mercoledì 31 luglio 2013

Take the red pill

Noi giochiamo con cose che spariscono continuamente e, una volta sparite, è impossibile farle rivivere.
Henri Cartier-Bresson

Ecco, poi basta che ricominci a meditare, e mi ricordo precisamente perché faccio alcune cose e altre no, e capisco come dovrei farle, senza nemmeno pensarci. E tutto il mondo riprende a convergere in un senso, fatto di cose facce profumi e colori che si fanno e disfanno come nuvole, senza far male a niente e a nessuno.
Imparare a vedere, niente di più serve. Anzi sì, una cosa in più: non rifiutare ciò che si vede.



lunedì 29 luglio 2013

Di soldi, potere e altre sciocchezze


Prendi senza orgoglio, rinunzia senza difficoltà
Marco Aurelio 

Non so, probabilmente l'argomento è noioso, banale e rischioso nonché decisamente poco usuale per queste mie virtuali pagine. Ma probabilmente questa faccenda dei soldi, del potere e delle scelte di vita sottese di cui sto per parlare è qualcosa che ultimamente mi tocca.

Allora: due fatti da cui partire. Ecco il primo.
L'altro giorno la mia amica Silvia in spiaggia a Santa Margherita Ligure viene avvicinata da un bambino biondo di 6 anni circa, che aveva passato l'intera giornata in compagnia della sua tata di probabili origini sudamericane.
Il bambino le chiede indicando il marmocchio di Silvia: questo è tuo figlio? Sì, risponde lei. Lo sai che è mio amico? ribatte il bambino. Silvia: no, non lo sapevo. Mi fa piacere però. A proposito, chi sei tu?
Il bambino non risponde con il suo nome, che non sapremo mai.  Ma le chiede: Conosci la famiglia xy di N.? (Nascondo i dati rilevanti per non incorrere in problemi di privacy). No, risponde Silvia, dovrei? Il piccolo risponde: mah, mio papà ha un'industria. Silvia, che è proprio la persona giusta per essere titillata da notizie di questo tipo, avvicina la tata, che rivela che il bambino è figlio di seconde nozze di un famoso, anzi famosissimo, imprenditore italiano.

Il secondo fatto riguarda invece un'artista, amica di amici, che ci racconta che un importante museo italiano le ha chiesto di tenere una masterclass di performance a un gruppo di manager selezionati. Ci racconta che ha fatto fatica a trovare il tema, e poi ci interroghiamo sul perché possa essere interessante per dei manager un lavoro del genere.
Perché, è la conclusione a cui siamo giunti, per fare il manager ad alti livelli ti insegnano prima, nelle varie Bocconi, Luiss ecc, a strapparti l'anima di dosso. Poi, quando ti hanno reso una macchina che accumula relazioni, informazioni, dati e soldi con l'unico scopo del successo, si accorgono (insomma, il sistema si accorge e si autoregola di conseguenza) che dell'anima, giusto un po', ne hai bisogno e provano quindi a reinserirtela con attività come questa. Sempre in funzione della produttività s'intende: problem solving, team leadership, responsabilità sociale d'azienda e quelle cose lì.

Ecco quindi nascere le mie domande sul tema, risposte invece come sempre ne ho poche. Ma davvero può essere felice un bambino che a sei anni è totalmente investito dall'aurea di potenza della sua famiglia, tanto da coincidere con essa e non presentarsi con il suo nome? Che ne sarà di lui, della sua identità, dei suoi desideri, delle sue aspirazioni, del suo io, quello vero, che per il suo ego basta e avanza il cognome paterno?
I soldi non sono lo sterco del demonio. Mi piacciono e sono utili (ne avrei pure bisogno ora) e non credo sia possibile stabilire l'uguaglianza di tutti nella ricchezza. Ma davvero vale la pena dedicare la propria vita al guadagno dei soldi? Non c'è forse un buco che spinge a volerne di più, sempre di più? Non c'è, del resto, un buco anche nello spenderli tutti come a lungo ho fatto io? Non c'è un buco in chi sente di non meritare di guadagnarli, e in chi pensa che valga la pena zittire tutto e dedicare la vita ai soldi e alla loro gestione e al loro accumulo?
Non è un controsenso farsi strappare gli anni migliori senza sperimentarsi in cose nuove, che non si possano pagare e non si possano mostrare s'intende, per poi essere obbligati a 40 anni a farsi quasi spaventare nell'incontrare parti di sé sconosciute? Non è ingiusto che troppe persone al mondo non possano fare altro che sopravvivere?
Banalmente, e vi avevo avvertiti all'inizio che era banale tutto ciò, i soldi sono solo carburante. La macchina in cui metti questo carburante affinché la faccia avanzare sei tu, e con questo dobbiamo fare i conti. Perché guadagno questo carburante? In che modo lo guadagno? Dove sono diretta? Come passo il tempo durante il viaggio? Posso usare un'auto elettrica per rispettare l'ambiente e arrivare lo stesso? Sono domande ineludibili. Confondersi e pensare che il carburante sia sufficiente, mentre ci rubano o vendiamo la macchina, è da idioti.
E poi, e una risposta ce l'ho, non è che soldi, potere ed "essenza vitale" (non so come altrimenti chiamarla) non possano convivere. Per questo ho messo Marco Aurelio in esergo.

mercoledì 24 luglio 2013

Un post che dice la verità, finalmente.

In questa notte di luna piena, con le zanzare impazzite di caldo e Lana Del Rey in loop, sto per raccontare una verità.
Ma non di quelle che dico di solito, cioè le cose che ho capito o, meglio, presumo di aver capito. Ma la verità su ciò che sento.
A settembre, e precisamente il 14, partirò per Spilsby.
E me la faccio sotto dalla paura. Ho paura di ciò che (non) può accadermi a Spilsby e della bruttezza degli inglesi? No, ho paura di ciò che diventerò. Di ciò che resterà di me, di quello che sono abituata a pensare di essere e a chiamare io, in un contesto totalmente diverso.
Senza i miei amici, senza Milano che amo e odio, senza i due uomini che ho amato -amo- negli ultimi anni, senza quelli con cui mi sono divertita, senza il mio analista, senza mamma e papà a 40 minuti di macchina, senza sorelle, senza nipoti, senza il tabaccaio che mi conosce, senza la mia casa blu, senza una casa qualsiasi a cui tornare, senza teatro, senza bicicletta, senza tutti i libri nella libreria, senza le tonnellate di vestiti nell'armadio. Senza tutto ciò che dico mio, e dicendolo faccio in modo che lasci un segno in me, fino a diventare me, in un intrico complicato ma comprensibile di influenze reciproche.
A quasi 33 anni (li compirò mentre sarò già là e quindi sarò pure senza festa di compleanno, che mi piace così tanto organizzare) me ne vado, lascio tutti gli ormeggi. Tutte le certezze costruite, e porto appresso solo me. E la volontà di fare non un'esperienza, come mi dicono tutti quando dico che partirò, ma un esperimento. Scopo dell'esperimento: scoprire chi sono io, al di là di quello che ho e delle relazioni in cui sono già inserita. Quali sono i miei limiti? I miei punti di forza? Che cosa mi piace? Che cosa voglio davvero? Mi verrebbe quasi voglia di cancellarmi da Facebook un'altra volta, affinché l'esperimento sia più completo, ma credo che non avrò il coraggio di farlo.
E ho paura di questo esperimento, nonostante all'estero abbia già vissuto e viaggiare da sola mi piaccia. Ho paura perché una parte di me è convinta che alla mia età dovrei avere già superato la fase sperimentale, e essere madre di famiglia, possibilmente senza conto in rosso ogni due mesi. E avere capito già cosa voglio e cosa posso fare, e avere avuto successo e continuare a coltivarlo.
E invece mollo tutto. Senza essere certa di tornare. Senza sapere chi davvero tornerà. Senza sapere chi e cosa mi aspetterà al ritorno.
Me ne vado consapevolmente a fare l'amore con la paura. Spero sia una buona amante. Spero che l'amore la renda innocua.




giovedì 18 luglio 2013

Ego trippin is making me sick

Ti guardo ma vedo me.
Riflessa, scomposta,
parcellizzata, un pezzo di cuore lì,
una mano là.
Un desiderio a destra e un orrore a sinistra.
Dove sei? 
Perché non ti raggiungo?
Perché debordo invado sconfino prendo possesso inghiotto annullo?
Voglio te.
Ho la nausea di me. 
Fatti scoprire. Annientami.
Non mi voglio più.

 

domenica 14 luglio 2013

Profondità

Ho un desiderio che mi pervade
scritto nelle linee dei polpastrelli
nelle radici dei capelli
nei villi intestinali
nelle stelle che mi abitano.
E non esiste soddisfazione che lo possa placare.
Non cosa, non uomo, non successo, non grandezza.
Il silenzio, forse, e il vento.
Crepita rotola e urla a tratti
ma poi morbido si apre e riposa.
Per lui vivo.
Grazie a lui vivo
Nonostante lui vivo.
E' lui che mi vive.



venerdì 12 luglio 2013

Mistica da salotto

Ieri è stata una giornata faticosa.
Mille decisioni da prendere e problemi da affrontare.
Alla sera non volevo uscire, poi due amici mi hanno convinto e sono andata al Conservatorio per concerto e film all'aperto.
E lì, mentre mi godevo la brezza sulle spalle scoperte (mi ero pure messa un abito a pois di mia mamma, superelegante, ma sdrammatizzato dalla mia vena hipster) e gli uccelli che si rincorrevano sopra di noi in un tramonto morbido come un gelato al pistacchio, un coro ha cantato Veni creator spiritus.
E silenziosamente ho iniziato a piangere.
Ed ero felice di questo pianto che mi riconciliava con il mondo, con me stessa, con le mie memorie di cattolica, con la mia nuova sensazione che il mondo sia pervaso da un divino che è possibile cogliere e distillare, e che anzi, è in attesa del nostro sforzo perché questa trasformazione della realtà avvenga.
Ero felice e amavo tutte le persone accanto a me, principalmente snob del centro di Milano. Ma io li amavo, tutti. E speravo che tutti piangessero con me, e me ne fregavo del fatto di piangere in mezzo a sconosciuti. Perché non erano sconosciuti. Eravamo fatti della stessa materia/energia. Siamo fatti della stessa materia/energia.
E tutto quello che vedo delle persone è solo un involucro. Dentro (oltre) ci sono strati di mondo che aspettano di dispiegarsi e che potranno farlo solo quando io li guarderò con occhi nuovi, aperti, dispiegati, distesi, amanti.
La responsabilità della bellezza o dell'orrore del mondo in cui vivo è sempre e solo mia. E' sempre e solo tua.



martedì 9 luglio 2013

Non studiare, ma vivere.

"Il disinteresse non ha valore né in cielo né sulla terra; i grandi problemi esigono tutti il grande amore e soltanto spiriti rigorosi, netti e sicuri, soltanto gli spiriti solidi, ne sono capaci. Altro è se un pensatore prende personalmente posizione di fronte ai suoi problemi in modo da trovare in essi il suo destino, la sua pena e anche la sua maggiore felicità, altro è se si avvicina a questi problemi in modo impersonale, cioè se li tocca e li attinge solo con pensieri di fredda curiosità. In quest’ultimo caso, niente può risultarne, giacché una cosa è certa, ed è che i grandi problemi, ammesso che si lascino raggiungere, non si lasciano guardare dai deboli e da esseri dal sangue di rana."

F. Nietzsche, La gaia scienza



mercoledì 3 luglio 2013

Esercizi di vita quotidiana

Per motivi che è meglio non raccontare, negli ultimi giorni ho incontrato la meschinità, la stupidità, la pochezza degli esseri umani.
E la cosa che mi stupisce è che mi arrabbio, e mi verrebbe da vendicarmi. Ma poi sorge anche un senso di pena, e vorrei dire a questa persona: "Faccela, ti perdi dietro a cazzate per evitare di guardare la tua tristezza e la desolante condizione umana, che nascondi dietro un senso di superiorità, che tu stessa sai essere precario e posticcio".
Come sempre, tutto quello che vediamo negli altri, è un riflesso di ciò che vediamo in noi: ciò che i comportamenti altrui ci provocano è ciò che proviamo verso gli stessi meccanismi all'opera in noi.
E allora questa rabbia e questa pena le guardo. Mi astengo dal praticare la vendetta (ah, che fatica!) e mi astengo dal dire a questa persona "Faccela". Perché io non sono nessuno per dirglielo, e farlo sarebbe esercitare la stessa identica presunzione che questa persona ha nei miei confronti. E provo a guardare che cosa ribolle più in fondo a me, oltre al fastidio per questa situazione, fatta alla fine di piccolezze, su cui nemmeno per me vale la pena soffermarmi.
Perché poi in fin de conti, questa vita è tutta finta. E' un sogno, non vale la pena prendersela. E io voglio svegliarmi, e per svegliarmi devo uscire da me, dalle mie reazioni istintive. Cercare di far uscire altri da loro stessi non mi aiuterà in alcun modo.
Al massimo l'esempio di una vita vissuta diversamente, in cui a piccolezza non si risponde con piccolezza, li può aiutare. Ma io no lo so, io non sono nessuno per saperlo.
Non essere nessuno è estremamente liberatorio.



lunedì 1 luglio 2013

Fasi

Quando sei piccolo, dai quello che ricevi. Non hai altra scelta. Sei solo il risultato di quello che ti è stato dato e hai imparato. Ti danno amore, e tu sai darlo. Ti danno odio, tu impari a dare quello. Intorno a te rubano, imparerai a rubare. Intorno a te pregano, imparerai a pregare. Intorno a te giudicano, imparerai a giudicare e così via. Alcuni esseri umani si fermano qui, e saranno solo copie di vite altrui, incapaci di scegliere per davvero. Vivranno nella reattività.

Alcuni esseri umani capiscono invece che possono ribaltare il meccanismo, ovvero che si riceve ciò che si dà. Fa malissimo a tratti, è quasi innaturale, ma è il prezzo della libertà. Scegliere che cosa immettere nel ciclo del mondo, di che cosa liberarsi e che cosa nutrire. Questi esseri umani vivranno nello sforzo costante di liberarsi.

Altri umani, pochi credo, fanno un passaggio ulteriore: danno e ricevono quello che c'è, senza chiedersi perché e percome. C'è il sole? Evviva. Piove? Evviva. Mi amano? Evviva. Non mi amano? Evviva. Avranno delle predilezioni per qualcosa e per qualcuno, ma queste non saranno predilezioni scelte in contrapposizione rispetto ad altro, ma semplici inclinazioni. Tendenzialmente ameranno tutto. E vivranno in una beatitudine che non riesco nemmeno a immaginare.