venerdì 28 giugno 2013

Smascherarsi

In questo momento, mentre fumo l'ennesima sigaretta durante il tempo di posa della maschera all'argilla, ho voglia (o bisogno, chissà) di fermare nero su bianco e di condividere le cose che ho capito nelle ultime settimane.
1. Nessun essere umano è funzione di qualcosa altro. In particolare, tutti gli esseri umani che incontro hanno il diritto di essere trattati bene e con amore e di ricevere importanza e delicate attenzioni a prescindere dalla funzione che io vorrei assegnargli nella mia vita. Certo non sono dio e non posso pensare di amare tutti incondizionatamente, ma questo funzionalizzare gli incontri, come ho fatto quasi sempre finora, soprattutto se si trattava di esseri umani di sesso maschile a cui ero particolarmente interessata, mi fa piuttosto schifo.
2. Il modo migliore per perdersi in un problema senza trovarne la soluzione è osservarlo continuamente. Cfr. il principio di indeterminazione di Heisenberg
3. Se si vuole una cosa, la si ottiene. Ma ci vuole molta molta molta pazienza, e serve uno sguardo strategico, e coraggio. Tanto coraggio.
4. Anche se si ottengono le cose che si vogliono, il senso della vita non cambia. Che al massimo riempiamo di soddisfazione qualche minuto, ma questi minuti ci avvicineranno comunque alla morte. E non sarà il successo non ottenuto o i soldi non guadagnati o i viaggi non fatti ciò che rimpiangeremo di fronte alla livella.
5. Vivere per rendere esplicita la propria peculiarità e perché gli altri la ammettano e possibilmente la ammirino. è un modo piuttosto idiota di vivere. Coltivare il proprio nucleo interiore, ciò che rende speciale me, potrebbe più proficuamente portarmi a riconoscere, celebrare, propiziare, ammirare lo stesso nucleo negli altri.
6. Ho un grande desiderio d'amore, ma sono in buona compagnia. Ce l'abbiamo tutti. Molti lo negano, perché è poco in sintonia con la nostra epoca narcisistica. Io ho la fortuna di riuscire a vedere questo desiderio ora, e di poter vivere senza che tutto giri, in maniera inconsapevole, attorno a questo desiderio. Posso darmi tempo, respirare nelle cose. Ad un certo punto questo desiderio diventerà talmente forte e pieno e diretto che da qualche parte porterà, esattamente come opera lo stimolo della pipì in noi. Sappiamo che prima o poi dovremo fare pipì, ma mica viviamo attaccati ad un bagno. Quando ci scappa, andiamo. E non scandalizzatevi del paragone, che amare e pisciare sono suppergiù la stessa cosa: naturali.
7. La vita  politica di questo paese mi interessa veramente molto poco. Ma ciò non vuole dire che sia un'individualista cazzona. Mi interessano le dinamiche profonde, più che le contingenze di cui quotidianamente si parla.
8. Lasciare andare è liberante, Non c'è niente da perdere, e lo si scopre perdendo tutto quello che pensavamo di avere o di dover ottenere.
9. Ho imparato a comprare cose carine senza spendere cifre assurde, e addirittura che esiste il prestito.
10. Credere qualcosa è inutile. Bisogna sentire, provare, sapere quel qualcosa. Credere è come mettere un sottile strato di mattoni, di quelli venduti in comode piastrelle, su un pilastro di cemento armato. Resta cemento armato, ma lo camuffo perché sia più grazioso e accogliente.
11. Dare dare dare dare. Ma senza paracularsi dietro al dare. Dare, e saper dire i sì, i no, esprimere dubbi, alzare la voce, tornare indietro, dire la verità, chiedere, rispondere.
12. Le cose rotte restano rotte. Ma a volte, una volta aggiustate, assumono un fascino ancora più peculiare, come i jeans portati a lungo o la giacca di pelle di quando avevamo 20 anni. Il problema è che oggi quasi nessuno ripara più niente. Ma la crisi ci salvarà.

Grazie a chi, in vario modo, mi ha aiutato a capire, sentire, provare, sapere, esperire queste cose.






martedì 25 giugno 2013

Ipotesi di lavoro


The observer, when he seems to himself to be observing a stone, is really, if physics is to be believed, observing the effects of the stone upon himself
Bertrand Russell

Io guardo me stessa, sempre. E ciò che vedo dipende da chi sono io, da dove sono io in quel momento. Se poi l'osservazione si concentra sulle parole umane, che sono di per sé ambivalenti, è davvero tutto un'interpretazione.
Quindi, sebbene creda che "Il fine della nassa è il pesce: preso il pesce metti da parte la nassa. Il fine del calappio è la lepre: presa la lepre metti da parte il calappio. Il fine della parola è l'idea: afferrata l'idea metti da parte le parole" non so davvero come poter compiere questa operazione e cogliere il nocciolo delle cose. Io non posso credere di essere il nocciolo delle cose. Sì, in qualche forma lo sono, ma ci sarà qualcosa più in là, più tenace, che chiede il mio rispetto in quanto diverso. 
Ecco, forse potrei lavorare su questo, sul rispettare la diversità invece di ridurla a un'uniformità che esiste solo per me. Una mediazione, non sarebbe male come ipotesi. Accogliere il mondo degli altri come vero, esattamente quanto il mio. Invitare e accogliere l'invito a giocare in un terreno neutro, senza l'ossessiva e nevrotica pretesa di avere ragione. 




mercoledì 19 giugno 2013

Holy holy holy holy holy holy holy

I saw the best minds of my generation destroyed by madness, starving hysterical naked,
dragging themselves through the negro streets at dawn looking for an angry fix,
angelheaded hipsters burning for the ancient heavenly connection to the starry dynamo in the machinery of night...

A. Ginsberg

Non solo Ginsberg, come a chiudere Howl con un canto di gloria, ripete Holy. Anche Madonna canta Holyday, Celebrate.
E allora lo faccio anche io.
Celebro la nascita e la morte. Celebro l'inizio e la fine. Celebro l'errore, la perfezione e le sfumature che ci passano in mezzo. Celebro il coraggio e la paura. Celebro il lasciare andare e il rimettersi in marcia. Celebro lo spirito e il corpo, l'anima e il sesso, il piacere e il dolore.
Celebro quello che vedo e quello che non vedo, celebro l'odore di tiglio, del mare e del pane. Celebro l'abbaglio e l'oscurità. Celebro il viaggio, l'andata, il ritorno, il mai più e il per sempre. Celebro il minuto che vivo e quello appena passato e quello che verrà.
Celebro l'afa e la neve, celebro chi ci prova e chi è sconfitto, chi pensa di vincere invece si celebri da solo.
Celebro il pentimento, l'ossessione, la vendetta, la scusa, il dolore. Celebro le mie molecole che si sciolgono nelle tue, e celebro le tue che si sciolgono nelle mie. Celebro tutto ciò che non capisco e tutto ciò che ho capito. Celebro lo scambio e la stasi. Celebro il cibo nell mio intestino e nel frigorifero. Celebro le zanzare e le formiche. Celebro me stessa, la mia pancia, il mio naso, la mia bocca, le mie orecchie, i miei occhi, le mia mani, la mia vagina. Celebro ogni essere che mi mostra il suo punto debole, celebro chi non ce l'ha, celebro Dante e celebro il Dhammapada.
Celebro l'universo, da una cucina di Corvetto. Celebro l'universo, ovunque mi accoglierà domani.





martedì 18 giugno 2013

Del desiderio

Surrender to a logic more powerful than reason.
J. G. Ballard
I desideri sono importanti. Non possiamo vivere senza desideri.
Ma sono anche la trappola più trappola del mondo.
Possiamo fotterci da soli, pensando di farci del bene, o pensando che tanto sapremo gestire gli effetti di improvvidi desideri.
Il mondo occidentale, che con il capitalismo si sta mangiando in fretta tutte le altre culture residuali e pure tutta la natura di cui ancora non possiamo fare a meno, è un generatore di desideri continui. Vogliamo di più, vogliamo più forte, vogliamo successo, vogliamo soldi, vogliamo essere magri, vogliamo il costume giallo invece che verde come l'anno scorso, vogliamo un compagno figo, vogliamo una casa grande, vogliamo viaggiare più lontano, vogliamo scalare un'altra montagna, vogliamo vogliamo vogliamo ogni secondo della nostra vita.
Il problema non è il desiderio, che forse è ineliminabile se non diventando mistici (ma anche lì potremmo desiderare il risveglio come una realizzazione terrena, o di pregare meglio del nostro compagno, mistico pure lui). Il problema è che non capiamo perché desideriamo e chi desidera.
Desideriamo per noi o per ottenere qualcosa che agli occhi altrui abbia l'effetto di regalarci un'aurea di forza, bellezza, desiderabilità, figaggine?
Il desiderio arriva dal "cuore", dal centro del nostro essere e produrrà quindi effetti benefici su di noi e sul resto dell'umanità, o arriva invece dalla nostra parte schiava, e allora produrrà solo nuove catene di cui come coglioni andremo pure orgogliosi e che useremo per intrappolare gli altri?



venerdì 14 giugno 2013

Tutto l'universo si conosce nell'amore

Che una cosa sia difficile, ecco una buona ragione per attenerci ad essa.
È pure buono amare, giacché l’amore è difficile. L’amore di un essere umano per un altro essere umano è forse la messa alla prova più esigente, la più alta testimonianza che ci viene chiesta, l’opera magna di cui tutte le altre non sono che la preparazione.
E’ per questo motivo che gli esseri giovani, nuovi in tutte le cose, non sanno ancora amare; devono imparare. Con tutte le loro forze concentrate nel loro cuore imparano ad amare. Ogni apprendistato richiede un tempo di clausura. Così è per chi impara ad amare: l’amore è – e rimane a lungo – solitudine, solitudine sempre più intensa e profonda. L’amore non è prima di tutto il donarsi, l’unirsi ad un altro. (Cosa sarebbe l’unione di due esseri ancora confusi, incompiuti, dipendenti?) L’amore è l’occasione unica di maturare, di prendere forma, di diventare se stesso un universo per amore dell’essere amato.

Rainer Maria Rilke

Ieri sono andata a casa dei miei, che non c'erano perché sono a Medjugorje, e forse stanno  pregando anche per la mia anima e io sono loro molto grata.
C'erano però i miei nipoti. Ed eravamo felici di vederci, e i due piccoli erano pure un po' imbarazzati, perché mi vedono poco e ho i capelli azzurri e poi notoriamente mangio i bambini. 
Infatti poi ci siamo messi a giocare al lupo/mostro della palude, seriamente. Non c'è altro modo di giocare. Non si può giocare e fare altro. O giocare dicendo "tanto è un gioco": impossibile. Si gioca, e basta. Si è nel gioco. Si è il gioco. Io non fingo di essere il lupo, io sono il lupo. Ma so che non farò male davvero. So che è finto, ma me lo dimentico. Mi affido solo al mio "cuore", che mi farà fermare prima che il lupo dentro di me prenda il sopravvento. Ci vuole un sacco di fiducia per giocare per davvero. Infatti se io-lupo esagero e spavento troppo i bambini, questi piangono, mettono il broncio e per un po' non vogliono più giocare, perché non riescono a fidarsi di me, temono che lo spavento diventi di nuovo troppo grande per loro. Se al contrario iniziano a chiedersi se io sono davvero un lupo, allora non si può più giocare, perché nessuno si diverte, è tutto finto. E le cose finte fanno schifo, soprattutto ai bambini che capiscono tutto. 
Il gioco è un modo sensatissimo di stare al mondo, anche per i grandi. Anche per amare. 
E mi accorgevo che ci vuole un'educazione sentimentale ed emotiva finissima per stare in questo meccanismo. Non può essere im-mediato (ovvero non mediato) come per i bambini visto che abbiamo molti altri strumenti di conoscenza del mondo, ma non può nemmeno essere esplicitato (io ora fingo di fare il lupo e voi fingete di spaventarvi ecc ecc). Non può essere sulla pelle dell'altro, ma non può non esserlo. Non può esagerare, ma non può trattenere. Non può fingere, ma non può non essere consapevole. E' un continuo equilibrio. E' la ricerca di un equilibrio, che poi perderemo, e poi ritroveremo, e poi perderemo e poi ritroveremo. Insomma è difficile. Ma proprio perché è difficile, è da provare. 
Anche se siamo convinti che l'amore ci caschi in testa come la mela di Newton. Ma se anche la storia della mela fosse vera, Newton si era preparato a poter capire il significato di quella mela cadutagli in testa, e dopo la caduta ha studiato per anni.




lunedì 10 giugno 2013

E più non dimandare

Oggi ero in spiaggia.
E guardavo il mare, ancora turbato dal maltempo di ieri. Era torbido, e in superficie galleggiavano alghe imputridite, pesci morti, bottiglie di vino senza messaggio e senza nemmeno vino, un pezzo di cruscotto, probabilmente di una Ritmo.
E guardavo il cielo. E ad un tratto ho capito. Non era un fondale, piatto e immobile, era invece un vasto azzurro tridimensionale, con nuvole alte e sciolte, nuvole più basse e compatte e una buffa fila di piccole nuvole a cavolfiore rovesciato parallela all'orizzonte. Una scia d'aereo ha fatto un taglio diagonale, entrando ed uscendo più volte da una nuvola piatta, quasi come realizzasse una cucitura; altre scie ormai sfaldate se ne stavano lì, come parentesi lasciate aperte tanti anni fa su una lavagna ormai a riposo nel sottoscala di una scuola .
E poi guardavo me. E anche io porto i segni di qualcosa accaduto tempo fa, in un altro posto e per cause che non saprò mai. E vedo solo l'effetto mutevole e cangiante e affascinante di queste cause.  E anche io sono grande e mutevole e mobile. E se il cielo è il posto che diamo a Dio, non possiamo poi dire che Dio è immutabile. Dio è come il cielo, Dio è come noi. Ma a differenza nostra, non si fa domande, ché sono le domande a rendere il cambiamento fastidioso. Il cambiamento è solo la natura delle cose. Del mare, del cielo, mia, vostra.


giovedì 6 giugno 2013

A che cosa servono le relazioni

Scrivo tonnellate di relazioni, lasciate colpevolmente indietro, in vista della fine del mio tirocinio.
E mentre commentavo una ricerca sullo stato della scuola (sottotitolo: "Giovani e insegnanti a confronto") ho scritto un concetto che secondo me è bellissimo. Non lo so, lo trovo bellissimo. Perché voglio vivere così ogni giorno. Prego un dio in cui non so se credo perché io possa vivere così ogni giorno, e perché anche voi possiate.
Ho commentato un dato sulla percezione diffusa della mancanza di senso nello stare a scuola da parte degli studenti. E ho scritto che il senso dello studio (=della vita) non sta nelle strumentalità o nella finalità di ciò che studiamo (=viviamo). Sta nella bellezza di conoscere ogni volta qualcosa di nuovo. E che se ad un insegnante viene a noia la propria materia, se riesce solo a dire: "se non studi ti boccio" oppure "nel mondo del lavoro ti servirà", se non sa stupirsi e non sa riconoscere la bellezza di esseri umani ogni anno, anzi ogni giorno, diversi seduti davanti a lui, non ce la può fare mai. A dare un senso del suo fare a se stesso, né tantomeno a trasmetterlo a qualcun altro.
E se io non riesco a fare tutto ciò nella mia vita, con le persone i luoghi le cose che conosci già, non ce la posso fare mai, a darmi un senso, a darne al mondo e a far sorridere qualcuno.

Perché conosco molte cose, ma moltissime altre no.
Conosco moltissime persone, ma non conosco nessuno, perché sono pozzi di assoluta pienezza e io non ne vedo che un pezzetto per volta.
Sono nel mondo, e ci sono adesso. E non c'è niente di più bello, totalmente nuovo, vitalizzante e pacificante insieme di questo ora. Di questo qui.
La bellezza di questa verità mi fa quasi piangere, quindi la smetto e torno a scrivere le cose serie (anche perché se non le scrivo poi mi bocciano).




domenica 2 giugno 2013

Le cose non cambiano. Noi cambiamo

Stavo pensando alla formulazione esatta del titolo, che ho letto qualche giorno fa chissà dove, e mi aveva colpito, quando ho rotto un bicchiere pieno d'acqua.
Reazioni possibili di possibili me, in vari momenti o contesti della mia via:
- smadonnare, pulire a cazzo, per poi tagliarmi domani con una scheggia rimasta per terra
- chiedere aiuto alla mia coinquilina, con la scusa che da sola non ne sono capace
- convincermi che non serva pulire, tanto ne ho rotto un altro il mese scorso, e già ho pulito quello
- utilizzare le schegge per tagliarmi le vene o per una scarnificazione o per minacciare qualcuno
- piangere sulla sfiga e accusare il cosmo di volermi male
- recuperare lo scottex e un sacchetto di plastica, pulire con calma e attenzione, buttare via il sacchetto
- recuperare lo scottex e un sacchetto di plastica, pulire con calma e attenzione, buttare via il sacchetto, e scriverci un post.