martedì 8 settembre 2015

Ciò che ho (forse) capito del karma

Un fatto è un fatto.
Accade. Punto.
Noi siamo casse di risonanza per i fatti.
Le nostre attitudini, giudizi, pregiudizi, reazioni, controazioni ai fatti possono essere automatiche, inconsce (e bisogna essere fortunati perché il nostro mondo interiore sia abbastanza pulito per non deformare e distorcere le vibrazioni in arrivo o addirittura per non silenziare tutto senza restituire niente) oppure consce, e quindi spesso occorre "lavorare" affinché possiamo diventare una cassa di risonanza armonica.
Le vibrazioni che noi rimandiamo al mondo come risposta ai fatti che ci accadono causeranno altri fatti. E a quel punto non potremo chiamarci fuori. Ciò che accadrà accanto a noi, ma anche dall'altra parte del mondo (come ben spiegato dall'effetto farfalla), sarà nostra responsabilità.
In realtà possiamo tirarcene fuori, e continuare a rimandare al mondo vibrazioni peggiori e falsate rispetto a quelle che riceviamo, ma anche questa scelta sarà nostra responsabilità. E magari non lo vedremo subito il risultato, perché i fatti, come le piante, hanno tempi diversi per fiorire. E' importante quindi conoscere la natura delle cose, le relazioni di causa effetto, studiare e prendere nota e scoprire le connessione causali che ci appaiono casuali, anzi, che ci fa comodo etichettare come casuali per dirci che noi non c'entriamo.
Ringrazio i fatti accaduti nell'ultimo anno perché ho, forse, capito questo meccanismo. Così semplice, così misterioso.
Resta abbastanza chiaro che ciò che ci accade non può miracolosamente cambiarci in una versione migliore di noi stessi. O abbiamo in mente una versione migliore, più pulita, più armonica di noi stessi, e spendiamo del tempo ad accordarci, oppure i fatti possono velocissimamente trasformarci in una versione incarognita, rancorosa, dolente, anaffettiva, stridula o sorda di noi stessi. E non sarà colpa dei fatti, e non sarà colpa del mondo, e non saremo incolpevoli delle nostre e altrui sofferenze.
Quando sei nato, non puoi più nasconderti. Puoi solo scegliere come risuonare.


 Nella foto: Hide, di Stanley Donwood, 2007, acrilico su tela

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