sabato 30 giugno 2012

Un matrimonio in chiesa ovvero onestà vs. cinismo

Perché mi commuovono i matrimoni in chiesa?
Per le canzoni che non sento da una vita, e mi richiamano la giovinezza e quindi la nostalgia di quando riuscivo a convincermi di credere in qualcosa di strutturato, invece di sentirmi sola in un percorso di ricerca difficilissimo?
Per l'abito bianco che, anche se cerco di strapparmelo dall'inconscio e ormai mi ricorda un travestimento, è comunque qualcosa di radicato nei sogni di bambina/adolescente/giovane adulta?
Per il Padre Nostro e alcune cose belle che, nonostante la Chiesa Cattolica, mi arrivano grate e gradite?
Per le occasioni che ho avuto di sposarmi/amare qualcuno e invece non è successo? Per gli sbagli fatti?
Per gli amici che non vedo da tempo, in particolare quelli che ora stanno lì in mezzo alla chiesa a dirsi "Sì"?
Per tutte le falsità a cui assistiamo/ho assistito in nome della parola famiglia, soprattutto se usata dai cattolici?
Perché voler rompere sempre tutto è faticoso e stare in un posto in cui vedo volontà di unione mi addolcisce?
Per tutto questo ma soprattutto per un'ultima cosa, che quando celebra il mio amico sacerdote è pura e splendente come un diamante: per la capacità di parlare d'amore in forme non ciniche. Perché tutti vogliamo amare ed essere amati. E tutti ne abbiamo paura. Perché fa male. Perché è difficilissimo. Ma provarci è l'unica speranza che abbiamo per non diventare orrendi. 
E un matrimonio vero, come quello di oggi, me lo ricorda. E un po' sorrido, e un po' piango, e un po' raccolgo coraggio e un po' mi preparo e un po' mollo il controllo.

giovedì 28 giugno 2012

L'accessorio giusto ovvero essere splendenti

Sapete quando si dice "è talmente bella che starebbe bene pure vestita di sacco?".
Ecco, dovremmo tutti diventare così. Bellissimi indipendentemente da quello che vestiamo e da dove siamo e da quello che facciamo. Bellissimi perché aperti alla vita, innamorati del mondo, affascinati dai colori dai profumi dalle voci umane e non, pronti a dare e a ricevere.
Così quando poi incontriamo qualcuno che ci piace, non abbiamo bisogno di lui/lei per diventare bellissimi. Lo siamo già. Semplicemente la sua presenza accanto a noi diventa il vestito da sera, la pochette, la scarpa, la spilla, la camicia che ci si concede una volta ogni tanto come un regalo e che ci fa risaltare ancora di più.
Ma nonostante ci piaccia possiamo pure farne e a meno, mandarlo in tintoria ogni tanto, trattarlo bene perché non si sgualcisca e continuare ad essere splendenti.
E, last but not least, se siamo bellissimi no matter what, possiamo anche essere noi l'accessorio giusto per qualcuno.

lunedì 25 giugno 2012

0-0, 4-2 ai rigori ovvero domande sulla libertà

Pensavo una cosa banale, mentre tornavo da RdL a Milano stasera.
Ascoltavo la partita dell'Italia dall'iPhone, non so nemmeno io bene perché. Forse perché al ristorante con degli amici la guardavamo distratti, poi loro sono andati a casa a godersela, e io invece a salutare i miei, che a loro volta la seguivano con alterna convinzione e quindi poi volevo sapere come andava a finire.
E pensavo appunto che una persona, di fronte ad una partita di calcio può essere posizionata in molti modi diversi.  
Può ignorare che si giochi, fregarsene pur sapendolo, può guardarla con partecipazione in tv, ascoltarla tramite le urla dalle case dei vicini, scegliere la radiocronaca (RadioRai ne offriva due diverse). Potenzialmente potrebbe essere allo stadio a vederla, o addirittura essere tra i giocatori in campo, oppure arbitrarla oppure essere il raccattapalle, il cameramen, il giornalista, l'allenatore...
Ognuna di queste esperienze rispetto allo stesso oggetto è vera ed indiscutibile. Ma non si pensa quasi mai alla possibilità che le cose esistano anche da punti di vista diversi e si vive come se quello che si vive in prima persona sia l'unica assoluta verità.
In un certo senso è così, perché non si può vivere la realtà di un'altra persona, e noi esperiamo il mondo solo attraverso noi stessi. Ma se io mi convincessi che l'unico modo vero di vivere una partita sia guardarla in tv e per assurdo convincessi tutti gli altri esseri umani di questa mia verità, nessuno giocherebbe più a calcio, e quindi non potrei più vedere alcuna partita.


Quindi ora, invece di chiudere con una sentenza, ammetterò che me ne sto andando a letto con una domanda. 
Ovvero: come faccio a sapere che esistono tanti "posizionamenti" diversi, ad accettarli e a considerare che hanno tutti pari dignità, senza per questo smettere di avere delle opinioni e quindi dei motivi per vivere e per spendere il mio tempo e le mie energie? Ho qualche abbozzo di risposta, sia teorica che pratica, ma a tratti è ancora un bel casino. 



venerdì 22 giugno 2012

Il mio corpo scomodo

Oggi ho fatto la mia prima (e chissà se ultima o una o chissenefrega) performance.
Il contenitore era questo: Corpi Scomodi.
C'era un corpo adulto che incontrava un altro corpo adulto, ricordandogli che è (stato) bambino. Ed è una consapevolezza scomoda, che noi nel 2012 vogliamo essere adulti, e invece siamo bambini, e solo sapendo essere bambini possiamo, a volte, essere grandi.
C'era lo scomodo corpo del reato: un regalo, un invito, un sorriso, un salto, una bolla di sapone, un palloncino. Tuttoaggratis. Gratis è scomodo. Scomodissimo.
C'era che il mio corpo per farsi scomodo aveva bisogno di incontrare altri corpi, e di infastidirli o rallegrarli o lasciarli indifferenti. E questo incontro è scomodo. Ti possono rifiutare. Ti possono ferire. Si è vulnerabili.
C'era che il mio corpo si sentiva scomodo a farsi Corpo Scomodo. Che per trasformarmi in corpo scomodo da una settimana sopporto che il mio intestino abbia esistenza propria e tempi ingestibili.
Ma è una scomodità di cui ora posso godere, anche solo per aver visto il sorriso stupito di un 60enne corpo scomodo dopo aver preso un palloncino, tutto gonfio anche se lo voleva sgonfio perché si vergognava a portarselo in giro, mentre allontanandosi diceva a se stesso "C'è sempre qualcosa da imparare".

Ma ad ogni modo il mio resta un corpo che mi imbarazza, mi frena e mi fa sentire sempre scomoda. Facciamo delle piccole tregue, io e lui, ma ci piacerebbe diventare un'unica cosa. Ma certo non vogliamo diventare un corpo comodo.



giovedì 21 giugno 2012

Pensiero progressista

Capisco il senso di tradizioni, costumi, leggi, abitudini, repertori. Rassicurano, permettono l'esperienza condivisa tra gli esseri umani, rendono possibile la trasmissione dei saperi da una generazione all'altra.
Eppure mi sfugge come ci possiamo dimenticare che se l'obbedienza e la reverenza verso ciò che è stato (considerato come immutabile e sacro perché dato condiviso trasmesso vissuto) avessero vinto, ancora ci scalderemmo attorno al fuoco acceso per caso dal fulmine. 
Non c'è nessuna teleologia che giustifichi il progresso, nessuna strada già scritta da percorrere in una sola direzione verso un solo obiettivo. Il nuovo è meglio in sè: il nuovo è meglio perché è nuovo, anche se è sbagliato. Se è sbagliato arriverà il momento di un nuovo nuovo. Ciò che era conosciuto entrerà nel nuovo, che sarà profondo e vergine insieme. 
L'unico motore del progresso é la curiosità umana. Più precisamente la mia curiosità, la tua curiosità. Innanzitutto verso noi stessi.
Arrendiamoci alla curiosità.


martedì 19 giugno 2012

Woman on wire ovvero della noia

Se sono disoccupata mi annoio perché sono a casa e senza soldi. Se lavoro come aiuto regia dopo un po' mi annoio perché non ho più una vita. Se lavoro in ufficio mi annoio perché sto ferma. Se penso di andare a vivere al mare temo che la noia mi raggiunga anche lì. Che cosa devo fare per non annoiarmi?
Oltre a YouTube, che però dopo un po' mi annoia pure lui, oltre alla ricerca della canzone del giorno, alla lettura dei tarocchi, all'importunare gli amici, alla scelta del gusto del gelato e a pensare a come travestirmi, non mi resta che osservare tutti i miei dissidi emotivi, picchi discese vallate pieni vuoti e cambi di direzione.
Sarà per questo che non voglio pacificarmi? O forse ho solo un'idea sbagliata di ciò che significa pacificarmi? Non è mica arrendersi, no? 

lunedì 18 giugno 2012

Cose che ho capito sull'amore grazie alla fine della mia storia d'amore con l'amore romantico

Per me vivere è sempre stato così faticoso, che alla fine ho sempre preferito innamorarmi.
All I need dei Radiohead è una canzone meravigliosa. Mica lo nego. Ma dice cazzate.
L'amore romantico è una patologia psicologica individuale ma soprattutto sociale.
I mostri della dipendenza emotiva si scacciano in un modo solo: riponendo la spada e facendogli pernacchie in faccia.
L'amore è una cosa a quattro: tu, io, noi e il mondo intero.
L'amore non si dice. Si fa. E non solo a letto.
L'amore vero esiste. Ma non dove cerchiamo. Non dove ci hanno insegnato a cercare. Non come ce l'hanno mostrato, non dove lo esibiamo. Ma esiste.
Da single amo meglio. E averlo scoperto è un gran traguardo. E magari resta un traguardo, e non una partenza, ma va bene lo stesso.
Tutti gli esseri umani vogliono essere amati. Molti vogliono amare. A pochi riesce. Quasi nessuno è disposto ad imparare a farlo.
L'amore è forza vulnerabile. Come la vita. Io voglio essere viva. Io sono già viva, a tratti.

sabato 16 giugno 2012

Incipit Vita Nova

Per conoscersi, bisogna potersi immaginare.
Gianni Rodari

Nel primo giorno della mia vita nuova, non è successo un cazzo. Ma io ho deciso che sarebbe iniziata, quindi ho fatto un respiro grande e tutto è cambiato.

giovedì 14 giugno 2012

Aggirare l'ira degli dei

Sono felice. Eh, succede.
E a parte il senso di colpa e di immeritata fortuna che mi sento addosso, so anche che dirlo porta sfiga.
Ma la verità è che sono posso godermi questo momento di equilibrio dinamico, bellezza e rotondità della mia vita perché so che la felicità di questo periodo se ne andrà, e non sarà per colpa merito fortuna o sfortuna.
Se ne andrà perché tutto passa. E poi cambia e poi ancora passa e ancora cambia. E non c'è nulla che possa evitarlo, al contrario potrei accelerare la sparizione della felicità preoccupandomi del suo triste destino, come un bambino che piange prima di finire il gelato, perché sa che presto finirà. Io non piango, me lo mangio, e mi sbrodolo pure. Almeno mi resterà il ricordo, come macchie sul vestito. Ma prima o poi se ne andranno anche quelle, ma altre si faranno. Evviva.

martedì 12 giugno 2012

Il mio corpo alla scienza ovvero contro la noia

Sono in autobus. Ascolto Californication dai profondi anni 00, forse addirittura un poco prima, e mi rendo conto che nello stesso album convivono Porcelain e I like dirt. Perché non ammetterlo anche in me? E smettere davvero di dire giusto/sbagliato? E provare cambiare il mio DNA occidentale cattolico borghese razionale non-contraddittorio, solo per provare che e' possibile?
Di sicuro e' difficile, perché basta l'odore di aglio sudore tabacco del mio vicino che sta andando a vendere le rose a infastidirmi e farmi fare mille pensieri sull'ingiustizia della mia vita rispetto alla sua, sul fatto che dovrebbe pure lavarsi ogni tanto, su come lo tratterei se volesse vendermi una rosa e via pensando (inutilmente). Perché se tutto è pensiero --> giudizio --> giudizio sul pensiero --> identità --> giudizio sull'identità non se ne esce mai.
Io sono niente. Io sono tutto. E ve lo proverò. Sarebbe bello se me lo provaste anche voi. Non giusto, semplicemente bello.



venerdì 8 giugno 2012

Potere ha la minuscola. Potere alla minuscola.

The disappearance of a sense of responsibility is the most far-reaching consequence of submission to authority.
Stanley Milgram 
Questo citazione mi fa ricordare che, come si diceva in Spiderman, da grandi poteri derivano grandi responsabilità.
E' per questo, vero, che non lo volete il vostro potere? Ché si sta così comodi sottomessi...

Non che io lo voglia sempre il mio potere.  Per essere onesta.



Per la realtà dell'immaginazione

Sopporta la tua sorte che è mutata:
naviga secondo la corrente, naviga secondo la tua sorte
e non rivolgere la prua della tua vita
contro le onde: naviga secondo gli eventi.
Ahi ahi,
quale ragione non ho io, misera, per piangere
che la mia terra è perduta, e i figli, e il marito?
O grande splendore prostrato
dei miei antenati, come eri dunque niente!
 
Ecuba, da Le Troiane di Euripide

La resistenza è sopravvalutata.
Resistere a qualcosa significa conferirgli un enorme potere, il potere di decidere che la tua vita è dominata da quella contingenza a cui ti stai opponendo.
Significa definirsi in opposizione a qualcosa. Il risultato è una vita che trasuda  risentimento fatica rabbia frustrazione, e in cui tutto ciò che si fa è sterile.
Per togliere potere a qualcosa, e riprendersi questo potere per se stessi e per la propria vita (e quindi anche per la vita di chi ci sta intorno) bastano due cose: 1. accettare che le cose siano come siano 2. immaginarsi altro.
Perché l'immaginazione, che non ha niente a che vedere con i sogni ad occhi aperti e nemmeno con l'autoconsolazione e nemmeno con il raccontarsi cazzate, è la facoltà di ipotizzare altre forme di vita, e immaginare di avere le capacità per vivere quelle forme di vita e quindi, immaginandosele, renderle reali.
Faccio degli esempi, perché sembra astruso ma non lo è.
Resisti alla sofferenza che la tua infanzia infelice ti ha generato. Accettala, abbandonati a quel dolore. Poi immaginati l'infanzia che avresti meritato, che tutti i bambini meriterebbero. Coltiva i ricordi belli che ancora non hai: diventeranno reali e cominceranno a trasudare nella tua vita le qualità positive e la sovrabbondanza di felicità che cerchi.
Oppure, ti fa schifo la vita che fai. Vivila per come è, senza odiarla. E immagina di poter scegliere ogni attimo cosa fare: pian piano la forza dell'immaginazione diventerà reale, finché  ad un certo momento ti troverai a fare esattamente quello che volevi fare, e sarà reale.
Se resisti alla sofferenza d'amore, piangi tutte le tue lacrime, e poi immaginati felice ed innamorato. E queste qualità sgorgheranno, e ti innamorerai del mondo. E il mondo non potrà che innamorarsi di te.
Se vuoi una società diversa, sopporta e apprezza quella che c'è. Immagina quella che vorresti. Crea dentro di te pazientemente le qualità che questa società dovrebbe avere, e vivi spandendole poco a poco. La società cambierà.

E' tutto immaginato. E' tutto vero.

lunedì 4 giugno 2012

Se basta il ritardo del tram...

...che a sua volta mi fa arrivare in ritardo alla seduta di meditazione per farmi arrabbiare, allora davvero la strada da fare è ancora lunga. E soprattutto è ancora troppo avvolta su se stessa. Mi trovo spesso agli stessi punti, ed e' ancora meno comprensibile che lo faccia, perché ora mi accorgo perfettamente di dove sono e so che potrei essere non lì ma altrove. Ma qualcosa mi riporta lì, allo stesso cul de sac.
Secondo me a riportarmi indietro sono le cattive abitudini, comode ma stupide àncore per ri-conoscere me stessa. E per cattive intendo ormai svuotate di senso, anche se l'hanno avuto.
Per esempio questo blog: scrivere pubblicamente e quasi quotidianamente cosa facevo pensavo vivevo e' stata una scossa fortissima e necessaria per sconfiggere la vergogna che provavo per me stessa, l'incapacità di accettare le mie peculiarità, la loro bellezza e il loro peso. Mi ha stimolato a esplorare parti nuove di me e del monde e a cercare forme per raccontarle, possibilmente accattivanti benché spontanee. Ora mi sono annoiata, non mi da più niente.
Quindi come tutte le cose divertenti anche questa deve mutare o finire (che poi la fine e' solo un mutamento che noi stupidi esseri limitati percepiamo come più radicale degli altri).
Scriverò qui (e altrove proverò a parlare) solo se avrò qualcosa di serio e pensato e atteso e accolto e pieno da dire. Finora ho balbettato come i bambini, tappa necessaria per imparare a parlare. Ma visto che ormai so parlare, da adesso parlerò. Se avrò qualcosa da dire. Potrei non averne. Ma almeno smetto di tornare al rassicurante quanto inutile balbettio come forma di espressione di me.
Che per dirla elegante, non è che tutte le scoregge mentali meritino verbalizzazione. Sono inevitabili, e divertenti a tratti, ma a voi posso pure nasconderle. Questa era l'ultima che vi ho inflitto, parola di lupetto.


domenica 3 giugno 2012

venerdì 1 giugno 2012

Mo bbasta però!

Perché non facciamo un gioco?
Giochiamo a far finta che siamo degli esseri umani, e che siamo vivi sul serio.
Solo per un momento. Che ne dite? Facciamo finta di vivere!
E' un secolo che non vedo qualcuno che abbia un briciolo di entusiasmo per qualcosa.
Mi passi quei fiammiferi, per favore?
Sempre a chiedere a qualcuno di prestarti qualcosa. Mai una volta che dai quello che veramente vuoi dare. Lo possono anche rifiutare, ma tu dallo.
Sempre a chiedere a qualcuno dove andare. Mai una volta che decidi la meta e parti. Possono anche non seguirti, ma tu vacci.
Sempre a pensare cosa capiranno di te. Mai una volta che fai quello che senti giusto. Possono anche indignarsi o non capirti, ma tu fallo.
Tu Marilisa, eh, mica qualcun'altro.