudice.
Lei giudice, io accusata.
Lei che controlla ogni cosa, io che farei lo stesso, ma mi sforzo di non assomigliarle troppo.

Penso di conoscerla, eppure so che non so niente di lei. Me la immagino diversa, se solo nella sua vita fossero accadute altre cose. Un lancio di moneta e la vita può cambiare. Che ne so, un fidanzato hippy invece di mio padre, del resto era la fine degli anni '60. Mi immagino quali lati del suo carattere si sarebbero rafforzati, quali ammorbiditi, quali scatenati. Mi viene da ridere pensandoci, Ivonne figlia dei fiori. O attivista femminista. O architetto O giornalista. O contadina. O infermiera.
Non è possibile, lei non ha una vita sua, non avrebbe potuto avere un'altra vita che questa. E' un privilegio che non posso riconoscerle. Lei è mia madre, che cosa vorrebbe essere oltre a questo? Casualmente è anche madre di due mie sorelle, ma lei è indiscutibilmente mia madre. La conosco e la riconosco per questo. E' quasi disgustoso questo annullamento di lei come essere umano, non posso davvero essere così meschina, così piccola, così egoista. Riprovo, perché so che da qualche parte non può essere solo quello.
Temo di non amarla più, se non fosse mia madre. Ma riprovo, chiudo gli occhi e mi immagino di incontrarla sotto i portici di RdL, in un giorno in cui ride e gli occhi verdi le scintillano. E magari di sentirla giocare con i suoi nipoti. La immagino a curare le piante. Immagino la sua voce alzarsi quando si arrabbia, e le lacrime sul suo viso incredibilmente senza rughe. Immagino che sgridi suo marito perché si è sporcato la cravatta mangiando. La immagino pregare chiedendo benessere per chi le sta nel cuore. La immagino cercare le parole che non sa dire. La immagino cercare qualcosa che nemmeno lei sa che cosa sia. La immagino accettare quello che ha. La immagino mentre piega i maglioni in pile incredibilmente ordinate. La immagino accorgersi che qualcosa è fuori posto. La immagino 17enne in vacanza all'Elba. La immagino il giorno del suo matrimonio. La immagino come se io non esistessi.
E mi accorgo che esiste, non è mia mamma. E' Ivonne. Un po' estranea, finalmente. Un po' libera da me. E io un po' libera da lei.


lunedì 14 dicembre 2015

Less is more (love)

Hanno scoperto una nuova stella,ma non vuol dire che vi sia più lucee qualcosa che prima mancava.Wisława Szymborska


Io non so correre.
Cioè, anche sì, quando stavo a Boston UK correvo correvo e correvo e facevo pure dei buoni tempi. Ora a Milano non corro perché mi si perforano i polmoni, l'odore di smog mi entra nel naso anche se corro al parco e sto male.
Però Milano mi spinge a correre. Non mi riferisco al correre nel senso mettere un piede dopo l'altro più velocemente che nella camminata (sebbene anche quello c'entri). Mi riferisco a procedere veloce, di fretta, precipitarmi, accumulare.
Di più di più di più.
Più efficienza, più produttività, più competitività, più PIL, più storie, più successo, più match (di Tinder), più lavoro, più ragioni inoppugnabili, più serate, più drink, più benessere, più muscoli, più relax, più biodinamico, più voti, più puntualità, più amici, più stimoli, più sicurezza, più solidarietà.
Di più.
Ma c'è già tutto quello che serve, sempre.  Basta fermarsi. E scoprire che invece di accumulare si può curare. Le relazioni, i posti, le cose, i lavori. Curarle, averne cura, e magari anche guarirle se ne hanno bisogno.
Mi serve la cura. Posso dare quello. Non so dare altro. E se corro, non curo niente.
E' bello correre ogni tanto, fa bene, l'aria sulla faccia, il sudore nei capelli, la soddisfazione di aver fatto più kilometri, più cose, più incontri.
Però io non voglio correre, sempre, fermarmi solo per riprendere fiato, stremata, tra una corsa e l'altra. Forse sarei morta nella giungla dei nostri antichi progenitori. Ma ora per sospendo la corsa. Cammino, ma sto anche ferma immobile. E curo. Perché più cura significa meno. Meno obiettivi, meno performanza, meno bisogni, meno marchette, meno clacson, meno aspettative, meno schermi (reali o interiori).
Perché meno è l'unico modo per avere le uniche cose che realmente cerchiamo correndo. Più amore e più verità.



giovedì 3 dicembre 2015

It makes sense

Il perdono non è una cosa da deboli.
Riuscire a perdonare significa lasciare che qualcosa ci squarci a metà, noi e tutte le nostre convinzioni sul giusto e lo sbagliato.
E' accettare completamente l'imperfetta umanità dell'altro, che è uguale, sebben diversa, alla mia imperfetta umanità.
Ma io che voglio essere perfetta, come faccio a perdonare?
Meglio prendere un'armatura da cavaliere, vuota, ed infilarmici dentro. E accoccolarmici, e immaginarla comoda come un piumone caldo, mentre mi sforzo di non sentire le ossa che mi picchiano ovunque, il respiro che si accorcia, la fatica nel muovermi, il senso di oppressione e gli sguardi stupiti di chi mi vede passeggiare per Milano con indosso un'armatura.
In effetti è molto più sensato.
Perdonare è da deboli. E io sono forte.


martedì 10 novembre 2015

Il materialista

Where does the light goes when the light goes out?

Il materialista non crede nei batteri. Non li vede, come può crederci?
Al microscopio non s'avvicina, è frutto di propaganda reazionaria: la tecnologia, la scienza, la conoscenza, i preti e i professori, tutti venduti al miglior offerente. Tutti pronti a fotterlo. Lui crede solo a ciò che tocca. I soldi, la casa, le bottiglie che beve, le donne che scopa, le parole che scrive, il tempo che usa, i traguardi che raggiunge, i fallimenti che consegue, le emozioni che lo sospingono. Crede solo in ciò che controlla, il materialista. Eppur non sa, il materialista, che ciò che crede di controllare lo controlla.
Poi un giorno incuriosito, senza dirlo a nessuno, avvicina l'occhio al microscopio. Ma lui, il materialista, non lo sa usare, il microscopio, e lui, materialista scettico dogmatico di un certo rigore, mica può chiedere aiuto. Non si chiede aiuto in questo mondo di belve feroci. Al massimo si accetta compagnia.
Il materialista avvicina l'occhio e non vede niente, perché non sa, il materialista integerrimo, che le lenti hanno bisogno di messa a fuoco, il campione va preparato e l'occhio deve imparare a vedere, dentro quel tubicino così piccolo. Ora che non ha visto niente, il materialista ha nuove, inoppugnabili ragioni. I batteri non esistono. E' tutto un complotto. Niente altro che soldi, casa, bottiglie, donne, parole, tempo, traguardi, fallimenti emozioni e un po' di compagnia.
Poi un giorno il materialista s'ammala, polmonite mettiamo. Ma lui ai batteri non crede. Come può credere agli antibiotici? Non crede nemmeno a se stesso il materialista, perché tocca il suo corpo, ma la sua coscienza mica la tocca, come può crederci. E senza credere in se stesso, come fa a credere agli altri? Gli dicono che è malato, che anche senza antibiotici potrebbe guarire, ma il materialista non crede. Sa di essere malato, ma non può credersi. Credere è da creduloni.
Il materialista muore. Senza aver mai creduto. Scettico, dogmatico, integerrimo. Muore. E i batteri si mangiano il suo cadavere. E soldi, casa, donne, bottiglie, tempo, parole, traguardi, fallimenti, emozioni, compagnia.




domenica 8 novembre 2015

Homo ludens

Che per eludere la vita
bastasse rinchiudersi in soffitta e lasciarsi crescere i capelli.
Che per ripartire
bastasse tagliarsi i capelli
Che per fottere il dolore
bastasse fottere più forte.
Che per ripianare i torti subiti
bastasse riprendersi indietro l'amore dato.
Che per placare la rabbia
bastasse con più convinzione urlare.
Che per non avere sbatti
bastasse attenersi ai fatti.
Che per sentire qualcosa
bastasse la chimica.
Che per realizzare qualcosa
bastasse volerlo, dal letto trapuntato di desideri.
Che le delusioni
bastassero per rendermi finalmente cinica.
Che l'essere giovane
bastasse per essere innocente.
Che l'essere vecchio
bastasse all'essere saggio.
Che per perdonare
bastasse dimenticare.
Che per disorientare la solitudine
bastasse non essere solo.
Che per perder me stessa
non bastassi che io.

Ciò di cui mi illudo è ciò con cui gioco,
ciò che mi delude è la mancanza del gioco.
L'osservanza allo smunto rituale della serietà
e della serialità.
Mattino pomeriggio sera notte
pappa cacca sonno
laurea lavoro casa coppia bambino pensione.
E' tutto, eppur c'è di più.
E per trovarlo
basta vivere.
E per vivere
basta giocare.



giovedì 5 novembre 2015

Rac-conti

La colpa di ciò che non c'è
è ricordarci che ciò che c'è
è tutto ciò che abbiamo.
Ventiquattro ore, millequattrocentoquaranta minuti, ottanttaseimilaquattrocento
secondi.
Di certo questo.
Di incerto il battito del cuore che salta, perduto nelle pieghe del petto, o
duplicato nell'affanno di un'emozione invadente.
Il volo di uccelli all'alba, sono uno in più del previsto.
Il colore del cielo, un Pantone inatteso.

Contare ciò che c'è
uguale a
non contare su ciò che c'è.
Enumerare volti colpe domini possibilità poteri
mentre il respiro passato è andato.
Perduto. Inavvicinabile. Impensabile.
E nel rimpianto di un respiro soffocare
e morire, è già accaduto a persone distratte.

Ciò che conta raramente si conta.


mercoledì 21 ottobre 2015

La teoria delle piccole cose

L’altro timore che ci allontana dalla fiducia in noi stessi è la nostra coerenza: ci trattiene il rispetto per le azioni fatte e le parole dette, dato che gli occhi altrui non hanno altri elementi per calcolare la nostra orbita se non le nostre passate azioni, e noi siamo riluttanti a deluderli.
[…] Una stupida coerenza è l’ossessione di piccole menti, adorata da piccoli uomini politici e filosofi e teologi. Ma una grande anima non ha niente a che fare con la coerenza. Tanto varrebbe che si occupasse della sua ombra sul muri.

Ralph Waldo Emerson


Vorrei accadesse qualcosa di così forte da obbligarmi ad essere me stessa. Che mi mettesse spalle al muro ed estorcesse la verità su di me e sul mondo.
Ma, ci sono dei ma:
1. mi sono un po' stufata di farmi del male per testare i miei limiti. Mi sembra di averli colti.
2. ho una soglia del piacere ma anche del dolore troppo alta. Per mettermi spalle al muro dovrebbe scatenarsi l'inferno, o dovrei innamorarmi, ricambiata, di un uomo bellissimo saggissimo ecc oppure dovrei fare un viaggio ora subito in un posto straordinario, o cose così.
3. questo metodo l'ho usato a lungo, e non ha dato i risultati che mi aspettavo.
4. grandi shock causano grandi resistenze e nelle resistenze non fluisce la vita, ma si indurisce il recipiente.

Forse diventare grandi, e io ho sancito che sono diventata grande, è proprio questo. Cercare, e trovare, se stessi, nelle cose piccole. Che poi piccole non sono, perché possono richiedere cura, attenzione, sforzo anche le cose che diamo per scontate.
E di sicuro diventare grandi non significa rassegnarsi alla routine, dare le cose per scontate. Significa, semplicemente, adagiarsi nelle cose che ci sono, e che sembrano piccole, e trovare in quelle lo straordinario. E accettarlo, lasciando che ci stupisca.
Perlomeno, vorrei passare a questo metodo. Sono pronta.



giovedì 15 ottobre 2015

Sono una figa spaziale

Anche ad essere si impara.
Italo Calvino, Il cavaliere inesistente

Tutte le paranoie e le sfighe che ho coltivato con cura negli ultimi anni hanno una sola origine.
Una sola. Quale? La sensazione di essere inadeguata.
Ho passato la vita a scusarmi, giustificarmi, farmi figa, adeguarmi alla figaggine che immaginavo gli altri volessero da me.
Tutto, dal mettere la crema anticellulite al fare video, dal cucinare bene al pulire casa, dall'avere una relazione alla scelta della persona con cui avere una relazione, dallo scrivere questo blog all'andare o non andare ad Expo, dal rispondere ad un messaggio all'inghiottire le provocazioni, dal meditare all'usare la bici era fatto non per me, ma per un pubblico immaginario che doveva applaudirmi, ma generalmente era sempre insoddisfatto. Pubblico numeroso, variegato ed eterogeneo all'apparenza, ma che corrispondeva in realtà ad una cosa sola: me stessa e il mio orribile pregiudizio.
Pregiudizio di inadeguatezza perché di base sentivo che dovevo rendere sensata la mia vita. Ai miei occhi essere viva non bastava a giustificare l'occupazione di spazio, l'utilizzo di ossigeno, l'amore che ricevevo e che davo, le esigenze che avevo, le preferenze, le idiosincrasie.
Doveva esservi una causa più rilevante. Ovvero dovevo essere meritevole di tutto ciò. Ogni errore era possibile causa della fine del mondo così come lo conoscevo. Ogni "successo": la dimostrazione delle cose come avrebbero dovuto essere: perfette.
Che minchiata. Essere vivi basta alla vita. Poi ecco, si può vivere meglio del mero sopravvivere, ma non c'è nessuno stracazzo di standard da raggiungere.
E tra l'altro: se anche ci fossero degli standard, sarei ampiamente al di sopra, perché sono una figa spaziale.
Mi sono appena incarnata in questa vita, eppure sono già una figa spaziale.




domenica 4 ottobre 2015

Eros/Thanatos

Non arretrerò di un passo. 
Schiverò i colpi. 
Mi farò polvere, acqua limpida, tempesta.
Rinascerò come una fenice.
Spettinata e stanca.
Sporca e preziosa.
Inutile, divenuta indispensabile.
Abbandonerò tutto, e sarò.
Iniziamo.
Sono pronta. Siamo pronti, io e voi.
Fate brandelli di me, avanti.
Rinascerò come una fenice.
Sono morta mille volte.
Vivrò una volta in più.
Se io non esisto, voi non siete.
Se io non vi controllo, vi annienterete.
La paura è un ricordo,
perché io sono. E voi no.


martedì 22 settembre 2015

Il cuore come una pesca matura


Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi la carità,
sarei un bronzo risonante o un cembalo squillante.
Se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza
e avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne,
ma non avessi la carità,
non sarei nulla.
Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri,
se dessi il mio corpo per essere arso,
e non avessi la carità,
non mi gioverebbe a nulla.
La carità è paziente,
è benigna la carità;
la carità non invidia, non si vanta,
non si gonfia, non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse, non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
ma si compiace della verità;
tutto tollera, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta.
La carità non verrà mai meno.
Le profezie scompariranno;
il dono delle lingue cesserà, la scienza svanirà;
conosciamo infatti imperfettamente,
e imperfettamente profetizziamo;
ma quando verrà la perfezione, sparirà ciò che è imperfetto.
Quando ero bambino, parlavo da bambino,
pensavo da bambino, ragionavo da bambino.
Da quando sono diventato uomo,
ho smesso le cose da bambino.
Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro;
ma allora vedremo faccia a faccia.
Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente,
come perfettamente sono conosciuto.
Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità;
ma la più grande di esse è la carità.
 

Dalla prima lettera di Paolo ai Corinzi


Per le prima volta soffro per amore.
Perché tutte le altre volte ho sofferto per l'ego, per controllare, avere, ottenere.
Per la prima volta ho il cuore aperto come una pesca matura caduta dall'albero, gialla, con il centro rosso che pare sanguinare, e un nocciolo, duro e resistente, da cui nascerà un nuovo albero.
Un nocciolo duro e resistente che emana puro incondizionato amore, desiderio di felicità, che per sé non vuole niente, se non morire per dare la vita. Ma nemmeno lo vuole, sa che è il suo destino. Si abbandona ad esso senza desiderare nulla.
Non c'entrano relazioni finite, non c'entra niente di ciò che ho conosciuto prima. Che ridicolo ai miei occhi ora pensare che pensavo di soffrire per amore.
Ora soffro perché vedo soffrire e so che darei tutto, che offrirei qualsiasi attimo qualsiasi molecola qualsiasi pensiero per la felicità di chi amo.
E' al di là di qualsiasi mio sforzo di comprensione, sebbene senza la comprensione intellettuale non saprei che cosa mi sta succedendo ora. Non posso fermarlo. Non posso negarlo. Non posso farci niente. Posso solo amare. E tener pulito il cuore, perché muoia ad ogni istante per amore. Mi struggo per riuscirci. E forse non dovrei, dovrei solo aver fiducia nell'amore. Ma non sono santa, illuminata o altro, quindi amo anche me stessa, scema come sono, desiderosa di essere brava, incapace di amare e incapace di non amare.






martedì 15 settembre 2015

Del piccolo spazio inutile che è la nostra anima.

Chiudi gli occhi. Immagina la  periferia di una città, che ne so, la Barona a Milano, e un piccolo spazio inutile tra due palazzi, o accanto alla ferrovia. Ce l'hai presente? Per me sono gli spazi delle città più belli in assoluto. Amo le periferie per i palazzi, i parchetti, le geometrie, le ombre ma sopratutto per questi luoghi di nessuno.
Ho capito che questi luoghi di nessuno, questi piccoli spazi inutili sono esattamente come la nostra anima, il nostro nucleo, la nostra essenza più profonda.
Stanno lì, racchiusi tra palazzi che hanno una loro dignità (a me piacciono le periferie, ma anche Corso Vercelli non è male, potete anche immaginare ampi palazzi borghesi) e un loro scopo, strade in cui la gente passa e va, parchetti in cui ci si gode il fresco e si va sull'altalena e si vende il fumo, bar e negozi per tutto quello che ci serve o che crediamo che ci serva. E poi c'è un angolo, inutile, troppo piccolo per essere un parco, troppo angusto perché vi si costruisca, chiuso con una sbarra per cui nemmeno ci puoi parcheggiare. E' un posto inutile, ma necessario, lo spazio minimo per respirare, defluire, evitare l'accumulo, mantenere le distanze di legge. Un piccolo spazio inutile.
Ecco, la nostra anima è quel piccolo spazio inutile. Non ce ne facciamo niente. Non ci serve a nulla, non ci rende più famosi, non ci dà prestigio e nemmeno soldi o conoscenza. E' il posto in cui possiamo muoverci liberamente, senza aver nulla da dimostrare, in cui possiamo stare fermi in attesa di risposte e a goderci un po' di beatitudine e silenzio
Quel piccolo spazio inutile lo possiamo facilmente trasformare in una discarica. Probabilmente ci avranno pensato i muratori delle case accanto, che sono un po' come i nostri progenitori e la nostra società. Prima ancora di scoprire di avere dentro di noi i piccoli spazi inutili, questi sono stati riempiti (per noncuranza di solito, non per volontà di nuocere) di  detriti abbandonati da tempo immemorabile, ormai divenuti parte del terreno ma sempre estranei: mattoni, calce, pezzi di lavandino, sbarre di ferro... E  poi chiunque passi poi ci butta una lattina, un pacchetto di sigarette accartocciato, una siringa, una collana rotta, un pennarello finito. La confusione, il lezzo, il disagio crescono e il nostro piccolo spazio inutile attirerà sempre più immondizia. E anche noi lo consideriamo semplicemente un piccolo spazio inutile, e lo copriremo con tutto quello che non ci piace di noi e degli altri
Con il tempo il piccolo spazio inutile sarà ingombro, e tutto intorno sembrerà più brutto e confuso e degradato.
Ma con calma possiamo ripulirlo, metterlo in ordine, tagliare l'erba, strappare le ortiche indossando stivali e guanti di gomma, e poi coltivarci due pomodori in un angolo e lasciar crescere un tappeto di viole selvatiche margherite e denti di leone e magari piantare un cespuglio o un alberello di pesche. Pulire costantemente i rifiuti che qualche sbadato ancora ci butta e che noi pure bittiamo, dividendoli per la differenziata. Mettere una panchina? No, lo spazio non c'è, ma una sedia portata da casa ci può stare, anche due va', quando hai voglia di parlare di niente e di tutto una domenica d'agosto (non dimenticare l'Autan, o la citronella, prima di sederti, però).
Ecco.
La nostra anima sarà una discarica o un piccolo, inutile ma prezioso giardino per gli altri. Dipende da noi. L'anima degli altri sarà una discarica o un piccolo, inutile ma indispensabile giardino, dipenda da noi. Gli altri non sono la discarica dei nostri sentimenti, nemmeno quando vogliamo liberare il nostro piccolo spazio inutile. Non funziona che dal nostro possiamo trasferirli ad un altro. E nemmeno possiamo lasciare che ce li appioppino. Va be', per gentilezza e amicizia qualcuno possiamo accoglierne, ma solo quelli che sappiamo di poter smaltire nella differenziata.
Alcuni piccoli spazi inutili, così ben curati, diventerebbero posti gradevoli, e sebbene il loro profumo non coprirebbe totalmente l'olezzo di quelli mantenuti come discariche, lo allevierebbe.
Quindi, per favore, piantiamola di considerarci a vicenda discariche per sensi di colpa, disagi, accuse, ripicche, scorie di produzione dell'ego, invidie, gelosie.
Piantatela di considerare voi stessi delle discariche, e vi accorgerete che non potrete nemmeno più gettare rifiuti nel piccolo spazio inutile degli altri, e che non potrete accettare detriti dagli altri.
E' automatico, molto più semplice di quanto mi sembrasse tempo fa, ora che il mio piccolo spazio inutile l'ho fatto proprio grazioso. C'è spazio, venite a trovarmi, ma portatevi una borsetta, che i rifiuti ve li portate via.
E portatemi anche un birretta va', ne ho proprio bisogno.




martedì 8 settembre 2015

Ciò che ho (forse) capito del karma

Un fatto è un fatto.
Accade. Punto.
Noi siamo casse di risonanza per i fatti.
Le nostre attitudini, giudizi, pregiudizi, reazioni, controazioni ai fatti possono essere automatiche, inconsce (e bisogna essere fortunati perché il nostro mondo interiore sia abbastanza pulito per non deformare e distorcere le vibrazioni in arrivo o addirittura per non silenziare tutto senza restituire niente) oppure consce, e quindi spesso occorre "lavorare" affinché possiamo diventare una cassa di risonanza armonica.
Le vibrazioni che noi rimandiamo al mondo come risposta ai fatti che ci accadono causeranno altri fatti. E a quel punto non potremo chiamarci fuori. Ciò che accadrà accanto a noi, ma anche dall'altra parte del mondo (come ben spiegato dall'effetto farfalla), sarà nostra responsabilità.
In realtà possiamo tirarcene fuori, e continuare a rimandare al mondo vibrazioni peggiori e falsate rispetto a quelle che riceviamo, ma anche questa scelta sarà nostra responsabilità. E magari non lo vedremo subito il risultato, perché i fatti, come le piante, hanno tempi diversi per fiorire. E' importante quindi conoscere la natura delle cose, le relazioni di causa effetto, studiare e prendere nota e scoprire le connessione causali che ci appaiono casuali, anzi, che ci fa comodo etichettare come casuali per dirci che noi non c'entriamo.
Ringrazio i fatti accaduti nell'ultimo anno perché ho, forse, capito questo meccanismo. Così semplice, così misterioso.
Resta abbastanza chiaro che ciò che ci accade non può miracolosamente cambiarci in una versione migliore di noi stessi. O abbiamo in mente una versione migliore, più pulita, più armonica di noi stessi, e spendiamo del tempo ad accordarci, oppure i fatti possono velocissimamente trasformarci in una versione incarognita, rancorosa, dolente, anaffettiva, stridula o sorda di noi stessi. E non sarà colpa dei fatti, e non sarà colpa del mondo, e non saremo incolpevoli delle nostre e altrui sofferenze.
Quando sei nato, non puoi più nasconderti. Puoi solo scegliere come risuonare.


 Nella foto: Hide, di Stanley Donwood, 2007, acrilico su tela

sabato 5 settembre 2015

Niente è mio

Non ho voglia, non ancora, di scrivere estesamente del mese passato in India e Nepal.
Mi sembrerebbe di fare un torto a qualcosa o a qualcuno o forse a me raccontando senza la giusta distanza il viaggio di cui molti, ho scoperto, si aspettano il reportage. Non ci sarà il reportage, sappiatelo. Ci saranno magari dei racconti. Ma in ciò che scriverò e sarò in futuro cercate l'India, e la troverete.
Oggi avevo voglia di scrivere, perché ho un'immagine che mi gira in testa. Tendo a non credere a tutto quello che penso, no, non più, direi che non è il caso,  ho preso un sacco di cantonate credendo a ciò che pensavo. Ma  a qualcosa di ciò che mi passa in testa do credito, almeno temporaneamente, poi si vedrà. Quindi vi racconto ciò che vedo.
Oggi visualizzo costantemente me stessa, attaccata a un salvagente che non sapevo di avere, ma che mi ha salvato la vita, come un vero salvagente dovrebbe fare.
E questo salvagente che resiste nonostante tutte le cazzate fatte, tutto il dolore che ho vissuto e quello provocato, tutto l'impegno che a tratti ho messo per nasconderlo, è una sorta di purezza interiore.
E vedo chiaramente, oggi, quanta dedizione molte persone hanno profuso nell'intaccare questa purezza, al semplice scopo di sentirsi meno in colpa per aver ucciso la loro purezza.
E io forse la mia l'ho uccisa in passato, ma sotto quella ne è spuntata un'altra, più densa, più trasparente, più intensa. O forse si è rigenerata come la fenice.
Immune appunto a tutto ciò che la potrebbe intaccare, mi ci aggrappo, e poi tranquilla mi ci abbandono. Sto con questa sensazione di pienezza e leggerezza, e so che non è mia.
E ringrazio chi la intravede tra le persone a cui passo accanto ogni giorno, e sono loro grata per la loro delicatezza.
E fatico a crederlo, ma so che è anche questa purezza appartiene anche a chi ogni giorno tenta di scalfirla, perché non può sopportare di vedere qualcuno credere senza apparente motivo a qualcosa, e cercano ragioni alla base e non sanno che la base è proprio credere.
Che poi in realtà non è niente, non esiste questa purezza. Ma mi ha salvato la vita. Quindi ci credo.


venerdì 24 luglio 2015

Siddhartha 20 anni dopo. You already have it all.


Lentamente fioriva, lentamente maturava in Siddhartha il riconoscimento, la consapevolezza di che cosa fosse realmente la saggezza, quale la meta del suo lungo cercare. Non era nient’altro che una disposizione dell’anima, una capacità, un’arte segreta di pensare in qualunque istante, nel bel mezzo della vita, il pensiero dell’unità, di saper sentire l’unità e respirare l'unità. 
Herman Hesse, Siddhartha. 

Rileggo Siddhartha, dopo averlo letto a 15 anni senza capirci niente, anzi, annoiandomi e chiedendo perché lo si dovesse leggere. A me piaceva Narciso e Boccadoro.
Ora invece mi ci immergo, mi ci specchio e lo sento parlare come le acque del fiume parlano a Siddhartha nel racconto. 
E vedo tutte le persone che disprezzo, tutti quelli che cercano divisioni, tutti quelli che invece di guarire la propria ferita la tormentano e ne fanno uscire pus che poi si divertono a riversare nel mondo e nelle relazioni.
E vedo tutte la mia ferita che come quella di Siddhartha ancora non fiorisce.
E vedo chi si ostina a cercare maestri e guru e, seppellendola sotto libri e sapienza, ignora la voce profonda, flebile precisa che lo abita. 
E vedo chi ho amato e amo. E tutti i gesti fatti o mancati si ricompongono in unità.
E vedo chi vive delle vite piene, gli uomini-bambini, nel cerchio dell'esistenza, beatamente orrendamente inconsapevoli, eppure precisi e vittoriosi, come Apache che va sui tetti. 
E vedo chi nasce e chi muore. 
E vedo chi per un solo minuto mi ha cambiato la vita e le infinite possibilità che questo accada di nuovo, a me,  e poi le moltiplico per tutti gli abitanti della Terra e penso che le possibilità sono davvero infinite, e non le vediamo perché noi ne vogliamo una, una sola per volta, e da soli creiamo le condizioni della nostra inevitabile necessaria sofferenza.
E vedo i volti dei miei genitori, sento una comunione inattesa, ancestrale e risalgo la catena e sono un batterio e non so scientificamente perché esistiamo, ma lo so perché, e so che non posso spiegarlo a nessuno, perché unica è la meta, ma infinite le strade e la conoscenza è solo individuale. E vorrei morire di questa solitudine, eppure alla fine sorrido. 
E vedo chi cerca di cambiare il mondo, e lo amo. E sento che si può fare, se accettiamo di morire. 
E vedo i mille vestiti con cui cambiamo forma, e le maschere che si salutano per strada, si ignorano o si scrivono da un capo all'altro del mondo e li abbraccio.
E vedo i miei amici, presenti passati e futuri. 
E mi sento sull'orlo di un'esplosione, come un bocciolo che giunto al limite della crescita possa sentire che sta diventando un'altra cosa, e si spaventi, e si sforzi di non cambiare, ed esausto ceda ed esploda di gioia, per il tempo che gli è dato, e possa contare solo sull'acqua il sole il vento e per essere un fiore, bellezza pura inutile perfetta essenziale. 
Cederò, prima o poi, anche io. Cederemo tutti e ci ritroveremo al di là. Dove il tempo è contemporaneo e le azioni tutte pure, anche quelle che ora biasimiamo. 





giovedì 23 luglio 2015

Ancor si parla d'amore

Pensavo a degli episodi, anche molto vicini a me, anche dolorosamente vicini a me, anche miei, in cui le donne seducono gli uomini con mezzi veramente miseri, o anche il contrario, ma forse capita meno spesso.
E mi chiedo: forse devo recuperarli o impararli di nuovo anche io questi mezzucci? O forse con i mezzucci si diventa femminucce?
E gli uomini che accettano questi mezzucci e ci cascano, non si sentono da qualche parte omuncoli?
Ho un rispetto e una venerazione totale per lo status dell'innamoramento. A volte vogliamo talmente tanto essere innamorati che ricorriamo a mezzucci, ma in fondo lo sappiamo che è tutto una farsa.
I mezzucci sono un ottimo modo per conoscere esserucci umanucci, invece che essere umani.
L'innamoramento che ti apre il cuore in maniera improvvisa e inarrestabile, è il metodo più immediato per arrivare al cuore di una persona. E' estasi totale, pienezza, desiderio sempre rinnovato.
La fatica vera sta dopo, quando l'innamoramento si placa perché altrimenti rischieremmo la pazzia. E' necessario non spaventarsi di ciò che c'è in quel cuore aperto davanti a noi, non spaventarsi di ciò che c'è nel nostro di cuore. Non spaventarsi se il cuore nostro e il cuore altrui si confondono e non sappiamo più dividerli come una volta. Non sottrarsi alle richieste dei cuori, non soccombere di nuovo alle richieste dell'ego.
Se si entra nel campo dell'amore i mezzucci e gli esserucci umanucci sono destinati a soccombere, svanire, scappare, chiedere la resa e sentirsi male.
Non c'è posto per le mezze seghe in amore.




martedì 21 luglio 2015

Gioco di mani, gioco di villani.

Un dito per volta.
Allenta la presa. Ora sollevalo. Sollevane un altro. Lascia la mano della mamma che ti ha portato all'asilo.
Molla la mano di chi ti ha accompagnato per un pezzo di strada, e che ora ti sta trascinando, o stai trascinando tu.
Smetti la respirazione artificiale, accetta la fine di ciò che è finito.
Molla gli ormeggi, e tieni in mano solo le scotte.
Non trattenere il fiato, accetta la sculacciata, piangi apriti i polmoni e riprendi la vita, come un neonato.
Lascia andare il corrimano, sali le scale due a due anche se in cima avrai il fiatone.
Dimentica i nomi che ti sei data.
Cancella il futuro che avevi previsto, che avevi scritto manco fosse un ricordo.
Molla quella stretta angosciante dal cuore dalla gola e dallo stomaco. Respira a fondo, riempiti fino a distendere le pieghe. Prendi le tue dimensioni, il tuo posto.
Cammina. Non voltarti più indietro.
Non serve. Sono tutti con te. Sono tutti in te. E tu sei con loro.
Cammina. Non voltarti più indietro.
Oppure voltati con occhi nuovi. E le mani, lasciale a posto. Non afferrare niente, accarezza tutto.
Cammina. Non voltarti più indietro.
Lascia andare. Cammina.




giovedì 16 luglio 2015

L'ontogenesi ricapitola la filogenesi. L'adolescenza del genere umano.

L'embrione umano passa, durante il suo sviluppo, attraverso tutti le tappe percorse durante la sua storia evolutiva.
E così la vita di ogni essere umano, passa dall'infanzia all'adolescenza alla maturità alla vecchiaia.
E la vita del genere umano pure, ripercorre tutte le tappe, con qualcuno che ci passa attraverso più velocemente o più lentamente, a fare da avanguardia o da chiudifila.
Come specie, abbiamo imparato ad andare su due zampe, abbiamo iniziato a dire io e mio, a soddisfare autonomamente (più o meno) i nostri bisogni di base, abbiamo rifiutato la comunione totale con la madre (la Terra in questo caso) e anzi, abbiamo iniziato a maltrattarla, perché convinti di non averne più bisogno.
Siamo adolescenti, chi pìù e chi meno. E se vi ricordate come eravate da adolescenti, o come sono i  vostri figli, nipoti, studenti, siamo (chi più e chi meno) narcisi, autodistruttivi, in pena, ipersensibili e contemporaneamente quasi incapaci di empatia, innamorati dell'amore ma incapaci di amare, pieni di sensi di colpa e di slanci un po' folli, ardenti e timorosi, onnipotenti e paranoici.
E' un periodo bellissimo, densissimo, necessario, in cui ogni piccola azione ci insegna qualcosa e in cui cerchiamo ovunque mentori maestri e modelli. Ma uscirne e andare verso la maturità diventa sempre più difficile,  visto che intorno a noi spesso anche gli adulti sono ancora adolescenti. Il genere umano è nel pieno fermento dell'adolescenza: come possiamo quindi capire che l'adolescenza ad un certo punto deve finire? E non per finta, per diventare adolescenti emotivi psicologici e spirituali travestiti da adulti, ma per crescere davvero.
Ora la possibilità per il genere umano e la vita sulla Terra sono tendenzialmente due. Da un lato lasciarsi andare alla sfrenatezza incapace di previsione del futuro che ci condurrà probabilmente a delle fini individuali e collettive poco piacevoli. Oppure fare come collettività lo sforzo di riconciliazione tra noi e gli altri, tra noi e il mondo che tutti gli esseri umani pienamente arrivati all'età adulta hanno fatto. Ciò comporterà molte cose, e credo soprattutto due: innanzitutto che gli altri smetteranno di essere i nostri nemici o semplici funzioni del nostro io e diventeranno reali, e quindi saremo capaci di sentirne il dolore e la felicità (nostri e altrui) e di condividere davvero; e infine che sapremo prenderci delle responsabilità, essere padroni dei nostri pensieri, delle nostre parole, delle nostre azioni.
Potrei farmi prendere dallo sconforto, perché tutto ciò sembra molto lontano, in me, negli altri, nel mondo socioeconomico che mi circonda.
Eppure sono serena, perché all'evoluzione non si può mica sfuggire. Sarebbe bello e meno doloroso arrenderci, ma accadrà tutto ciò che deve accadere.



sabato 11 luglio 2015

Lettere a me stessa da giovane

Cara Marilisa,
hai vent'anni, venticinque, trenta, trentaquattro.
La tua vita è un campo di possibilità eppure ti preoccupi di una cosa sola: come puoi mascherare tutto ciò che senti sbagliato in te, dalle smagliature ai pensieri non convenzionali, dai disturbi alimentari alla pigrizia.
Tutto ciò che desideri è che qualcuno ti ami ammiri accetti senza condizioni, ma tu non sei capace di farlo, né con te né con gli altri.
Sei persa, e fingi di essere consapevole. Le cose ti accadono senza che tu te ne accorga, e tu ti affanni a sistemarle, e crei confusioni e dolori e torti e ragioni.
Oppure, per evitarlo, giochi in superficie, così che niente ti tocchi davvero.
Oppure, accentui la tua perfezione per mascherare la tua imperfezione, con risultati ridicoli.
Oppure, lasci che le tue paure siano ben visibili, così hai una scusa per scappare subito, e magari riesci pure a impietosire qualcuno.
Oppure chiudi le paure nel profondo, dove bloccano Che cosa bloccano? Il flusso delle cose.
E che cosa è il senso di questo fluire? Cara Marilisa, il senso di questo fluire è uno solo: l'amore dato e ricevuto. La completa felicità dell'Universo passa attraverso di te. E tu questo blocco puoi sgombrarlo, puoi lasciare libero il flusso.
Non sottrarti a ciò che sei, a ciò che tutti siamo (sì, tutti, anche i tuoi nemici, quelli che invidi, quelli che compatisci, quelli che ti fanno arrabbiare, quelli che destesti) solo perché ti sembra che sia più grande di te.
Non sottrarti solo perché ti hanno detto che non esiste la felicità e tu, anche se superficialmente ti ribelli a questa crudeltà cercando spasmodicamente un piacere sempre nuovo e sempre più breve, in fondo ci credi. E rifiuti la felicità. Non fa per te. Non fa per nessuno. E' troppo, non posso prenderla, ti dici. Sono tutta sbagliata, perché devo essere felice? E gli altri? Chi sono io per essere più felice degli altri. Tu sei l'Universo, e gli altri arriveranno alla felicità, abbi fiducia.
Ti spaventa una cosa sola, ora lo so e posso dirtelo. E ti dico che quando l'avrai attraversata riderai di questa paura. Ti spaventa la perdita del controllo che saltare nel nero delle tue energie contratte causerà. Non potrai più decidere come metterti in salvo, sottrarti, negarti. Ma scoprirai che quel nero è pienezza di colori, che semplicemente non potevi vedere. Ti trasformerai, avrai occhi nuovi, e li vedrai, your true colors. E li amerai, e non potrai più tenerli per te. E vorrai che anche gli altri conoscano i loro.
Credici. Credimi. Puoi essere libera, felice, amata ed amante.
Non accontentarti della tua vita attuale, in cui vivi con il freno a mano tirato, pronta a batterti in ritirata, a risentirti, a portare rancore. Pronta a spenderti per un successo effimero, per una relazione effimera, per un niente che ti dici essere tutto, che ti disgusta ma che è l'unica cosa che ti è rimasta.
Dentro di te, e quindi nel mondo, tutto quello che vuoi per te, tutto quello di cui hai davvero bisogno, pronto per te quando sarai pronta e avrai il coraggio di dire: io sono così. Io sono perfetta. E in nome di questa perfezione potrai sentire tutto il dolore che ti sei causata, tutto il dolore che hai causato agli altri, e sapere che vivrai per amare.
Quando dirai che sei perfetta, tutto ciò che ti turbava e ti faceva vergognare se ne andrò, poco a poco.
Sarai nuda e piena nell'Universo. Sarai una piccola scintilla di Universo. Celebrerai tutto come perfetto. Celebrerai il tuo coraggio. Incoraggerai gli altri ad avere questo coraggio.
E' molto di più di quanto tu possa immaginare. E' molto più semplice.
Credici. Raggiungimi. Io sono qui, in un posto in cui i miei colori stanno diventando realmente i miei. Liberati dal passato. Ricongiungiamoci. Ora.


venerdì 10 luglio 2015

Rilassati, tu non esisti

Non c'è niente, nessun difetto nostro o altrui, nessun contrattempo, nessuna imperfezione, nessuna deviazione dalla norma, nessun fatto inatteso, nessuna tragedia, nessun errore inciampo caduta malinteso di fronte a cui dobbiamo negarci il diritto di ridere, danzare, gioire.
Pensiamo sempre che essere presi sul serio, soprattutto nelle nostre "tragedie" sia nostro diritto, in quanto individui unici irripetibili supremi padroni del nostro universo. E quanto ci arrabbiamo con gli altri perché non ci capiscono, consolano, rassicurano, tolgono i pesi.
Ma se ribaltiamo completamente il punto di vista, operando una cosa simile alla "trasmutazione di tutti i valori" proposta dal sommo ancorché folle di fatto ed eccentrico per cultura Federico Nietzsche, scopriremo che è nostro diritto ridere di qualunque cosa. Danzare di fronte a ogni evento, celebrarlo come onda di emozioni che da negative si trasformeranno e diventeranno vitale carburante della trasformazione nostra e del mondo.
Oggi ho letto, su un volantino della Cascina Autogestita Tortchiera: "If I can't dance, it's not my revolution", che di nuovo mi ha richiamato il nostro Federico, che affermava "Potrei credere solo a un dio che sapesse danzare".
Non si tratta di affermare il diritto all'eterna spensieratezza che se ne frega, e nemmeno di agire nel solco della rimozione che nega i problemi o della noncuranza che pensa che perché tutto è perfetto non dobbiamo agire verso il miglioramento, bensì del diritto di affermare We care in un modo diverso.
Perché nelle relazioni interpersonali alla fine vogliamo accanto chi non si lamenta e chi ci fa ridere, di noi stessi e di se stesso. Perché la paura sembra sempre vincere, ma poi arriva un Obama che se la gioca sulla speranza, o un Mandela che non odia, e vincono loro.
Perché noi siamo solo canali di energia vitale, e se la blocchiamo irrigidendoci, ovvero smettiamo di danzare nella vita, qualunque sia il ritmo che ci imprime, ci affossiamo da soli, portati verso il basso da una forza di gravità inesorabile.
Se invece danziamo, lasciamo fluire, diventiamo canali di un'energia che si irradierà in ogni atomo che ci compone. Ed essendo che gli atomi se ne vanno un po' dove pare a loro, e per un attimo sono nostri, e poi sono del tavolo, e poi di chi a del tavolo si siederà in una catena infinita brillante e preziosissima, la nostra energia non potrà che espandersi oltre il simulacro che ci ostiniamo a chiamare noi.
Quindi, sebbene tu non esiste, tu puoi scegliere se fermare l'energia o se diffonderela, e quale tipo di energia irradiare. Tu, proprio tu che non vali un cazzo e sei un'illusione.
Ti sembra paradossale? Sì, lo è. Esattamente come la realtà.


lunedì 6 luglio 2015

Apache, il karma sotto forma di gatto

Due premesse per gli amici che si preoccupano:
1) no, non parlo con Apache, nel senso che non ho conversazioni unilaterali che considero profonde, gli parlo il giusto per farlo giocare, sgridarlo. Del resto non ho mai visto un essere umano accudire un mammifero senza parlargli.
2) non sono diventata gattara e non ho intenzione di diventarlo. Però tutto il vostro astio verso le gattare non lo capisco, che vi hanno fatto?

Danilo  mi ha regalato Apache. Mi ha detto che mi avrebbe fatto bene, e io ho capito questa affermazione in un senso, ma adesso ne vedo un altro. Pensavo che Apache fosse una sorta di cura per un bambino non nato o un amore un po' sfiancato. Invece Apache è una benedetta maledizione del karma, che mi fa vedere me stessa, e quanto sono spesso insopportabile.
Apache è tendenzialmente bipolare: un giorno è tutto fusa e coccole, il giorno dopo se mi avvicino soffia.
Apache è impaziente: tra il suo desiderio di una cosa e il soddisfacimento devono passare circa due secondi. Quindi mi rompe i cabasisi mentre dormo, mentre sono in bagno, mentre cucino, mentre faccio yoga ecc ecc.
Apache vuole essere al centro dell'attenzione ma vuole anche essere indisturbato. Scappa appena può o semplicemente sta sulle sue ma se decide che devo interagire con lui fa cadere una dopo l'altra qualsiasi cosa ci sia appoggiata sulla scrivania.
Apache è curioso e pasticcione: non posso fare niente senza che lui ne sorvegli il buon andamento, e appena cerca di intervenire, combina disastri.
Apache è permaloso: lo sgridi e ti gira le spalle per ore.
Apache non sopporta che gli si facciano cose contro la sua volontà, nemmeno quelle terapeutiche: provate a medicargli una ferita e capirete.
Apache non sopporta il dolore fisico: si arrabbia mortalmente, pure il veterinario conferma la sua bassissima soglia. Quando gli ha fatto l'anestesia sembrava una pantera, non un gattino.
Apache vuole decidere quando interagire: se Miele, il suo temporaneo compagno, dorme, Apache gli si scaraventa addosso e lo mordicchia. Se Miele lo cerca, lui se ne va.
Apache soffre di disturbi gastrointestinali di origine nervosa: appena si agita vomita o gli viene la sciolta.
Apache si fa amici ovunque: nel quartiere lo conoscono già tutti. Però poi torna sempre a tormentare/deliziare gli stessi: me e Miele.
Apache è super attento a qualsiasi cosa: a casa mia non ci sono zanzare, non ne lascia una impunita. Quell'altro gatto bello pacioccoso non si accorge di niente, oppure se se ne accorge se ne frega beatamente.
Apache è totalmente rimbambito e non collega cause ed effetti: si mette qualche metro sotto il getto dell'aria condizionata, si infastidisce e ci litiga.
Apache è magro per natura: mangia qualsiasi cosa e non ingrassa un etto.
Apache è ipersensibile: sente un rumore e si spaventa, mi vede triste e si accoccola, mi sente nervosa e si agita.
Apache è furbo, quasi paraculo: appena Miele si allontana, finisce il suo cibo, tanto sa che quell'altro è un bonaccione e non mangerà dalla ciotola altrui.
Apache ha superpoteri inutili: ad esempio cattura scarafaggi con una facilità pazzesca.
Quindi, a tutti quelli che hanno avuto a che fare con me abbastanza a lungo da vivere tutto ciò: scusatemi. Sono insopportabile. Però sono anche incredibilmente ridicola, quindi potreste anche ringraziarmi perché vi ho dato del gran materiale per farvi due risate alle mie spalle.
Infine lo ammetto, questo http://cat-shaming.tumblr.com/ mi ha fatto ridere un sacco. Ora però smetto, prometto.




venerdì 3 luglio 2015

Anche tu, piccolo ego, sarai felice

Le risposte che cercavo le ho avute. Altre sorgeranno più in là. E' tutto a posto, come un puzzle appena concluso, che può solo espandersi.
Ma ora il mio ego è in cerca di risposte per me. Perché vuole evitare di accettare le risposte che ha avuto.
Scompone il puzzle, gira i pezzi, prepara piani di fuga ed evitamento. Non si fida delle risposte del cuore. Cerca la fregatura.
Ma ormai, piccolo ego, io ti conosco. E non ti dico piccolo per sminuirti. Ti dico piccolo come lo direi all'uomo che amo. Come l'ho detto agli uomini che ho amato, con più convinzione ora.
Piccolo, hai bisogno del mio amore. Non vergognartene. Vieni a prendertelo. Abbandonati. Andrà tutto bene. Non me lo riprenderò. E' tuo.
Smettila di agitarti. A te, ora,  ci pensa la vita. A noi, ora, ci pensa la vita.
Rilassati. Rilassiamoci. Lascia andare. Accetta. Respira. Ti scoprirai perfetto. Sei già perfetto, ma se continui ad agitarti non lo vedrai. E tu vuoi vederlo. Tu puoi vederlo. Sei pronto. Accettalo.


giovedì 2 luglio 2015

La cena perfetta

Strange that in my remoteness I seemed to feel, as never before, the vital presence of Earth as of a creature alive but tranced and obscurely yearning to wake
Olaf Stapledon, Star Maker (1937)


Organizzi una cena.
Cucini i tuoi piatti migliori.
Prepari la tavola con eleganza e cura.
Hai ben chiara la lista delle portate. In frigo la frutta, il gelato nel freezer.
L'acqua alla giusta temperatura, il vino bianco fresco e rosso fermo.
Sai esattamente che cosa deve accadere.
Metti il tuo vestito migliore, dai gli ultimi ritocchi e aspetti.
Eppure il tuo invitato non arriva.
Hai invitato a cena il destino.
Hai preparato tutto con cura, eppure non arriva.
Inizi ad agitarti, a mangiucchiare da sola.
Ossessivamente controlli l'ora dell'appuntamento, provi a contattarlo. Nessuna risposta.
Sbatti a terra i piatti per la rabbia. Maledici la sua ipocrita crudeltà nell'averti illuso.
Mangi ciò che hai, senza gustarlo.
Anzi, il fatto che sia buono ti ricorda ancor più dolorosamente che non l'avevi preparato per te.
Sei sola a mangiare. Butti via gli avanzi.
Ti addormenti sbronza, con l'acidità nello stomaco e nel cuore.
E mentre dormi ti accorgi di essere sveglia. Che il mondo intorno a te ora è vivo e presente.
Esci dalla stanza, e nella tua casa diventata la casa più bella del mondo incontri il tuo destino.
Ha apparecchiato una cena per te, e per chi ami. Sono tutti lì.
E ridi, ridi della tua stupidità.
Pensavi davvero che ciò che tu avevi da offrire fosse meglio di ciò che il destino ti sta porgendo?
Impossibile.
Il banchetto preparato per te non finirà mai, nessun cibo sarà avariato, sprecato, inutile.
La tua gioia sarà mangiare il giusto, offrirlo agli altri invitati. Sapere che è per tutti, non solo per te che questo pranzo è servito, ora e per tutti i giorni del mondo.
Inviterai altre persone, altre arriveranno senza invito. Qualcuno gradirà, altri troveranno da ridire, ma è tutto perfetto.
Inizierai ad aiutare il destino a preparare il banchetto per gli altri, a preparare gli altri a gioire del banchetto e a loro volta diventare da invitati a ospiti. Non ci saranno più ruoli predefiniti.
Chi prende e chi dà? Tutti, ognuno come può e vuole.
E ti accorgerei che non stai dormendo, l'incubo era quando eri certa di essere sveglia, padrona di te stessa e potente.
Ora le cose accadono, e tu non hai scelta. Ma non sei mai stata così piena, forte. Ti sei arresa con una risata, e hai vinto.
Il destino è compiuto, la vita trabocca, illimitata, scorre continua e piena. Anche quando gli altri percepiranno una secca, tu vedrai pienezza, perché c'è. C'è sempre stata, ma non la potevi vedere.


martedì 30 giugno 2015

There ain't no hiding place from the Father of Creation

One love.
One heart.
Non ti puoi più nascondere.
Non c'è più nessun segreto.
Non hai più segreti.
Sei nuda.
Sei salva.
Stai guarendo.
Sei il paziente, il medico, la medicina.
Non puoi più fingere di non saperlo.
Non hai più necessità di farlo.
Ti viene da ridere all'idea di ritrarti.
Ti viene da ridere all'idea che tu possa non fare ciò per cui sei nata.
One love.
One heart.
Non c'è nessun io che regga.
Nessuna difesa da organizzare.
Nessun colpo da schivare.
In piedi, come una pianta nel sole, nel vento, nella tormenta e nella neve.
Hai tutto ciò che ti serve.
Hai in abbondanza.
Non cerchi pezzi di ricambio.
Vedi ogni azione e ogni reazione, nel tempo e nello spazio.
Sai che fare del male è impossibile.
Sai che tutti sono meravigliosi.
Vuoi che lo sappiano,
e sai che lo sapranno quando sarà il momento.
Non serve agitarsi, si creano solo nodi nella trama fitta degli avvenimenti.
One love.
One heart.
Ti chiamava.
Ti sei arresa.
E ora che sei morta, solo ora
sei viva.
Hai visto la luce nell'ombra,
la pienezza nella carestia,
l'amore nell'odio,
la fiducia trovata allentando il controllo.
Il mondo brucia da solo,
non devi più essere piromane.
Ti siedi accanto al fuoco, e lasci che faccia il suo corso.
Ringrazi i tuoi maestri.
La zanzara e il papa.
Nessuno è più importante.
Nessuno è un caso.
Nessuno è a caso
One love.
One heart.
Ti aspetta.
Pulsa con te.
Pulsa per te.
Pulsa per tutti.
Tu sei tutti.
Tutti sono te.
One love.
One heart.



Time and space. 451° F

L'altra notte ho visto molte cose.
Ne ho vista una quasi inessenziale rispetto al resto, ma importante in sé: ho visto me stessa dare fuoco ai miei libri, e con gusto gettare tra le fiamme i libri di spiritualità, risveglio, buddhismo, liberazione.
L'unica liberazione possibile è l'immersione nel momento, momento dopo momento. Qui ed ora, hic at nunc, right here, right now.
Quindi anche immaginarsi a bruciare i libri è inutile, se non lo si sta facendo.




giovedì 25 giugno 2015

Dubbi in via Catalani

Alle 23:25 il termometro in piazzale Loreto segna 22°.
C'è un po' di vento, fresco e teso.
300 metri e qualche semaforo più in là cerco parcheggio. Stanno pulendo la strada, da un camion si allunga un cordone ombelicale, all'estremità c'è una persona con la pettorina gialla. Il rumore forte e continuo mi infastidisce. Strizzo gli occhi.
Trovo parcheggio nella mia via, lo sanno tutti che sono fortunata con i parcheggi, a parte il giovedì quando c'è il mercato.
Mentre faccio manovra intravedo una ragazza. Bassettina, capelli lunghi e cosce importanti. Vestito nero corto, molto corto. Troppo corto. Tacchi alti, molto alti. Troppo alti. Barcolla un po', lancia i capelli di lato. Si aggrappa al braccio di un ragazzo, giovane, capelli ricci e crespi che soffrono bloccati in una coda. Sembra un nerd uscito da un concerto metal.
Ora la riconosco. E' la prostituta che lavora all'angolo di casa mia. La vedo tutte le sere, così spesso che ormai ogni tanto ci sorridiamo e salutiamo.
Scendo dalla macchina. Chiudo le portiere e mi avvio verso il marciapiede. Le passo accanto. Si sta cambiando le scarpe appoggiandosi al muro. Il ragazzo fuma una sigaretta e le sta a portata di mano, nel caso perdesse l'equilibrio. Indossa delle ballerine rosa cipria. Sorride. Si riattacca al braccio e si avvia con lui.
La supero, li supero. Fingo di non sapere chi sia. Poco più avanti la donna - perché è una donna, ora la vedo bene - con la pettorina gialla e il rumoroso cordone ombelicale in mano, si ferma e mi lascia passare.
Apro il portoncino di casa mia con un pensiero in testa. Con un dubbio. Non so se essere triste, infinitamente triste per un 25enne che ha bisogno di una prostituta per un po' di amore o se essere felice per la "mia" prostituta che si toglie gli abiti di scena e va al pub all'angolo a bersi una birra con un ragazzo che le piace.



lunedì 22 giugno 2015

I due lati della barricata esistono. Finché non la salti.

Gli esseri umani sono suddivisibili in due grandi categorie.
SUL LATO DESTRO DEL RING
Chi vede la separazione come un dato di fatto, oppure auspicabile, oppure necessaria, ineluttabile o, ancora, preziosa alleata per arrivare al Divide et Impera. Dentro questa categoria mettiamo individualisti, capitalisti, poveri cristi costretti a scannarsi tra di loro, comunisti combattenti, fondamentalisti religiosi, materialisti, fautori dell'eroe come destino solitario (come quello stronzo di Spielberg). E ancora: chi usa le ruspe per tutto, chi critica sempre qualsiasi posizione non sia la sua, chi odia i migranti i gay i cattolici i musulmani gli indios. Chi ama lo status quo, ma anche chi lo odia, e odiandolo lo alimenta. Chi ha paura che gli amici i partner gli sconosciuti sconfinino, chi non sopporta lo spazzolino fuori posto o che il gelato macchi la camicia. Chi vede la natura come qualcosa da sfruttare, che sia per profitto o per fare le vacanze comodamente. Chi dalla paura fugge, e ne resta schiavo. 
SUL LATO SINISTRO DEL RING:
Dall'altra parte invece c'è chi vede la separazione come un invito a farla sparire. Come una ricerca dell'unione, della mescolanza, dell'imprevisto, della rottura e del cambiamento. 
Chi ama il meticciato, chi si affatica a trovare mediazioni. Chi è spirituale ma non religioso. Chi invece delle ruspe si rimette a fare il muratore. Chi apre le porte di casa e del cuore. Chi se ne fotte della logica cartesiana, perché tanto sa che è solo una delle possibilità per vedere il mondo. Chi nella natura gioisce e rifiorisce e si affatica. Chi non dice "vivi e lascia vivere" ma dice "vivi al tuo meglio, così che anche io possa splendere, e io vivo al mio meglio, così che anche tu possa splendere". Chi la paura la prende sul serio, e d'un tratto l'ha superata. 
GONG, PRIMO ROUND
Se voglio risolvere questa macro divisione, io che mi voglio mettere sul lato sinistro del ring perché nel lato destro tutto si lacera, posso fare solo una cosa: far sparire questa arena di combattimento che non esiste se non nella mia testa. Saltare la mia barricata interna. A catena ne farò saltare molte altre, con un semplice gesto. 


Nell'immagine: la scala gerarchica dei bisogni, rielaborata da Maslow





domenica 21 giugno 2015

Se sei infelice, è colpa tua

Niente altro da aggiungere rispetto al titolo.
Traete le vostre conseguenze. logiche ed ineluttabili. E agite di conseguenza.
Oppure lagnatevi.
Io ho scelto.


mercoledì 17 giugno 2015

Classica, moderna o postmoderna

La maggior parte delle persone non sa amare né lasciarsi amare, perché è vigliacca o superba, perché teme il fallimento. Si vergogna a concedersi a un’altra persona, e ancor più ad aprirsi davanti a lei, poiché teme di svelare il proprio segreto… Il triste segreto di ogni essere umano: un gran bisogno di tenerezza, senza la quale non si può resistereSàndor Màrai, La donna giusta

Ho preparato un lavoro per l'esame di abilitazione per spiegare agli studenti di quinta la differenza tra cinema classico, cinema moderno e cinema postmoderno.
Ma io sono classica, moderna o postmoderna? So mettere un film in una di queste categorie, e so anche probabilmente spiegare ad uno studente come farlo, ma io che cosa sono? Che essere umano sono?
Ho troppo vissuto, abbandonando i valori e le credenze che mi hanno trasmesso per cercarne altri da sola, per poter essere pienamente classica. L'unica cosa in cui credo ciecamente è l'essere umano, che lasciato a se stesso non conta un cazzo. Ha bisogno di una struttura, e nel mondo classico la struttura gli veniva data da fuori. Ma se l'ha rigettata consapevolmente, non può che trovarne un'altra, e ciò gli rende impossibile essere "classicamente classico".
Scompongo tutto, metto in discussione ogni punto di vista, mi cerco e mi guardo nel mio cercare, cerco strade che non siano battute come il miglior cinema moderno. Però non sono abbastanza cinica per essere totalmente moderna. Al fondo del mio cercare c'è un'esigenza di senso, non il puro gusto del disordine, sebbene mi attragga molto e abbia molta stima di chi fa semplicemente saltare l'esistente e poco si chiede di che cosa ne resterà e su che basi ricostruirà.
Non sono nemmeno così estetizzante per essere postmoderna. Il decorativismo fine a se stesso di molte opere postmoderne mi annoia e lascia indifferente. E l'utilizzo del postmoderno per veicolare in maniera surrettizia delle visioni di mondo conservatrici mi spaventa. (ho analizzato Black Hawk Down, capitemi).
Però sono consapevole che tutto è un artificio, che la vita può essere vista come un puzzle in cui le cose tornano sotto altre forme, amo gli ammiccamenti colti e la pluralità di voci.
E mi sembra che il postmoderno sia il luogo in cui classicità e moderno ricominiciano a dialogare. Il postmoderno è luogo, il tempo, la forma della nostalgia del senso. E poi come potrei vivere senza tenere conto del mondo postmoderno che mi circonda, liquidità emotiva sociale sociologica inclusa? Dovrei ritirarmi dove il postmodernismo non è arrivato. Oppure riorganizzare l'esistente in maniera creativa, piacevole, onesta, sensata, come nei migliori film postmoderni, come Memento, Matrix, The tree of life.
La sfida, che a volte sa di sfiga, è che "il faut être absolument postmoderne".

PS: la citazione in apertura non c'entra niente, ma mi piaceva


lunedì 15 giugno 2015

Cuore, testa, pancia, stelle.

Oggi mi chiedevo come fare a credere di nuovo. A che cosa? In me, nei "maschi" che dire uomini mi risulta difficile ora, nelle relazioni, negli altri in generale. A non diventare cinica e disillusa. A restare aperta. Ad andare avanti con il cuore non più spezzato, ma nemmeno sigillato.
A imparare dal passato senza restarne vittima, senza lasciarmi crescere le liane attorno alle gambe.
Credo che la strada passi, come spesso accade, dal trovare le parole giuste.
Posso quindi ricordare, tenendo nel cuore ciò che di buono c'è e c'è stato. E posso dimenticare, lasciando andare dalla mente le rivendicazioni, i torti e le ragioni, le offese.
Che tutto ciò che è inutile, ovvero l'ego, che ha paura, divide, si risente, si inorgoglisce, si deprime e ha bisogno di menare zampate, sta nella testa. Tutto ciò che è reale, sta invece nel cuore.
E poi posso desiderare, cioè volere dalle stelle. Dall'universo, Creatore, Brahma, Uno, Tutto, Creato. Chiamatelo come vi pare. Desiderare perché sento l'unità e non la divisione.
Il problema da risolvere ad ora è un altro. E' la pancia. La rabbia della pancia è tremenda. E' la stessa rabbia che ti fa odiare i rom, che ti fa urlare ad un automobilista in coda, che ti fa odiare chi ti rallenta alla cassa. E' la stessa pancia che quando è vuota e vuole essere riempita cerca una strada per la sopravvivenza.
E ahimè non esiste un verbo che indichi una cura per la pancia. C'è solo il verbo spanciare, come quando ti tuffi male: una botta imprevista, un dolore sordo e violento, che lascia il segno e toglie il fiato. Ma poi passa, come dice il saggio nipote Lorenzo.
E il sangue torna al cuore, e alla testa. E tutto circola di nuovo. E arriva alle stelle. Ed è parte delle stelle.
Tutto ciò è una gran fatica. Lo ammetto. Ma a tratti è un divertente viaggione.


domenica 14 giugno 2015

La diagnosi è la liberazione

Qualche tempo fa parlavo con Mario e ci dicevamo quanto sarebbe stato bello avere una diagnosi, che ci avvolgesse e ci facesse sentire normali così come eravamo. Ecco, oggi, tra la scrittura di un esame e l'altro l'ho finalmente trovata.
Copio e incollo da https://altamentesensibili.wordpress.com/2012/05/09/hsp-persone-altamente-sensibili/ 
E intanto gioisco. Tutto ha un senso. Sono fottutamente normale, ho persino un'etichetta. Evviva. 
Tra la diagnosi e l'accettazione è passato un istante. La descrizione qui sotto combacia con me, ipersensitività alla caffeina inclusa. Non ho più bisogno di volermi cambiare. Non ho più bisogno di scusarmi, ora posso solo dedicarmi ad essere me, ipersensitività inclusa nel pacchetto. E sono certa che il solo avere questa "diagnosi" farà sembrare tutti i momenti di ipersensibilità meno faticosi. Perché non li dovrò più combattere. Perché non dovrò più capire perché, sbattendo la testa contro gli spigoli della realtà pur di caverne una mezza ragione. Santa meraviglia. 

Principali caratteristiche delle persone altamente sensibili
Le HSP (“highly sensitive people”) assorbono molte cose e segnali di cui gli altri difficilmente si accorgono. Per questa ragione si sentono facilmente stimolati, sia positivamente che negativamente. In genere tendono a pensare che sia così anche per gli altri, anche quando non è il caso.
La maggior parte delle HSP è particolarmente fantasiosa e creativa e ha un forte intuito.
Una delle caratteristiche più di spicco delle HSP è la tendenza a voler aiutare il prossimo e fare del bene.
Le prospettive che vedono gli HSP nei confronti delle persone secondo loro con bisogno di aiuto sono grandi e tante. Per questa ragione gli HSP possono sembrare impiccioni, visto che possono tendere a offrire il loro aiuto anche quando non è richiesto.
Le HSP si possono innamorare con molta facilità.
Le HSP ci mettono poco a cogliere i legami tramite la loro intuizione e vengono comprese poco per questa ragione.
Le HSP provano un forte interesse e legame con la spiritualità e religiosità.
Essere “highly sensitive”, ovvero altamente sensibile, non ha nulla a che fare con il paranormale; è parte di un carattere.
Le HSP sono molto sensibili per gli stimoli esterni e mostrano spesso sintomi fisici che possono essere scambiati con paura o ansia: tremare, battito cardiaco accelerato, arrossire.
Quando vengono controllate o giudicate, le persone HSP in genere non sono in grado di funzionare al 100%.
In genere le HSP non sono particolarmente ferrate nel nozionismo, ma sono spesso portate per lo studio e in particolare lo studio delle lingue.
Le HSP riconoscono la tendenza ad isolarsi.
Le HSP riconoscono facilmente se un ambiente sia amichevole o ostile e vengono facilmente influenzate da ciò.
Le HSP tendono ad avere una bassa autostima in conseguenza a rifiuti.
Le HSP hanno una fervida immaginazione e fantasia, ed immaginano e si promettono spesso di intraprendere, ma l’intraprendenza in genere non è il loro lato più forte e spesso si trovano chiusi nelle loro idee.
Spesso, le HSP portano gli occhiali, hanno problemi con la vista e/o sono ipersensibili alla luce.
Le HSP in genere appaiono timide, nonostante siano molto socievoli.
D’altro canto, le HSP sono molto attente agli sguardi altrui e si sentono facilmente giudicate.
Le HSP sono brave a motivare ed ispirare gli altri. Spesso sono visionari e vedono cose che sono ancora agli inizi. Per questa ragione possono essere poco compresi ed isolarsi.
Le HSP tendono a vedere ciò di cui il loro ambiente o gli altri hanno bisogno. Questo può portare ad essere frustrati in caso gli altri non lo vedano o la loro visione di realtà si distanzi troppo da quella altrui.
L’alta sensibilità non prevale in un genere ed è una caratteristica presente sin dall’infanzia.
Le HSP sono molto sensibili per dolori sia fisici che psichici propri ed altrui. Questo può portare ad ansia ed ipocondria.
Le HSP in genere sono perfezioniste: Quando decidono di fare qualcosa, la fanno bene. Non tollerano gli errori e sono particolarmente accurate.
Fattori esterni disturbanti, come ostilità, un ambiente caotico o cose non dette riescono a buttare giù le HSP.
Le HSP spesso soffrono di stress e dei sintomi legati all’ansia: Problemi digestivi, gastriti, fascicolazioni, stanchezza e manifestazioni nervose.
La maggior parte delle persone che soffre di disturbi alimentari è un’HSP.
Le HSP possono avere la sensazione di “svuotarsi” stando a contatto con gli altri.
Le HSP hanno un desiderio maggiore del normale di essere accettate.
Le HSP hanno difficoltà nel stabilire i propri limiti, e per questa ragione colgono stimoli anche molto lontani a loro sentendoli come propri.
Stimoli esterni come luci, rumori, un ambiente affollato, disordinato, odori etc. possono portare a vera e propria stanchezza fisica.
Le HSP sono ottimi ascoltatori in quanto sono ascoltatori del linguaggio non verbale molto attenti e percepiscono cambiamenti di voce con estrema facilità.
Gli altri si trovano particolarmente a proprio agio a raccontare i propri problemi alle HSP, che in genere nel proprio gruppo di amici hanno il ruolo di ascoltatore, aiuto o risolvi-problemi.
Le HSP sono spesso molto sensibili agli stimolanti come la caffeina.
Quando hanno un fine in mente, le HSP si danno al 120% e fanno di tutto per raggiungerlo.
Le HSP sono preziose fonti di idee e piani. Quando nell’ambiente lavorativo ci sono dei ruoli prestabiliti, le loro prestazioni sono nettamente inferiori perché si perde la libertà e tendono a voler fare tutto troppo bene, troppo precisamente, troppo velocemente.
Le HSP tendono a mettere se stessi all’ultimo posto.
Le HSP tendono a procrastinare ed avere una vera e propria avversione per ciò che si “deve” fare, che li mette in agitazione.
Gli avvenimenti sfortunati o non calcolati possono disorientare molto le HSP.
Spesso le HSP non si rendono conto di quali siano i propri sentimenti e quali quelli altrui.
Le HSP provano un’avversione particolarmente accentuata nei confronti dell’ingiustizia.
Circa il 30% delle HSP è estroverso, ma facilmente sopraffatto.
Le HSP possono essere sia ricercatori di quiete che ricercatori di sensazioni forti.
Le HSP si sentono molto legate al mondo naturale.
Calma, ordine e regolarità sono pilastri molto importanti per l’equilibrio delle persone in generale e più in particolare delle HSP.

Le HSP sono molto consapevoli delle proprie azioni, dei propri pensieri e delle proprie sensazioni, per cui spesso si alienano o stancano facilmente.