mercoledì 31 ottobre 2012

Protect me from what I plan

L'Appeso e l'Eremita. Un giorno l'uno, un giorno l'altro. E l'Arcano senza nome che si intervalla.
Ovvero: accumulo attesa discernimento, e poi azione netta.
Vado a meditare per qualche giorno. Ho fatto tutte le cose che dovevo fare prima di partire, e ho già programmato tutto per il rientro. Perché sono una brava Vergine, ansiosa, figlia prediletta del mio tempo in cui tutto va pianificato incastrato indirizzato a scopi precisi e possibilmente redditizi.
Ma in realtà magari rientro e sono diventata per davvero un samurai.
Kiai!
Ovvero: ma che ne sai?

martedì 30 ottobre 2012

Lezione di grammatica: le persone del verbo

Oggi ho scritto ad un amico che la mia sensazione dominante in questo periodo di crisi economico politica culturale individuale è la voglia di urlare "ridatemi il mio futuro".
Volevo poi scriverlo come status su Facebook, ma ci ho ripensato, senza chiedermi perché non lo facessi.
Ora mi è chiaro. Non l'ho scritto perché ormai lo so: non c'è nessuno da biasimare. Quel voi con cui me la prendo è solo un'altra manifestazione dell'io. Dell'ego, per la precisione. 
L'ego che si attacca a ogni ombra che vede passare. L'ego che crede a tutto e contemporaneamente non crede a niente, perché non sente niente realmente, ma immagina tutto, intellettualizza tutto. L'ego che maschera la vigliaccheria con la presunzione. L'ego che non vuole cambiamenti. L'ego che scende a compromessi. L'ego per cui il sacrificio e il senso di colpa sono encomiabili gesti di pubblica salutare doverosa umiliazione. L'ego che scegli i simboli del potere, invece del potere reale della scelta. L'ego che sempre scusa me, e sempre accusa gli altri. L'ego che sempre accusa me per paralizzarmi. L'ego invidioso mentre disprezza. L'ego che dà, solo se può ricevere qualcosa in cambio. L'ego che si finge modesto e non osa dire "io voglio". L'ego che preferisce morire in vita piuttosto che assumersi responsabilità. L'ego che dice di amare solo per paura di restare solo. L'ego che ipotizza futuri che in realtà sono vomiti di passato. L'ego che vuole compiacere, perché rischiare di essere felici è troppo complicato da gestire. L'ego che ama la sicurezza che deriva dal ripetere continuamente gli stessi errori. L'ego che trova pretesti per rimandare il fare e continuare a pensare. L'ego che mi fa arrivare a sera stremata. L'ego geloso e paranoico. L'ego avido e truffatore. L'ego che vuole marchiare a fuoco ogni cosa con il suo nome, per poi buttare via tutto quando servono cura e attenzione. L'ego che pensa che la foto qui sotto non andrebbe postata, anche se mi piace, perché è sconveniente dire che mi piace e che anzi mi piacerebbe aver posato come modella. 
Voi con cui me la prendo, siete me. E questo, ripeto, lo sapevo. Quello che non sapevo, o non abbastanza, o che un ego più prepotente degli altri mi aveva fatto dimenticare, è che se Kurt Cobain disse: "Voi mi odiate? E io per dispetto vi amo tutti", ecco, io vi amo, miei ego. Perché siete fragili e finché qualcuno non vi ama, continuerete a protestare e chiedere udienza e tormentarmi. Io vi amo, e amandovi, vi farò crescere, come da migliore tradizione pedagogica. 
Non temete, miei piccoli ego, ci sono io per voi. Diventeremo uno. E inventeremo una grammatica diversa. In cui tu non esclude io, noi non taglia la gola a voi,  essi si incontrano con ella danzando. In cui io esiste, mescolato con il mondo, invece che recluso e fatto a pezzi nella testa. 





lunedì 29 ottobre 2012

Parole in prestito, di nuovo.


Se ti pieghi ti conservi,
se ti curvi ti raddrizzi,
se t'incavi ti riempi,
se ti logori ti rinnovi,
se miri al poco ottieni
se miri al molto resti deluso.
Per questo il santo preserva l'Uno
e diviene modello al mondo.
Non da sé vede perciò è illuminato,
non da sé s'approva perciò splende,
non da sé si gloria perciò ha merito,
non da sé s'esalta perciò a lungo dura.
Proprio perché non contende
nessuno al mondo può muovergli contesa.
Quel che dicevano gli antichi:
se ti pieghi ti conservi,
erano forse parole vuote?
In verità, integri tornavano.

Lao-tzu


sabato 27 ottobre 2012

Obiezione di coscienza

Tutte le disgrazie di un uomo derivano da una cosa sola, che è il non sapersene stare seduti da soli in una stanza.
Blaise Pascal
Arrendersi alla realtà come quando ci sdraiamo su un letto soffice con tutto il nostro peso, o come quando stavamo in braccio alla nostra mamma. O come quando il mare che sembrava inizialmente gelido, ci avvolge tiepido e luminoso. O quando respiriamo affannati e sfiniti dopo aver fatto l'amore. 
L'unico sforzo che davvero dobbiamo fare, è astenerci dal fare, e concederci l'abbandono. Non esistono nemici, la realtà ci sostiene, se abbiamo fiducia. 
Io guerre alla realtà non ne dichiaro più. Tanto le ho perse tutte, anche quelle che mi sembrava di aver vinto. Perché l'unica azione che non fa danno né a me né agli altri, è quella che nasce spontanea, vigorosa, piena, potente dall'abbandono totale. 
Sembra contraddittorio, ma non lo è. 


giovedì 25 ottobre 2012

A proposito di Una vita nel teatro ovvero l'umanità

"La bravura in teatro è la capacità di dare.
L'attore eccelso non è colui che si sforza di stabilire, di codificare, ma colui che crea per il presente, liberamente, senza fermarsi a rivendicare il valore di ciò che ha appena fatto o ad ammirare compiaciuto la creazione. [...]
Una vita nel teatro è una vita spesa ad elargire.
È una vita mobile, instabile, in cui non si è sicuri né di trovare lavoro né di trovare consensi.
Il futuro dell'attore è reso incerto non solo dal caso, ma dalle necessità, vale a dire intenzionalmente [...]
L'abilità si acquisisce con una pratica costante e proviene da miglioramenti così modesti che sembra di non star facendo alcun progresso. L'abilità si perde allo stesso modo, dando per scontate abitudini conquistate a duro prezzo senza rendersi conto che ci stanno abbandonando. Al termine di uno spettacolo, alla fine di una stagione teatrale, l'unica creazione che rimane all'attore è la propria persona.[...]
Abbiamo tutti bisogno d'amore. Abbiamo tutti bisogno di svago e di amicizia in un mondo in cui la durata di un impegno fra noi e gli altri (un impegno peraltro intensissimo) si limita per lo più alla durata delle repliche dello spettacolo.
Dice Camus che l'attore è un ottimo esempio per capire che la natura umana è una fatica di Sisifo.
E' sicuramente vero, e non è certamente una novità, ma c'è qualcosa che voglio aggiungere: la vita che si svolge in un teatro non deve per forza essere considerata un'equivalente della "vita". È vita."

tratto da David Mamet, Note in margine a una tovaglia. Scrivere (e vivere) per il cinema e per il teatro.


mercoledì 24 ottobre 2012

Senza titolo.

Quando inizi a dare per certo di aver capito delle cose, è proprio in quel momento che smetti di averle capite.
La comprensione dura un attimo, l'attimo dopo è già tutto diverso, se tenti di rimanere appeso a quello che avevi capito un attimo prima per sentirti sicuro, rischi di impiccartici con le tue certezze.
La mia amica Silvia mi direbbe: iotelodico, me lo dice sempre a mo' di avvertimento. Io mi dico: iomelodico.



martedì 23 ottobre 2012

Sarei stata partigiana? Ovvero riflessioni sulla vigliaccheria

Mi è capitato spesso di chiedermi cosa avrei fatto se fossi vissuta negli anni della Resistenza. Sarei stata partigiana? Sarei stata fascista? Sarei stata neutrale e quindi concentrata solo sulla sopravvivenza mia e della famiglia?
Non lo so, e non posso giudicare le scelte fatte dai singoli esseri umani che si sono ritrovati a vivere in quell'epoca (che prendo ad esempio perché è quella più vicina a noi ad aver condotto moltissime persone verso scelte di campo vere, senza tentennamenti, pericolose). Posso guardare la storia con i miei occhi di adesso, occhi formati (deformati in qualche senso) anche dalla conclusione della guerra, dalla Storia che ne è seguita, dalle storie che mi hanno raccontato, e concludere che mi sarebbe piaciuto essere partigiana, sebbene sappia che anche i partigiani usavano le armi, che non amo, e hanno compiuto nefandezze. Le cose umane sono spesso sporche, ma considero preferibile sporcarsi le mani che tentennare sempre.
Ma la cosa a cui penso di più oggi, e che mi ha portato a scrivere questo post è che alla fine quello che conta nelle scelte che contano è restare fedeli alle consapevolezze acquisite.
Vale a dire: se mio nonno una volta acquisita la consapevolezza che il fascismo era una merda, si fosse iscritto al Partito Fascista solo per mantenere più agevolmente la famiglia, lo considererei un vile.
Se invece il suo vicino di casa non raggiunse tale consapevolezza, per educazione indottrinamento obnumilamento lungo un ventennio, e decise di scendere a patti con il regime fascista perché doveva provvedere a 8 figli, non saprei cosa imputargli.
Ognuno ha degli strumenti a disposizione per conoscere il mondo e meno ne vengono forniti, meno ne saprà cercare da sé, e non potrà evolversi verso gli stadi più alti della vita, quelli meno governati dalle cose materiali. (Corollario di questa frase è la scarsa importanza data all'educazione reale degli esseri umani in Italia: gli esseri formati sono pericolosi perché rischiano di diventare liberi. Ma qui divaghiamo).
Ma se per esempio io scopro cosa funziona e cosa non funziona nella mia vita, mi redigo una mentale lista delle cose che devo fare e delle cose che non devo fare (e non perché qualcuno mi impone o vieta di fare qualcosa, ma perché capisco che sono la via per la mia personale felicità e perché voglio essere aderente a me stessa), se poi questa lista non la seguo perché troppo impegnativa, sono una poveraccia.
Perché voler tornare indietro dalle consapevolezze acquisite è l'atto più vigliacco che si possa fare.


sabato 20 ottobre 2012

Seguire Wilfred ha delle conseguenze.

Gli uomini hanno un solo obbligo, diventare liberi.
Visto che è troppo pesante, se ne inventano mille altri: diventare ricchi, essere fedeli, non arrabbiarsi, essere buoni o talmente potenti da poter essere stronzi, andare in palestra, non scaccolarsi in pubblico e meglio nemmeno in privato, abbinare bene i colori, inventarsi app per l'iPhone, denigrare i tifosi di altre squadre o partiti politici, aspettarsi premi o punizioni per i propri comportamenti invece di fare quello che davvero vogliono.
All'aumentare del grado di civilizzazione (supposta), aumentano le regole da seguire. Ce le insegnano da bambini, per rendere possibile la convivenza e non rompere i coglioni agli adulti che se danno retta ai bambini gli viene voglia di diventare liberi, e poi per tutta la vita pensiamo che siano lo scopo e non un mezzo per raggiungere il vero scopo: la scoperta di noi stessi, e quindi degli altri in relazioni vere.
Finiamo per essere dei perfetti cani domestici. Inappuntabili da mostrare in società, svuotati degli istinti vitali e con un'intelligenza mal indirizzata verso cose stupide che ci conducono all'infelicità.
Che triste sorte, bau bau. (sottovoce).


venerdì 19 ottobre 2012

Priorità

"No, scusa, non possiamo vederci in questi giorni. Seguo progetti importanti: cerco pezzi di metallo per il mio nido come una gazza ladra, e nel tempo libero inseguo la mia coda come un cane con difetti nel corredo genetico.
Scusa davvero, ma non posso."



lunedì 15 ottobre 2012

Ciascuno a suo modo

In that case, I’ll miss the thing by waiting for it
Franz Kafka

Nietzsche. Leggerlo è ultimamente il mio modo per non illudermi di poter vivere una vita tranquilla. Mi do le cose che mi servono, mi voglio bene, cerco soldi casa lavoro coltivo amore amicizie rispetto e tutto ciò che mi piace.
Ma non voglio, e qui decido da me la mia lieta condanna, pensare di avere la coscienza apposto, di aver svelato il mio mistero, di aver capito quel che c'è davvero da capire solo perché le contingenze della vita  in questo momento, che tanto sarà breve, giocano a mio favore.
E' difficile da accettare anche per me, ma chi sono io per rifiutare la mia natura?



venerdì 12 ottobre 2012

Perché non voglio credere a niente.


"La realtà è quella cosa che, anche se smetti di crederci, non svanisce."
"Lo strumento fondamentale per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Se puoi controllare il significato delle parole, puoi controllare le persone che devono usare le parole."

How To Build A Universe That Doesn't Fall Apart Two Days Later, Philip K. Dick

Stamattina ho letto la prima delle citazioni che leggete qui sopra, poi ho trovato anche l'altra e ho pensato che dalla fantascienza arrivano delle cose pazzesche. Ma soprattutto ho pensato a quante energie spreco e blocco per credere, invece di lasciarle fluire nella realtà.
Convincimenti, ipotesi, opinioni, progetti. Addirittura spesso quando medito sento talmente poco la realtà del mio respiro e ho un tale bisogno di controllare che sto davvero respirando, che finisco per andare in ansia. Allora accetto la mia ansia, e questa svanisce. Ma la cosa stupefacente è che di fronte all'evidenza che respiro, ancora non lo percepisco come un fatto reale.
Ho bisogno di credere. Tutti noi esseri umani abbiamo bisogno di credere. E allora abbiamo inventato gli dei, la religione, la politica e il calcio. Addirittura abbiamo inventato la finanza, e i capovolgimenti mentali necessari per credere alla finanza sono pazzeschi. E in effetti questa tremenda invenzione cambia le nostre vite, quelle che crediamo essere la realtà delle nostre vite. Qualcuno diventa mega ricco, mentre tutti gli altri si impoveriscono e fanno vite miserevoli credendo di essere davvero poveri, o da meno rispetto a chi ha creduto talmente nella finanza da accumulare cose che non gli sopravviveranno. 
I faraoni avevano talmente bisogno di credere di essere faraoni da mettere i loro beni nelle loro tombe, caso mai qualcuno si dimenticasse di chi erano stati.
Ma potremmo fare benissimo a meno di tutto ciò, se ci arrendessimo alla realtà. 



giovedì 11 ottobre 2012

Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Non sono stata creata, se sono stata creata, per scegliere tra Alfano e Berlusconi, tra Bersani e Renzi, tra la Minetti politica e la Minetti cantante, tra l'iPhone e il Galaxy, tra la Punto e la Jaguar, tra la crisi del capitalismo e il modello cinese, tra sfruttare ed essere sfruttata, tra amare uno solo e odiare tutti, tra cosechesifanno e cosechenonsifanno.
Fuori c'è la prima nebbia milanese. E io sono viva. E voi lo siete. Ma non chiedetemi altro. Che se non sa rispondere Montale, perché dovrei esserne capace io?



mercoledì 10 ottobre 2012

C'è sempre un momento giusto per fare qualcosa. Ora.

Sto scrivendo un racconto. Perché ne ho voglia. Ed è l'unico modo per sopravvivere, fare quello che si ha voglia di fare, in mezzo a quello che si deve fare.
A volte sbalordisco per la mia stessa saggezza. E sempre sbalordisco per la mia capacità di ribadirmi continuamente le stesse cose senza mai crederci fino in fondo. Sono un pozzo di saggezza, senza fondo. 


martedì 9 ottobre 2012

C'è una crepa in ogni ragionamento, è da lì che entra la luce. O forse esce.

Ieri ragionavo sul fatto che i bambini imparando a parlare non riescono a non credere nell'assoluta identità tra un oggetto e il nome che lo designa e che sentono ripetere continuamente. Si sforzano tantissimo nell'impresa di impossessarsi del mondo, di far coincidere il prodotto del loro apparato fonatorio al mondo. E pure si sforzano per sentirsi dire bravi dai genitori, e si illudono che quando parleranno gli altri finalmente li capiranno. Ma non sanno che in realtà ci sono molti modi per dire una cosa, e non solo perché esistono tante lingue. E perdono pian piano il loro potere magico di creare il mondo, perché ne accettano uno che gli viene già dato, e non inventano più altri modi per chiamarlo/ricrearlo.
Ad esempio oggi pensavo di essere sveglia, e poi invece ho aperto gli occhi aperti e ho visto che stavo su una fune. E nessuno mi ci aveva messo, ci stavo, ci sto. E ho tre possibilità: A. sperare in un colpo di vento o in qualcuno che tagli la fune e così cadere (non mi piace) B. tornare indietro C. continuare ad andare. Visto che le possibilità di cadere sono uguali sia tornando indietro che proseguendo, andrò avanti.
E per concludere:

Quello che non affronti, si ripresenta.
Quello che cerchi, lo stai già trovando.
Quello che non fai, non esiste.
Quello che ti fa paura, è la cosa da fare.
Quello che ti rubano, te lo devi riprendere.
Quello che vuoi riprendere, non è detto che tu lo debba rubare a tua volta.
Quello che riprendi, lo puoi nascondere, oppure regalare.
E infine, molto importante: quello che ancora non hai, non potresti regalarlo. Ma quando lo regalerai, allora ce l'avrai.



sabato 6 ottobre 2012

Banalmente, i milanesi ammazzano il sabato

Oggi ho fatto un sacco di foto. Fare foto mi consola. Non so precisamente da cosa, dal mondo che mi sfugge di mano probabilmente. Mi aiuta a osservare, a stare ferma, a stare nel mondo. 
Ho pensato spesso ultimamente di essere autistica, anzi, che tutti in qualche forma lo siamo, per due motivi. Il primo è che pirandellianamente viviamo solo nel nostro mondo e comunicare davvero con gli altri è impossibile, il secondo è perché il mondo sa essere così faticoso, che se anche qualcosa ci arriva, spesso sarebbe meglio non averne nessuna notizia. E allora l'autismo è una salvezza.
Soprattutto a Milano. 

Brenta, supermercato.
Tutti sbuffiamo, cespo di lattuga compreso, pensando "Ma non ci puoi venire in un altro momento a fare la spesa?", e per la rabbia che siamo borghesemente tenuti a mascherare, ci facciamo piccoli dispetti con i carrelli e ci guardiamo male per un tubetto di dentifricio in sconto. E non salutiamo. Io sì, ma mi devo sforzare. Oggi mi dovevo sforzare. 

Duomo, pomeriggio
Sembra la festa di paese, solo un paese grande. Manifestazioni ogni 3 passi, senza grazia gusto e senso. NBA, Virgin Activ, corso di Tai Chi, temporary shop del biologico con Marco Columbro testimonial in foto e in presenza, Hare Krishna e intagliatore di rape e carote. Pensandoci bene gli ultimi due mi piacciono, ma è il contesto. Non so. Tutti felici a comprare, tutte con le sneaker con la zeppa di Isabel Marant e simil-tarocche. Che però nel resto di Europa si vendevano l'anno scorso... 
Non so, un sapore di provincia, senza i benefici della provincia. E io dalla provincia me ne sono andata per scelta. 

Via Torino, crepuscolo
Passeggio con un amico, che sta per altro cercando di dirmi una cosa seria, mentre io mi sforzo per resistere all'autismo che mi dice: "Chiuditi, è per il tuo bene" Di fronte a me, tra la calca, una ragazza e una donna si trovano a dover superare lo stesso punto del marciapiedi in due direzioni opposte. Tipico momento di imbarazzo e finte alla Neymar, che si concludono con la signora che urla con pesante accento milanese "Ma allora, ti vuoi levare dai coglioni, sì o no?". La ragazza si arrende e le cede il passo. Le sorrido e tento di scambiare due parole, ma non è molto per la quale nemmeno lei. Se ne va. 

Corso Lodi, sera
In bicicletta, provata dal pavé, sento un rumore forte e un urlo, mi giro spaventata. Ma è una signora tirata a lucido e ingioiellata per il sabato sera, che scende dalla Smart urlando "Ma proprio un marito coglione doveva capitarmi?" rivolta al conducente, presumibilmente il suddetto coglione. Sbatte lo sportello, sbatte i tacchi a terra, rischiando pure di romperli considerata la stazza, e si avvia verso la libertà. Ma arrabbiata. E che libertà c'è nella rabbia?

Corvetto, adesso
Bestemmie e insulti dal palazzo di fronte. Sul principio ho pensato fosse una litigata, ma forse è per una partita. E' peggio di quanto pensassi. La gente è banale. Anche io sono banale a dire che la gente è banale, ma è così. Perché? Perchè? Io mi annoio. Mortalmente. 

E ora che faccio, lascio entrare l'autismo e resto a casa o esco e provo a uscire senza sbronzarmi per dimenticare?

venerdì 5 ottobre 2012

La ragione ha dei torti che il cuore non conosce

Ieri sera sono uscita. Stanotte ho dormito. Questa mattina sono uscita e al bar dove ho chiesto il primo caffè della giornata, che non lo bevo mai appena sveglia, alle ore 11:20 stavano preparando un gin tonic.
Dai sobbalzi del mio stomaco, ho capito con certezza che ieri sera avevo bevuto troppo. (Ma il gin mi fa schifo sempre, ve lo dico così che non vi venga l'idea di offrirmelo.)
E mi sono ricordata che ieri sera mi sono infilata in una discussione sul concetto di identità.  Discussione che era inficiata in partenza da due errori:
1. discutere con alcool in corpo significa far parlare l'alcool al posto mio.
2. discutere per avere ragione è il modo migliore per sragionare.
Io non voglio discutere.
Io non voglio avere ragione. Perché se voglio avere ragione, voglio ancora convincere me stessa di qualcosa.
Io voglio sapere. Sapere che rifiutare il concetto di identità non significa volermi disincarnare. Significa rifiutare i miei ego. Significa vivere a un livello più profondo e indiviso. Significa sapere che le molecole che mi compongono cambiano sempre. Significa sapere che Pirandello aveva ragione. Significa sapere che quello che voglio o non voglio ha più a che fare con condizionamenti che con il nucleo di me. Che certo, esisto, ma non sono ciò che dico che sono. E capisco che tutto ciò non lo so spiegare, e soprattutto non lo voglio spiegare.
Ma cazzo, anche solo scrivere queste cose in questo modo in questo luogo blandisce il mio ego, sto ancora provando a convincervi/mi. Non posso fare a meno di parlare di identità, ma non posso identificare cosa sia l'identità, perché entro in contraddizione con la mia intuizione che l'identità sia più inutile che utile. Quindi la smetto, e vado a meditare. Ma sebbene mediti, non definitemi buddista.


giovedì 4 ottobre 2012

La distanza ovvero metafore sull'amore (dove forse eccedo in retorica)

Mi interrogo da molte lune sull'amore. E per amore intendo l'amore per un altra persona, che possibilmente ha i suoi vertici nell'amore di coppia, nell'amore per i figli e nell'amicizia vera, ma che per quanto mi riguarda - e, scusate se sono presuntuosa, dovrebbe riguardare anche voi- ha a che vedere con tutte le relazioni umane.
La risposta di questi giorni è che l'amore c'entra con la distanza. Ne ho già parlato in altri post, ma adesso l'immagine si è fatta più precisa. Amare una persona significa percorrere e ripercorrere con pazienza, attenzione, delicatezza, la distanza che ci separa da lui o da lei. E consentirgli di fare lo stesso. E perdonargli gli errori nel tragitto, e perdonarli a noi stessi.
E sapere che questa distanza non sarà mai colmata, se non a rischio di mangiare l'altro o farsene mangiare. E che nemmeno sarà possibile dirgli sempre: fermati lì. Bisogna farlo arrivare, e permettergli di tornare indietro. Serve arrivare e tornare sui nostri passi.
Percorrere e ripercorrere, appunto. Osservando l'effetto delle stagioni sul paesaggio, stando attenti a come posiamo i piedi per non farci male e non farne, superando gli ostacoli senza ricorrere alla dinamite.
Scoprire che ogni volta il percorso che facciamo è diverso. Un po' uguale, certo, ma sempre diverso. E dove prima c'erano pianure, potremmo trovare montagne rocciose, o dove c'era l'oceano con le sue onde, un placido lago di montagna.
Per amare davvero non si può stare fermi o distratti. Per vivere nemmeno.


mercoledì 3 ottobre 2012

Pensieri dell'età adulta



Credere che “Io sono colui che fa” è come il morso di un velenoso serpente.
Realizzare invece che “Io non faccio niente” è il delizioso nettare della felicità.
La sola comprensione che di essere solo Pura Consapevolezza brucia la foresta dell’ignoranza.
Sii oltre le illusioni e sarai felice.
Senti l’estasi, la suprema beatitudine nel momento in cui realizzi questo mondo essere irreale proprio come quando scopri che quello che credevi un serpente è in realtà una semplice corda; sappi questo e sii felice.
Se tu pensi di essere libero, allora sei libero. Se tu pensi di essere vincolato, allora sei vincolato. E’ giustamente detto: tu diventi quello che pensi.

Ashtavakra Gita

Mutuo, progetti, accatastamento C3, doppi servizi, insegnare, set, uomo, donna, possesso, libertà, scuola, arte, figli, madri, padri, ragni, Milano, Palermo, India.
Libri delle superiori, Gopro, bollo auto, direttore di banca, multa, contatti, outfit giusto. Ascesi. Eugualeemmecidueallaseconda.Carne e spirito. Materia è spirito. Spirito e ironia. Ironia e serietà.
Serietà. Adulti. Pesantezza. Irreale.
Il reale è irreale. Ma ci devo nuotare.

martedì 2 ottobre 2012

Beauty follows love

Cazzo.
Oggi sono arrabbiata, anzi da ieri sera, anzi da sabato sera che sono andata ad una specie di mostra di creativi. Perché non capiamo che non solo abbiamo bisogno di bellezza, ma che la meritiamo.
E invece lasciamo che gente meschina ci costruisca attorno case brutte, scatti brutte foto, inventi oggetti brutti, disegni vestiti brutti, ci faccia lavorare in uffici brutti. E sono meschini perché non sanno creare bruttezza anelando alla bellezza, come una tensione creativa vera dovrebbe fare. Non hanno gli occhi per la bellezza, non ne hanno il ricordo da nessuna parte. Sono meschini perché si accontentano di quello che conoscono già, di una miserevole bruttezza.
E non soddisfatti, ce la regalano, pensando che pure noi siamo così meschini da non saper vedere oltre. Sapete una cosa? Tenetevela. Io vado fuori a cercare bellezza. O me ne resto anche in casa, che è orrenda, ma mi sforzo di amarla e curarla come fosse bellissima, e diventa bellissima.
Ecco, voi non amate la bruttezza, per questo non sapete renderla bella. Vi limitate a rappresentarla, specchiandovi dentro, così nella bruttezza riuscite a vedervi belli. Ma la verità è che non non amate nemmeno la bellezza, altrimenti tutto quello che fate sarebbe bellissimo.



lunedì 1 ottobre 2012

Scrivere dello scrivere un curriculum.


Che cos'è necessario?
È necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.
A prescindere da quanto si è vissuto
è bene che il curriculum sia breve.
È d'obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all'estero.
L'appartenenza a un che, ma senza perchè.
Onorificenze senza motivazione.
Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.
Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l'orecchio in vista.
È la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.

Wieslawa Szymborska