lunedì 27 febbraio 2012

L'arancia ovvero del mistero

Hai di fronte un cesto di arance.E ti accorgi di essere irresistibilmente attratto da un'arancia. Per un po' la guardi. Poi l'annusi, e ne tocchi la scorza. E ascolti quello che ti trasmette la sua presenza in questo mondo. E sei felice che ci sia, che sia lì. E capisci (non chiedermi come, ma lo capisci) che anche lei è felice che tu la guardi e gioisci della sua esistenza, e ricambia. 
Ad un certo punto sei così attratto dall'arancia che la sbucci. Timoroso il primo colpo, poi via via con maggior foga. Degli schizzi partono dalla buccia, dritti negli occhi a farli lacrimare. Prosegui. Una volta sbucciata scopri che è ricoperta di lanugine bianca, ed è composta di spicchi. Dividi  gli spicchi, togli i filamenti bianchi. E infine mangi uno spicchio dopo l'altro. Ed è buona. Succosa, dolce il giusto e fa venire quasi i brividi.
Ma quando hai finito di mangiarla, non c'è più. Restano degli insapori filamenti bianchi, e la buccia che a poco a poco si accartoccia. La puoi bruciare nel camino perché sprigioni la sua ultima essenza, o farne dei canditi per un dolce. That's all. Se acabò. Rien ne va plus.
E il mistero dell'arancia, perché ti attraesse così tanto, perché fosse così importante lei, quella speciale arancia,  e perché fosse felice di essere amata, non lo saprai comunque. Non lo saprai mai. 



domenica 26 febbraio 2012

Cose per cui resterò orgogliosamente bambina/3

Oggi ne ho scoperte ben due:  andare sull'altalena ed incupirmi ma compiacermi pure un po' per essere stata sgridata.

sabato 25 febbraio 2012

Avviso importante

Agli uomini milanesi e non solo. Sono carina, gentile, fin troppo educata, intelligente sopra la media, matta quel giusto e mi rendo conto che i miei geni siano appetibili per la riproduzione della specie, ma non dovete rompermi i coglioni. Nessuno vi ha chiesto niente, se voi chiedete per primi siate pronti a ricevere un no. Un no è un no. Non rientrate in quei casi (che poi comunque finiscono tragicamente) in cui i no sono no per paura o per prova o per camuffamento o per codardia e poi diventano sì, ma tornano comunque no. N-O. Due lettere in fila. E' facile. Coraggio.

venerdì 24 febbraio 2012

E' impossibile che l'impossibile esista

Mentre imparavo una posizione yoga di cui ho scordato il nome, ho imparato che visualizzando me stessa mentre facevo quella posizione, sarei riuscita a farla. Che immaginando il pezzo di mondo che quella mia torsione mi avrebbe permesso di vedere, e che pensavo fosse al di là dei miei limiti fisici, potevo effettivamente arrivare a vederlo.
A teatro sto imparando che se credi fermamente e ti eserciti, puoi fare uscire la voce da un punto in mezzo alle scapole e mandarla dietro di te. E un giorno, in cui questa cosa me l'ero scordata ma che evidentemente da qualche parte aveva lavorato in me, ci sono riuscita.
Tutto quello che pensiamo sia impossibile è impossibile solo per la nostra mente, che incessantemente pone limiti. Che incessantemente divide in ordinario e straordinario, tra fattibile e infattibile, tra giusto e sbagliato, tra bene e male, tra amore e odio, tra giorno e notte, tra chiaro e scuro.
Perché siamo, come dice mia sorella Maddalena, dei cazzoni.
Oggi per esempio ho pianto, non solo per la tristezza ma anche per la liberazione, perché ho accettato, (cosa che prima mi sembrava impossibile) la fine di un amore, anzi di una storia d'amore. Che l'amore è tutto, e non finisce mai. Al massimo finiscono le cose a cui diamo il nome. Che bisogna darglielo un nome alle cose, per riconoscerle, ma poi liberarsene, che altrimenti i nomi, ingordi e avidi, si mangiano le cose. L'impossibile è solo ciò che è diviso. 


giovedì 23 febbraio 2012

Parole in prestito. Le ho finite tutte

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


mercoledì 22 febbraio 2012

La fanciulla e la sedia. Una fiaba.

C'era una volta una villa, disabitata. L'intonaco rosa scrostato, il portico e le persiane penzolanti non nascondevano la maestosità della costruzione. Se ne stava lì, in mezzo ad una radura vicina ad un lago di bassa montagna.
Un giorno una splendida fanciulla passeggiando sola tra i boschi,  vide questa villa e decise che ci sarebbe andata a vivere con il suo principe azzurro. Insieme l'avrebbero risistemata e resa splendida e avrebbero vissuto felici e contenti. Con l'eredità di famiglia comprò la villa. Bisognava solo trovare il principe azzurro. Ma come capire chi era?
La fanciulla decise che avrebbe incoronato principe azzurro quello che avrebbe passato un piccolo test. Portato alla villa disabitata, avrebbe dovuto sedersi sulla sedia più alta, quella simile ad un trono che, sola supersite, era rimasta nella vecchia sala da ballo.
Via via che conosceva ragazzi, li portava alla villa. E loro erano estasiati, felici, e proponevano alla fanciulla di andare a vivere lì con lei. Giravano per le stanze, si sedevano sui gradini del portico, salivano sugli alberi del parco ormai selvaggio. Ma nessuno si sedeva lì, sulla sedia fatidica.
Finché un giorno la fanciulla incontrò uno che del principe aveva poco o nulla. Ma lo portò lo stesso alla villa. Lui invece di dirle parole dolci ascoltava il suo Ipod e parlava al telefono con il suo manager (era un aspirante musicista). Ma ogni tanto la guardava in un modo in cui nessun altro l'aveva guardata, e quando la toccava, le si rimestava il sangue. E ogni tanto si accoccolava su di lei come se fosse l'unica persona rimasta sulla Terra. Alla villa l'aspirante musicista andò in giro da solo. La fanciulla lo raggiunse proprio nella sala da ballo, proprio mentre lui si sedeva sulla grande sedia. Trattenne il respiro, socchiuse gli occhi per l'emozione, ma un gran frastuono la fece sobbalzare. Il principe azzurro si era seduto e il legno ormai marcio della sedia aveva ceduto.
Ma che importa, pensò la fanciulla, lui è PA, il vero principe azzurro.
E così iniziò a sistemare la villa. Sceglieva i materiali, ordinava agli operai cosa fare, ogni tanto passava a controllare, e a dare ritocchi. PA sorrideva e  lasciava fare, e suonava e ascoltava musica. Ma quando la guardava e la toccava, lei si scioglieva.
Giunse il momento di entrare nella villa. I due giovani arrivarono con le loro cose. Per i primi giorni tutto sembrò perfetto, ma poi iniziarono a scoprire che la villa, benché sistemata con grande sforzo da cima a fondo, aveva mille problemi. Scarafaggi, spifferi, umidità, ragni, tubi rotti. E la sedia sfasciata e ricomposta, messa in un angolo del soggiorno, era proprio un pugno in un occhio.  Iniziarono a litigare, perché la fanciulla voleva che PA la sistemasse, ma a lui non importava. Inoltre avevano finito i soldi, la casa era grande e quando arrivò l'inverno non seppero come riscaldarla. Finita la scorta di legna, bruciarono gli arredi, tutti. Tranne la sedia simile ad un trono, ma una notte PA, disperato per il freddo, la bruciò. E poi lasciò la villa.
La mattina dopo la fanciulla era disperata. Sola, in una casa grande, che nonostante gli sforzi non era stata in grado di sistemare, senza più la sedia dove fare accomodare il prossimo principe azzurro.
Raccolse le sue cose, tornò in città, e iniziò a cercarsi un lavoro. Ma niente le piaceva. Per consolarsi iniziò a cuocere dolci. I vicini, attratti dai profumi soavi, andavano a trovarla sempre più spesso. E chiacchieravano e lei ritrovava il sorriso. Allora capì: vendette la villa, e con i pochi soldi ottenuti avviò una pasticceria. Ed era felice.
Finché un giorno sentì in radio la voce di PA, l'ex PA che presentava il suo primo singolo. Ebbe un fremito, e le venne voglia di scoprire come stava. Lo cercò, senza trovarlo, per molti mesi. Se ne dimenticò di nuovo. Finché un giorno l'ex PA entrò in pasticceria, era in città per un concerto. Si sorrisero, imbarazzati ma felici di rivedersi. Dalla porta entrò una ragazza, che andò verso PA e gli diede un bacio.
La nostra fanciulla si sentì aprire una voragine sotto i piedi e dentro la pancia, ma poi sorrise anche a lei, e regalò loro la sua torta migliore.
E vissero tutti felici e contenti.


martedì 21 febbraio 2012

Mi sono suicidata su Facebook

Perché ho capito (dopo molti tentativi le ultime 30 ore sono state decisive) quanto più calma e tranquilla e concentrata sono senza dover controllare le notifiche.

Perché ogni cosa chiede di essere usata. Puoi mettere un libro per livellare un tavolo, ma prima o poi ti verrà la tentazione di leggerlo, e il tavolo tornerà storto. Lavorando al computer, da casa, da sola per molto tempo, Facebook era un richiamo irresistibile. Sì, sono debole, ma se una cosa non si può cambiare basta dire no. 

Perché voglio imparare a decidere cosa come e quanto dire. E cosa come e quanto tenere per me.

Perché in questo modo capirò le relazioni che vale la pena continuare. Perché ci saranno persone che ho voglia di sentire e cercherò, e persone che avranno voglia di sentirmi e mi cercheranno. E ci diremo cose mirate. 

Perché così non sono sempre altrove. Lo sarò quasi sempre, ma non sempre.

Perché il passato è un peso. 

Perché come tutto quello che succede in Internet ho seguito la regola FIFO: First In First Out. Mi sono iscritta presto, ho coinvolto molti amici, e ne sono uscita per prima.

Perché preferisco puzzare di sudore per aver fatto lezione di teatro invece che di fumo per essere stata davanti allo schermo per ore a fumare.

Perché abbiamo poco tempo, e i cazzi degli altri contano poco. Conta quello che piace a noi, e a volte sono gli altri, ma non i cazzi degli altri. 

Perché così la gente può dirmi delle cose che non so, che rispondere sempre: "L'ho letto su Facebook", mi annoiava. 

E forse non c'è nemmeno bisogno di tutte queste motivazioni. Semplicemente mi andava. Ma mi piace scoprire i perché delle cose, e condividerli. 

Ah, l'ultimo perché: perché invece di cancellarmi del tutto ho mantenuto la pagina del blog. Perché Facebook in alcune situazioni di lavoro mi è stato utile, e quindi così restano visibili i miei contatti a persone che conosco superficialmente ma chissà, magari mi cercano. E perché se scrivo un blog invece del diario con il lucchetto, c'è un motivo.
Voglio dire delle cose, e che qualcuno le legga. E per ora ho questo mezzo. 

domenica 19 febbraio 2012

La via dell'artista ovvero del dio dentro/2

Oggi mi stavo facendo la doccia, dopo aver letto alcune pagine di un libro di scritti di Louise Bourgeois.
E ho capito che della mia vita vissuta da artista non avevo messo a fuoco lo scopo comunicativo, che è essenziale. E nello stesso istante ho capito quale era, e che sta cambiando.
Ho passato 31 anni vivendo con lo scopo di affermare "Io esisto, uffa!" cercando quindi di farmi notare, accettare, rifiutare, amare, odiare, coccolare, ingiuriare, apprezzare. Saltellando come un'ossessa per un minuto di minuscola gratificazione, insoddisfatta di tutti i tentativi fatti.
Ora lo scopo comunicativo si sta trasformando in "Io non esisto, evviva!" perché esiste solo la Vita, che scorre in quella cosa che sono abituata a chiamare io, come l'acqua in un fiume. E quindi l'unica cosa che faccio è lavorare per liberare il letto del fiume dalle scorie, facendo malissimo a "io" a tratti. Ma la Vita ne gode molto.


PS: per evitare di continuare a nutrire "io" ho disattivato il mio account Facebook, non so per quanto. Nel frattempo alcuni dei miei venticinque lettori pubblicheranno i miei post, perché se scrivo è per essere letta. E forse lo faccio per "io", ma per ora continuo.

sabato 18 febbraio 2012

La via dell'artista ovvero del dio dentro

Ho dei postumi di sbronza che levati. Ma sarà la mia ultima sbronza. Perché alla fine non mi rende felice bere. E mentre sono a letto tentando di prendere sonno per riprendere forze, mi accorgo che vivo come un'artista da tutta la vita. Anche quando non lo sapevo. Anche quando semplicemente imitavo la vita altrui e cercavo di farmela aderire addosso e dentro. Ma ora che lo so può diventare entusiasmante.
Come Picasso che aveva i periodi in cui era concentrato su un modo di dipingere, così anche la mia vita va a periodi. E per tentativi, di cui a volte lascio tracce, a volte no. E in questi tentativi, come per tutte le creazioni, ci puo essere amore o sforzo, rabbia, testardaggine, pace, tecnica, ispirazione, ribellione.
Una volta finito, mi allontano da me di qualche passo e guardo il risultato, spesso massacrandomi da sola con i giudizi - ma questo cambiera', che sto cambiando periodo - e poi ci riprovo.
E poi d'un tratto capisco che e' cambiato il periodo. E cambia quindi il modo in cui ci provo, e così via, finche' l'opera sarà compiuta. Cioè quando sarò morta.
E adesso posso anche concedermi di dormire.

Dello stare fermi

Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.


mercoledì 15 febbraio 2012

Daniela, la cougar della politica italiana

Daniela Santanché è una delle persone che più mi sollecita orrendi sentimenti, vicini all'odio. La vedo in tv o leggo le sue dichiarazione e non riesco a fermare lo schifo, il fastidio, gli improperi anche sessuali, la rabbia, il disgusto, la riprovazione.
Ma visto che ormai mi è chiaro che quello che odiamo negli altri è solo un riflesso di qualcosa che ci infastidisce in noi, oppure di qualcosa che invidiamo, mi sto facendo molte domande.
Molte domande.
Molte.


PS: grazie a Massimiliano Galligani che mi ha ispirato il titolo

martedì 14 febbraio 2012

Ho paura del vuoto

Quindi mi ci butto. E troverò pienezza, perché sono la stessa cosa.


Ma voi non allontanatevi. Cazzo.


Ok, mi butto lo stesso.

lunedì 13 febbraio 2012

Lo zen e l'arte delle pulizie.

Oggi facevo le pulizie. E intanto che spostavo, spazzavo, spolveravo e sudavo mi rendevo conto che se uno passa il tempo a pensare di fare le pulizie, come ho fatto nelle ultime due settimane, o a studiare manuali su come fare le pulizie, la casa resterà sporca, anzi si sporcherà ancora di più.
L'unico modo per pulire casa è pulirla, cercando il metodo più adatto per noi. Per esempio a me non piace usare l'aspirapolvere, perché altrimenti non posso sentire Mozart o cantare Madonna. 


domenica 12 febbraio 2012

E' sempre di domenica

L'altro giorno ho letto questa pubblicità sacra che Brezsny ha dedicato alla Vergine per San Valentino:

As I meditated on what advice might purify and supercharge your love life, I got to thinking about a statement attributed to French poet Paul Valery. "Love is being stupid together," he said. There's an element of truth to this notion, but it's too corny and degenerate for my tastes. I prefer to focus on a more interesting and complete truth, which is this: Real love is being smart together. If you weave your destiny together with another's, he or she should catalyze your sleeping potentials, sharpen your perceptions, and boost your IQ. Your relationship should be a crucible in which you deepen your understanding of the way the world works. If you can't share your love with such a person, don't share your love with anyone.

E insomma, tutto il mio percorso adesso va in questa direzione, e anche i tarocchi che mi hanno fatto qualche tempo fa. Eppure oggi l'unica cosa che riesco a pensare è che resterò zitella, perché ho un QI talmente alto che è difficile farlo crescere ulteriormente. Forse sul potenziale addormentato da risvegliare e le percezioni da affinare ci sarebbe possibilità che qualcuno mi aiuti nel nome e per conto dell'amore, ma oggi è domenica. Quindi mi crogiolo nella malinconia come una lucertola nel sole d'aprile.

sabato 11 febbraio 2012

Metamorfosi ovvero l'insopprimibile obbligo di diventare liberi.

L'amore fa venire voglia di diventare migliori. Non c'è un cazzo da fare.
Io per amore sono diventata la dea Kali, ad esempio. Voi cosa siete disposti a diventare?

venerdì 10 febbraio 2012

Finché uno desidera la liberazione potete star certi che è in schiavitù

Non mi aspetto niente, che cavolo ne so di cosa accadrà. Ci provo, perché comunque ogni tanto mi attacco (nel doppio senso che mi faccio degli agguati e mi stringo alle cose invece di lasciarle andare).
Ma affronto le mie paure, le coccolo, cerco modi per avere soldi, imparo poesie, faccio le cose che mi piacciono, esco e fotografo il giocoliere all'angolo di piazzale Bologna, piango se c'è da piangere, rido se c'è da ridere, studio la fisica e i miti, scrivo ma soprattutto faccio quello che suggerisce la canzone qui sotto, I let it rock. And you? 

mercoledì 8 febbraio 2012

Omnia vincit amor et nos cedamus amori

A qualcuno va di lusso: nasce e già sa amare. Ad altri invece tocca la sfiga, o la fortuna, di doversi ribaltare e doversi fare del male per impararlo. Anzi, di doversi proprio uccidere. Ma prima ci si uccide, prima si risorge. E non è che posso sapere come risorgerò. Posso solo abbandonarmi al costante flusso del cambiamento. Sapendo che ciò che uccido è solo una parte, esterna ma profondamente radicata, incattivita ma profondamente spaventata di me. Ma il mio vero io, che è poi il mio vero Dio, risplenderà poi più forte.
Resta il fatto che morire è doloroso. 


martedì 7 febbraio 2012

Anselmo e Greta

C'era una volta a Milano un tagliatore di teste che aveva due figli, Anselmo e Greta.
Sua moglie morì, e si risposò con una rifatta di Segrate, che fingeva di essere una vera signora milanese. Non ci credeva nessuno, tranne il tagliatore di teste, perché la rifatta a letto era una bomba e lui non capiva più niente. Poiché mantenere in figli avuti da quella scema che aveva accettato di farsi diventare flaccidi gli addominali per partorirli impediva alla rifatta di farsi il botox due volte al mese, questa convinse il tagliatore di teste ad abbandonare i figli.
Quale occasione migliore della gita a Madonna di Campiglio per Carnevale per liberarsi di loro due, disse al marito. E lui il primo giorno della vacanza, dopo aver comprato lo skypass settimanale per tutti (per non destare sospetti), condusse i figli fuori pista. Mentre loro si divertivano sulla neve fresca, lui si girò dall'altra parte e scivolò lontano, veloce sui suoi sci carving.
Ma Anselmo era un bambino intelligente: aveva cracckato l'iPhone del papà, e letto i messaggi su Whatsapp tra lui e la matrigna, in cui decidevano come fare sparire lui e la sorella. Si era quindi procurato dei sassolini neri al parco Venezia (tra cui dei pezzi di fumo caduti ai ragazzini più grandi) e mentre il papà li portava fuoripista li aveva sparsi sulla neve.
Disse a Greta: Seguimi. E tornarono all'Hotel mentre la matrigna si faceva fare un massaggio drenante e il papà beveva whisky on the rocks per dimenticare di aver abbandonato i figli. Era un tagliatore di teste, mica un animale o uno zingaro.
Ma la matrigna urlò tutta notte, e non fece toccare nemmeno una tetta rifatta al tagliatore di teste che, sbronzo, voleva a tutti i corsi farsela. Quindi la mattina dopo il tagliatore di teste Anselmo e Greta ripartirono, e il tagliatore voleva solo una cosa: liberarsi dei bambini, tornare in albergo e farsi la rifatta dopo una pista. Di coca, non da sci.
Quindi andò ancor più lontano e abbandonò quei due cretini (che però non possiamo biasimare per la loro fiducia, che erano bambini) e se la filò di nuovo sui suoi carving.
Anselmo aveva capito, di nuovo, cosa stava per succedere (il che rende incomprensibile che si sia distratto proprio quando il papà se ne stava andando) ma aveva finito i sassolini. Aveva quindi lasciato pian piano cadere dei piccoli sputi colorati di nero dalla liquirizia. Si prese la sorella per mano e seguì le sputazze a ritroso, ma ben presto iniziò a nevicare. Le tracce si coprirono e loro vagarono nella vallata per tutto il pomeriggio.
Improvvisamente si trovarono davanti ad una casetta fatta tutta di droghe sintetiche. Anselmo e Greta, che avevano letto a scuola Hansel e Gretel, pensando che la casetta sia fatta di dolci, ne mangiarono un sacco. Restarono sballati 4 giorni, poi si svegliarono dentro la casa, con una strega che assomiglia incredibilmente a Madonna. La strega ha scoperto che il grasso dei bambini rassoda la pelle come nient'altro, e decide di mettere Anselmo all'ingrasso per poi ucciderlo e cospargersi del suo grasso.
E poiché nel frattempo vuole fare Pilates, decide di tenere viva Greta perché si occupi delle faccende domestiche.
La strega, nonostante voglia sembrare giovane, non ci vede una fava ma non cede e gli occhiali non se li mette. Per cui Anselmo per un po' sopravvive, perché quando lei controlla che il bambino si sia ben ingrassato, lui invece di darle il dito, le porge un rametto di salvia divinorum trovato per terra.
E va be' che la strega c'aveva pure la demenza senile, ma un giorno si scoccia e ordina a Greta di accendere il forno. Greta lo accende e poi le chiede: vieni a controllare se è abbastanza caldo. Lei va, e Greta con un'inaspettata mossa di capoeira la getta dentro il forno Whirlpool ventilato.
Ora mi sto scocciando e vado veloce: Greta prende le chiavi, libera il fratello che le dice, "Greta, pensavo fossi davvero scema, invece no", trovano il tesoro della strega (dischi di platino e Grammy Awards: la strega era Madonna) e lo mettono negli zaini, si prendono per mano, escono, fanno due passi e si trovano sulla statale. Passa una macchina con quattro universitari bolognesi in viaggio verso Madonna di Campiglio, i bambini si piazzano in mezzo alla strada e minacciano di accusarli di pedofilia se non li portano dal papà (e anche qui, parliamone di quanto sono scemi sti due fratelli). I bambini giungono in albergo, dove il papà, con le caccole bianche ai lati del naso si sta ubriacando di brutto mentre urla nell'iPhone sconcerie alla sua segretaria.
Vede i bambini, si riprende, li abbraccia, li informa che la rifatta l'ha lasciato per il massaggiatore, li carica in macchina e parte per Milano. Una volta a casa i bambini mostrano il tesoro della strega, il papà vende tutto su e-bay e compra un Mac a testa ad Anselmo e Greta. Smette di pippare, ma continua a fare il tagliatore di teste, che un lavoro con tante soddisfazioni dove lo ritrova.
E vissero tutti felici e contenti.


Lo so, nella foto c'è Lady Gaga e non Madonna. Pazienza

domenica 5 febbraio 2012

ACAB: Ah Che Assurdità Berselo

Due ore di fotografia desaturata, di bravi attori sebbene sempre con la stessa faccia e di un bel gusto per l'inquadratura.
Due ore "de guarddie", di fasci vecchi e nuovi e nuovissimi, di fratelli, di croci celtiche, di birre che non ho capito che marca sono, di immigrati scuretti ma bravi oppure bianchi ma stronzi. Di cose confuse come nella vita, che al cinema però rendono poco. Di attrazione per la violenza, ma con un tentativo poco convinto di segnare il confine che la violenza non può oltrepassare. Un tentativo che sa di toppa, messa giusto per non far infuriare (troppo) le polemiche.
Due ore di Romanzo Criminale ma con il casco, lo scudo e il manganello forniti nel nome del popolo italiano.
Due ore chiuse da una scena cui mi vorrebbero far credere che sia giustizia che chi ha picchiato dei manifestanti pacifici che dormivano alla Diaz a Genova ora le prenda da un manipolo di ultras fascisti in piazza Diaz a Roma.
Non me la bevo. No.
Eppure mi viene pena. Per i celerini, e per noi che pensiamo di averne bisogno per la nostra sicurezza.

sabato 4 febbraio 2012

Esperimenti di tristezza provvisoria

Per essere felici bisogna volerlo, scrissi su Facebook una volta. E quel genio di Clara mi rispose: allora dubita della tua volontà. E io dubito fortemente della mia volontà, che mi fa sempre rimandare o tradire le cose che amo di più per la paura di non farcela o di non reggerle. Ma cosa può la volontà di fronte all'inconscio? Poco, molto poco.
L'osservazione può tutto invece. Quindi mi osservo e scopro che do troppo peso alla tristezza, pensando (e già nella parola pensare c'è il germe dell'errore) che sia il contrario della felicità. E invece no. La felicità è uno stato che non posso descrivere. E se lo osservo non svanisce, si dilata, si diffonde, riverbera. E' dio, credo.
La tristezza invece, come tutte le cose di questo mondo (leggete non dico testi buddisti, ma un libro di fisica e capirete) è mutevole. Si forma, cresce, arriva all'apice, discende, svanisce. Allora per allenarmi a consolarmi da sola, che evidentemente da piccola non ho imparato e l'inconscio ne porta le ferite, faccio esperimenti: ad esempio leggo mail di quando io e Davide ci amavamo o penso a mia nonna Maria o al limite leggo un articolo di Belpietro. Sento torcermi lo stomaco, piango. Invece di lasciarmi sprofondare giù, osservo questa reazione e magia, in qualche secondo è sparita.
Mi rafforzo io, e fotto l'inconscio. E posso finalmente dormire.

venerdì 3 febbraio 2012

Il medio a Cartesio

Un monaco chiese: «Perché non posso vedere la verità?».
Joshu disse: «Non è che la verità non sia qui; è solo che tu non la sai vedere”.
Il monaco disse: «Cos’è, allora?».
Joshu disse: «Perdere la verità»


mercoledì 1 febbraio 2012

Il calcolo delle probabilità

La mia amica XX mi ha raccontato che quando dormiva da XY, ex fidanzato, lui lasciava sempre la porta di casa aperta, cioè chiusa ma senza giri di chiave, perché l'idea di essere intrappolato in caso di incendio o terremoto o altra catastrofe gli metteva l'ansia.
Lei invece non riusciva a dormire serena sapendo che la porta era aperta, perché ci sono malintenzionati in giro quindi insisteva per chiuderla. Ed era certa della bontà delle sue obiezioni.
Poiché mi rompo il cazzo a commentare sempre vi lascio due chiari indizi (il titolo e la canzone) per capire come la penso.