sabato 31 agosto 2013

Come on, take a bite out of it! It's just life, and love.

Il mondo è ripieno d'amore.
Come un panino imbottito. Come un letto morbido ma sostenuto. Come una Rossana, caramella ripiena dolce e cremosa. Come il peluche con cui parli da piccola. Come il mare pieno di pesci, e l'amore è il plancton invisibile.
Come un amico che ti compra un regalo, proprio ciò che volevi. Come un bambino che ti sorride per strada, e tu gli rispondi, anche se i suoi ti guardano male. Come un messaggio che ti dice, Ehi, come stai? Come una pianta a cui dai da bere. Come un albero che si beve la pioggia.
Come un albero su cui ti arrampichi.
Come i vestiti ben piegati nell'armadio. Come due persone su una bici, che fanno sorridere i passanti. Come una luna che è proprio dove dovrebbe essere. Come un leone che si mangia la gazzella. Come una mucca che liberata dalla stalla è felice. Come un vaffanculo, a quello che non fa bene, e che lasci andare. Come un benvenuto, a ciò che ti fa bene, e lasci entrare.
Come la fatica di arrivare in cima. Come il piacere di tornare a casa. Come la bellezza di partire. Come il languore della malinconia. Come il sapore delle lacrime, che non è mai lo stesso. Come il sorriso di fronte a ciò che eravamo 10 anni fa, e per fortuna non esisteva Facebook, e non ci sono le prove. Come sapere di aver sbagliato, e perdonarselo. Come sapere che gli altri hanno sbagliato, e perdonare.

Stanotte ho fatto un sogno pazzesco. Un sogno in cui affrontavo tutte le mie paure. Guidata da qualcuno che nemmeno sapevo chi fosse, andavo nel buio più buio che nemmeno è più un posto. Mi affidavo alla speciale centrifuga brevettata dalla mia guida. E il tempo tornava indietro, contraendosi nei miei atomi, che si mescolavano con quelli di altre persone, e con il buio, e diventavo un feto. E aprivo gli occhi, e nel sogno rinascevo. Ed ero io come sono ora, ma tutta nuova. Poi mi sono svegliata. Ed era successo davvero.

E per scoprirlo, questo panino pieno d'amore, devi fidarti che non ti ucciderà. E dargli un morso. Ringraziando l'Universo.




giovedì 29 agosto 2013

Presa di coscienza

Oggi mi sento la febbre. Quando sono sotto stress mi accade. E sono facile preda dello stress.
Poi penso al fatto che ci sono ancora persone che ritengono Berlusconi un uomo distinto, uno statista addirittura, quando invece è un mega evasore condannato in via definitiva e umanamente un mentecatto, con mentecatti politici che gli si asserragliano attorno per mangiare le briciole dei suoi soldi e del suo potere.
Associo Prince alla tassa formerly known as IMU. E penso che in questo momento dovremmo essere a fare la rivoluzione, per questa ignominiosa presa per il culo.
Mi vengono in mente i bambini morti in Siria, mentre mi risuonano le parole di conoscenti che dichiarano che non comprare i vestiti firmati al proprio figlio equivalga a non dargli tutto quello di cui ha bisogno.
Guardo The Wire, definito un'indagine sociologica sulla civiltà occidentale in forma di serial a tema poliziesco, e vedo uomini rosi da ambizione. Tutti: poliziotti, politici, imprenditori, criminali, boss che non a caso seguono corsi di economia. Tutti ugualmente devastati. Tutti senza speranza. Gli unici che hanno un filo di coscienza e cercano di sottrarsi alle regole del gioco, muoiono assassinati.

Nel periodo buio della mia vita ho pensato spesso di non essere adatta a stare in questo mondo, di essere una sorta di scarto evoluzionistico. Il mondo va avanti e io non riesco a stargli appresso. Arranco e sbuffo.
Pensavo.
Ora invece so che non sono io inadatta allo stile di vita occidentale. Ma che lo stile di vita occidentale medio è inadatto a una vita pienamente umana.
Il problema è che stiamo esportando l'occidentalità, stiamo riempiendo il mondo di occidentalità, quella misera. La buona notizia è che in molti ci accorgiamo che è insostenibile, e non ci adeguiamo, almeno non completamente.


martedì 27 agosto 2013

Una parola al giorno: scotomizzazione

Scotomizzazione. Ho finalmente scoperto che cosa vuol dire.
Deriva da scotoma, a sua volta derivato da una parola greca che significa oscuramento, e in medicina indica parziale cecità. Scotomizzazione in senso psicologico ha a che fare con il meccanismo di rimozione inconscia di contenuti della coscienza e della memoria avvertiti come penosi o sgradevoli.
In senso lato, può indicare l'oceano di precomprensioni che stanno prima della nostra effettiva conoscenza del mondo, e che modellano il mondo nel momento in cui lo guardiamo e cerchiamo di comprenderlo.

Mi si aprono orizzonti di senso ora, che hanno a che fare con temi a cui penso da anni: l'autoinganno elevato ad ars vivendi, gli sforzi per sottrarvisi, la ripetizione delle stesse dinamiche, il tentativo continuamente frustrato di avvicinarsi alla verità e alla realtà, attraversando, come suggerisce Gadamer, i vari strati della nostra precomprensione grazie alla phronesis, ovvero una delle virtù aristoteliche, una sorta di prudenza, saggezza, intelligenza.

Il problema infatti è che la nostra esperienza nel mondo è, o rischia di essere, un girotondo, un cane che si morde la cosa, un uruboro ma non di quelli vitali. Penso alcune cose, per esperienze che ho avuto precedentemente, e all'incontro con la novità, tenderò inconsapevolmente a modellarla e soprattutto la esperirò in virtù delle mie precomprensioni.
Ma se io modello la realtà continuamente, sono quindi artefice del mio destino. Come?
Non posso ovviamente controllare ogni preconcetto nella mia mente, e nemmeno resettarlo, anche perché altrimenti ogni giorno dovrei riscoprire le cose più banali, a partire dal caffé della colazione (che posso farmi perché mi ricordo esattamente che cosa è il caffé, come funziona la caffettiera, dove trovare l'acqua e il barattolo del caffé).
Poniamo però un esempio: cambio casa e le cose sono disposte in un altro modo, ma io continuo a cercare lo stesso barattolo, che ho lasciato nella vecchia casa, e ad aprire il forno per cercare la caffettiera perché quello era il posto in cui lo trovavo ogni mattina.
E mi lamento pure di non riuscire a fare il caffé. Sarebbe assurdo, no?
Ecco, questo è ciò che facciamo ogni volta che non siamo capaci di abbandonare, con phronesis, le nostre precomprensioni inutili, e di lasciarci andare alla realtà e nella realtà per come è.

Per questo dicevo che mi si aprono mondi di senso. Perché ora mi è chiaro che finché mi interfaccio con il mondo pensando che quello che è successo prima capiterà di nuovo uguale uguale, sto evitando di vivere. E sto ponendo le basi per un eterno ritorno degli stessi errori, e pure per lamentazioni fuori luogo. Le cose cambiano, baby. E il pessimismo si paga, perché trasforma il mondo, facendo avverare le cupe previsioni che a loro volta rinforzano le negative precomprensioni di partenza.
Accanto a ciò, però, e tornando all'etimo originario di scotomizzazione, se piena di bieco ottimismo evito di guardare le cose che non hanno funzionato, non posso cambiarle. Devo accettare il dolore derivante dal guardarle, per poterle superare.

Ovviamente questo scritto non può che basarsi sul processo descritto: precomprensione --> mondo --> comprensione di un mondo parziale. Ma almeno ne sono consapevole, e non c'è niente di più importante, almeno credo, sempre secondo le mie precomprensioni.



domenica 25 agosto 2013

Ecco perché non sono più (solo) una figlia

Stamattina mi sono svegliata tardi, ho chattato con il mio amico Alessandro, poi ho fatto yoga e sono andata a bere un Americano con Silvia, e ho incontrato un po' di vecchi amici sotto i portici di RdL.
Nel pomeriggio sono andata nella casa (baracca di lusso, più che casa) in campagna. Mi sono arrampicata sul fico per cogliere i fichi e sul ciliegio selvatico solo per il gusto di arrampicarmi, facendomi un sacco di graffi.
Poi ho mangiato, preso il sole, fatto il bagno in piscina, sono stata limonata a più riprese da Gemma,  il pastore australiano di Marina. Ho giocato al gioco dell'oca e a briscola con Lorenzo e Daniele, fatto mezzo cruciverba e letto un pezzetto di Cuore di cane di Bulgakov. Ho fatto foto e osservato un magnifico temporale estivo.
Ho fatto la doccia, baciato i miei, che mi hanno regalato frutta e verdura, e mi sono messa in macchina per Milano, casa mia.
Nemmeno un secondo della giornata avrei voluto fare altro. Nè che accadesse altro: vincere alla lotteria, che qualcuno mi dichiarasse il proprio amore, che mi chiamasse questo o quell'altra, diventare famosa, assumere droghe, raggiungere l'illuminazione, salvare il mondo, che il PD fosse composto solo da gente come Civati.
E allora prima di partire sono andata da mia mamma. E finalmente le ho detto una cosa, che non speravo più di dire, e che forse non le dicevo per farle un dispetto, e per farmi consolare e proteggere. Le ho detto:  "Mamma, sono felice".

sabato 24 agosto 2013

Meno 3 settimane: invito al gioco

Non essere amati è una semplice sfortuna, la vera disgrazia è non amare.
Albert Camus

Questo fatto che tra tre settimane parto mi ricorda quel gioco, quello in cui ti chiedono: "Che cosa faresti se ti mancasse un mese di vita?"
Ciò che faccio è praticamente lo stesso che facevo prima. Ma con maggior leggerezza e maggior consapevolezza. Quindi in realtà anche se sembrano le stesse cose sono completamente diverse.
Meno pensiero al futuro e al passato. Solo il presente esiste. Maggior capacità di vedere i miei pensieri parassiti e fermarli in tempo, ovvero prima che diventino parole o azioni. Respiro più facile nelle difficoltà, e un accoccolarsi nella felicità, non più spaventevole né foriera di tragedie. Focalizzazione più precisa su ciò che c'e ed è reale e necessario e bello fare. Maggior desiderio di passare il tempo con le persone dell'amore e di dedicare loro più delicate attenzioni. Le difficoltà come semplici fatti da affrontare con creatività per volgerli a mio favore.
Questo tempo che mi separa dalla partenza è come un leggero vento che con precisione si porta via l'inutile e mi lascia solo il necessario. Un vento, che come nel mondo cristiano, rappresenta lo Spirito, la Grazia. Che si porta via tutte le disgrazie, anzi, le annulla, convertendole in pienezza.

Provate anche voi a fare questo gioco.


martedì 20 agosto 2013

Martin Luther King e il chiringuito a Santo Domingo. L'amore ai tempi di Facebook.

Immaginate di essere un attivista per i diritti civili dei neri negli USA.
Avete visto Martin Luther King morire ammazzato a Memphis. Avete portato avanti le vostre battaglie in nome dei suoi ideali, vi ha visitato in sogno dandovi consigli e rimproveri su ogni ambito della vostra vita, il suo ricordo vi ha aiutato a non mollare quando non ce la facevate più, il suo esempio vi ha invogliato a diventare una persona migliore, a ribaltarvi l'anima alla ricerca del vostro più piccolo difetto per poter essere specchiato modello per altri attivisti.
Poi un giorno scoprite che in realtà Martin Luther King non era stato ammazzato, ma aveva messo in scena il suo omicidio per poter andare in incognito ad aprire un chiringuito a Santo Domingo, perché si era stufato di rischiare la pelle ogni giorno senza ottenere risultati.
Ecco. Questo è all'incirca quello che mi è successo oggi quando ho scoperto da Facebook, dico, da Facebook, che il mio ex fidanzato che fino a poco più di un mese fa ancora pensava che forse potevo essere la donna da sposare e si facevano quindi esperimenti in tal senso, si è "fidanzato ufficialmente" e non ha ritenuto opportuno comunicarmelo privatamente.
L'ha scritto su Facebook, dopo 4 anni (due di relazione e due di relazione-senza relazione) fatta di mail interminabili, litigate, costanti punzecchiamenti, prediche ininterrotte (sue, ovviamente) su correttezza e superamento dell'ego, spiegazioni su come fossi meschina e poco evoluta, discorsi mistici, richieste di onestà, domande dettagliate sulla mia vita privata nei mesi di lontananza, tentativi di riconciliazione, promesse di affetto eterno se l'amore non era possibile, cuori rossi portati all'improvviso ecc ecc ecc (per un romantico riepilogo leggere qui).
E mo' che faccio? Cerco di respirare profondamente e sintetizzo le cose principali che posso trarre da tutto ciò, come elenco puntato per il blog. What else? Ah sì, domani è un altro giorno.

1. Gli esseri umani restano un mistero insondabile. Non possiamo arrivare al cuore del loro mistero, soprattutto se non vogliono essere raggiunti. E loro non possono arrivare al nostro, se non glielo permettiamo.
2. Se c'è un carnefice, e non c'è un potere costituito che difende il carnefice e nemmeno una sproporzione di forze tra questi e la vittima, allora la colpa è della vittima che vuole essere tale. La vera babbazza della situazione sono io, che ho fatto in modo di essere vittima di inconsapevoli giochi di potere tra noi due, dandogli la possibilità di essere e sentirsi sempre più forte, più giusto, più avanti di me. Anche se: su Facebook?! Ma veramente?! Dopo 5 giorni? Mi ha detto che sono cose che finché non si vivono non si capiscono, ma io riesco solo a dire: "Su Facebook?! Ma veramente?! Dopo 5 giorni?!"
3. Si può voler bene anche ad un essere imperfetto, quindi: non sopravvalutare nessuno solo perché vogliamo amare la perfezione. E non sottovalutarsi mai solo perché siamo imperfetti. L'imperfezione non è l'orrore. E' solo umana.
4. Aver elaborato, con molto tempo e molta fatica, perché non si poteva/doveva/voleva stare insieme prima di accorgersi che non sarebbe stato più possibile farlo, aiuta abbastanza mentre si legge "Fidanzato ufficialmente". Abbastanza, ma non totalmente. Fa male, un po'. Mi sento sola, scema, abbandonata, rifiutata. Ma solo un po'. So che non è così, le cose semplicemente accadono, e so che insieme sarebbe stato un disastro, anche se ci ho creduto molto. Essere il più possibile coscienti è dunque sempre meglio. E questo l'ho imparato da D. Quindi ancora più forte mi chiedo: "Su Facebook?! Ma veramente?! Dopo 5 giorni?!"
5. Tutto il bene derivato da un bluff come quello descritto, resta un bene. Non ho bisogno di buttare via tutto. Come ha ben detto Guccini in Vedi cara: "Non rimpiango tutto quello che mi hai dato, che sono io che l'ho creato, e potrei rifarlo ora". Sì, perché alla fine anche se alla faccia dei proclami di superiorità morale D. si è schiantato contro Facebook, ne è valsa la pena.
6. Quando un uomo torna puntualmente solo perché teme che un altro ti stia portando via, non bisogna credergli. Non bisogna credergli. Ripeto: non bisogna credergli! E' solo smania di possesso, sua, e volontà di tenerlo legato (mia).
7. C'è un quantitativo prestabilito di lacrime da piangere per qualcuno. Finché non si è raggiunto, non possiamo liberarcene. L'ho raggiunto.
8. Per le prediche bastano il prete e i genitori. Avere D. come amico sarebbe stato meraviglioso. Mi ha portato al di là di molti miei limiti, e gliene sono grata. Ma ha avuto un costo altissimo: per quattro anni mi sono sentita giudicata per ogni parola, gesto, azione. E soprattutto, non è mai stato  un processo biunivoco. Ma qui si torna al punto 2.
9. Non possiamo avere vergogna dei nostri sentimenti, né quelli belli né quelli brutti. E' necessario non farsene travolgere, non identificarci con essi. Danzare con loro e portarli in giro, non farsene portare.
10. Scuserete quindi il gentile "Vaffanculo, tesoro" con cui, mescolando, con scarso garbo e minor fantasia, fastidio e affetto, saluto D. A cui davvero davvero davvero auguro ogni felicità. E so che lui si augura la mia. E so che insieme non riuscivamo a costruirle, le nostre felicità. Quindi: tutto è bene quel che finisce bene. Anche se: su Facebook?! Ma veramente?! Dopo 5 giorni?

venerdì 16 agosto 2013

Occupazioni estive

Nuoto finché  non c'è più nessuno intorno. Mi giro sulla pancia, restando appena sotto il pelo dell'acqua.
Guardo il mio riflesso franto e scomposto sulla superficie dall'acqua. Mi sento come Alice che si osserva, nella parete interna e misteriosa dello specchio. Conosco tutti miei segreti, e sorrido, in pace. Potrei stare così sempre.

mercoledì 14 agosto 2013

domenica 11 agosto 2013

Un certo desiderio di salviette

Allora, c'è una ragazza che conosco che sta facendo successo con un libro e annesse conferenze e blog e interviste sul potere dei desideri.
E io pensavo che fosse senza senso. Che poi comunque i desideri sono pericolosi, perché si basano sulla speranza, e chi visse sperando morì non si può dire.
E invece, i desideri sono inestirpabili dall'essere umano. Senza desiderio siamo morti. Senza quel qualcosa che de sidera ovvero dalle stelle ci scende nel corpo non andiamo da nessuna parte. Io inizio a pensare che devo imparare a desiderare correttamente.
Io tendenzialmente prendo i miei desideri e li butto nel mare magnum della vita, un po' "alla 'ndo cojo cojo" come diceva Serafina Lerose, mia prof di educazione tecnica alle medie, quando ci minacciava di lasciarci segni permanenti tirandoci il compasso da lavagna.
Ma i desideri, quelli veri (della differenza tra desideri benefici e malefici ho già parlato qui) vanno seminati nel giusto terreno, coltivati nei tempi e nei modi corretti, raccolti a maturazione precisa, né in anticipo né in ritardo.
La speranza c'entra poco, c'entra quel tanto che basta per avere il coraggio di piantare il seme, scelto in maniera precisa. Dopo di che entra in gioco la fiducia nelle nostre capacità, nelle persone che incontriamo, nell'universo che ci darà esattamente ciò che ci serve. Perché se arriva una tempesta (il fottuto imprevedibile incontrollabile evento che mi manda di fuori perché sono una Vergine tignosa) e il nostro campo seminato di desideri se ne va all'aria, non è un problema. Perché abbiamo comunque lavorato e imparato un metodo e una disciplina e una fiducia che possiamo riapplicare, con correttivi, ad altri desideri.
Il desiderio vero è come l'opera d'arte: 1% inspiration, 99% transpiration.

sabato 10 agosto 2013

It's all over now, baby blue


“Solo l’inerzia è pericolosa. Poeta è colui che spezza per noi l’abitudine. (…) E dica a tutti chiaramente il gusto di vivere questo tempo forte. Perché l’ora è grande e nuova, nella quale conoscersi di nuovo”
Sant-John Perse

Giri in tondo, per anni. Sempre sulla stessa traccia, come zio Paperone tracci solchi nel pavimento del deposito, dove invece di soldi accumuli tristezza rabbia inutilità e schiavitù, e non lasci uscire niente, e pulisci e rimiri e ringrazi i tuoi carcerieri, oggetti persone o emozioni che siano.
Ogni cosa diversa che fai, è diversa solo esteriormente. La struttura profonda è una, cristallizzata, coercitiva, dolorosa ma senza che ti riesca di vedere l'origine del dolore, è un dolore offuscato e annebbiato, come la tua percezione.
Poi. Un colpo improvviso e il dolore ti prende in pieno. Ti invade, entra nelle ossa e nelle narici. Benedetto dolore. Sei sveglio ora. (Se sei fortunato, ti accade di svegliarti con l'amore, invece che con il dolore, ma secondo me vanno sempre accoppiati).
Che cosa puoi fare? Aggrapparti ancora più saldo alle consuete circolari abitudini. Girare la ruota come un asino al mulino, fino a polverizzare ciò che resta della vita.
Oppure scartare di lato, uscire dalla fossa che ti sei scavato. Scalarla. Faticare. Chiedere aiuto. Uscirne. Girarle ancora in tondo, ma a giri sempre più larghi e lassi e consapevoli. Ogni respiro, una verità. Ogni respiro che manchi, un vuoto che lasci riempire dalla vita.
E ad un certo punto sei come un martello in mano ad un bravo lanciatore: la forza centripeta ti allontana dal centro, dal buco nero della ripetizione coatta e vai, verso dove devi andare. La forza, la direzione, la precisione del lancio dipendono da te. Sei insieme il martello e il lanciatore. E devi decidere: ora mollo. Ora parto. Mi sono allenato abbastanza, lanci di prova ne ho fatti a sufficienza. Lancio il mio io oltre il mio ego. Partendo dal centro, sempre, conservandolo come il punto da cui veniamo, ma superandolo.
Siamo liberi, di costruirci la nostra libertà, o di massacrarla. 




giovedì 8 agosto 2013

10 cose (circa) che mi porto a casa dalla montagna

1. In montagna è impossibile fare due cose contemporaneamente senza ammazzarsi o perlomeno slogarsi una caviglia. Se cammini, cammini. Se fotografi, fotografi. Se mangi, mangi. Se provi a camminare e insieme lamentarti/imprecare per la fatica, un doloroso calcio a una roccia con l'alluce sinistro è il minimo che ti possa capitare. Anche i miei maestri di meditazione me lo dicono sempre: "Fai una cosa per volta". Io gli credo per 5 minuti, poi ricomincio a farne 12 contemporaneamente. E male, per lo più.
2. Per glutei da fighedomani con un touch di ecochic, il trekking è la soluzione. I miei glutei in questo momento gridano vendetta alla carcassa 33enne che li porta in giro. Ho dolori ovunque, ma che orgoglio! E tra 5 giorni vado pure al mare...
3. La salita rompe il fiato. La discesa rompe i polpacci e i cabasisi.
4. Vestita da trekking e con la macchina fotografica davanti al viso, mi hanno scambiato per un ragazzino, nemmeno per un ragazzo (in effetti peli sulle gambe ne avevo pochi). Urge abbigliamento tecnico meno maschile. E ricordarsi di mettere sempre tacchi e push-up in città.
5. Ogni volta che per una serie di coincidenze mi trovo a fare un sentiero diverso da quello programmato, faccio incontri straordinari. L'anno scorso il mio fidanzato storico con cui non parlavo (o, per amor di precisione, non mi parlava) dal lontano 2007, quest'anno uno stambecco. Non siate maliziosi, e non cercate di cogliere somiglianze tra i due. Semplicemente ciò mi ricorda che le cose accadano, se devono accadere.
6. L'attività sportiva è panacea di mali fisici, psicologici e dell'anima. Quanta saggezza vi regalo?! Scherzi a parte, come diamine si può vivere senza muoversi saltare correre nuotare piegarsi avventurarsi? E come si può vivere senza pacificarci?
7. Fare fatica, una fatica che ci porti oltre quelli che pensiamo siano i nostri limiti fisici, ci offre la possibilità di sapere che nei momenti faticosi della vita comune, possiamo andare oltre. Siamo incredibilmente più tosti di quanto pensiamo. Micacazzi!
8. La fatica può causare problemi di stomaco. Basta evitare di pranzare con polenta guarnita da formaggio e brasato di cinghiale e limitarsi a una barretta energetica e Nutella all'occorrenza. Per mangiare senza problemi e senza nemmeno sensi di colpa, per cena il rifugio aspetta te.
9. Il giro che ho fatto si inerpica in valli piuttosto selvagge, ma puntellate di dighe costruite circa un secolo fa, che, oltre a permettermi di usare il computer in questo momento, evitano che il Brembo si porti via i paesi costruiti sulle sue rive. Quindi, nonostante i trascorsi verdi e una spiccata simpatia per Greenpeace, esiste un modus operandi che rispetta la natura e insieme la vita dell'homo tecnologicus. E che permetta di vedere meravigliose stellate e di avere la tecnologia per fotografarle, senza doverle incidere su una pietra.
10. La montagna esige spesso un tributo, come ricordano le poco confortanti croci che puntellano i sentieri. Infatti tra le cose che non mi riporto a casa perché rimasto sulla pietraia al Passo della Stalletta, c'è il mio sacco a pelo in piuma d'oca che mi accompagnava dal viaggio in Palestina nel 1999. Sigh.

In aggiunta: gli unici non bergamaschi incontrati in giro per rifugi, erano due ragazzi di Monaco, e un signore italo francese di terza generazione, con il nonno emigrato proprio dalla Val Brembana. Mi vengono in mente due osservazioni: gli orobici non sanno farsi pubblicità e sono territoriali come gli animali; gli italiani in generale sono un popolo pigro. E si vede.


Nella foto: 3 sassi portati dalla Val Brembana