giovedì 25 febbraio 2016

La vita quotidiana come rappresentazione: oltre la paura del ruolo


Gli uomini hanno bisogno di contatti sociali e di compagnia sotto un duplice profilo; da un lato essi necessitano di un pubblico davanti al quale recitare le proprie vanterie, dall’altro di compagni di équipe con i quali entrare in cospirazioni segrete e rilassarsi nel retroscena.   Erving Goffman 

Oggi in classe - una seconda!!! -  ho parlato di questo testo che chiunque abbia studiato un poco di sociologia conosce, appunto La vita quotidiana come rappresentazione di  Goffman
Poi ci ho pensato un po' su, e mi è venuto in mente che sì, noi pensiamo di essere noi ma siamo un sacco di ruoli diversi, un fascio intrecciato di ruoli diversi.
E la differenza fondamentale tra l'esserne inconsapevoli e l'esserne consapevoli è che nella prima ipotesi rischiamo di passare la vita a fare ciò che ci viene chiesto dai ruoli scritti da noi per altri mentre nella seconda possiamo per lo meno scegliere quali ruoli rifiutare, quali personalizzare meglio, quali mescolare.
Senza ruoli, palcoscenico, retroscena pare che non si possa vivere, anche se lascio aperta la possibilità di un mondo oltre il mondo in cui le cose siano per come sono e non per come devono essere, per come riusciamo ad interpretarle, per come vogliono apparire ecc.
La lieve, o profondissima, vertigine che ci viene quando ci si scombinano le carte ai nostri ruoli (ad esempio quando ci licenziano, ci innamoriamo, ci lasciano o lasciamo, vogliamo cambiare vita, mandiamo affanculo il capo, notiamo la bellezza dove prima non riuscivamo a vederla...) è proprio la vertigine di fronte al vuoto che immaginiamo dietro la maschera che ci siamo levati o che ci hanno strappato.
Il vuoto del non sapere più darci un nome, un senso, uno scopo, un ruolo, appunto. Di non riuscire più nemmeno a rilassarci nel backstage perché in scena non sappiamo chi siamo, che cosa dobbiamo fare, che cosa si aspettano da noi, che cosa possiamo dare.
In quei momenti così preziosi è meglio tuffarsi, invece di restare incollati dove siamo con la nausea che ci ingorga stomaco e pensieri.
Qualche cosa, un nuovo noi (parziale, dubitante, caduco) uscirà.


Nelle foto qui sotto, un'esemplificazione del tuffo in un cambio di ruolo.






domenica 21 febbraio 2016

Dei conflitti, delle difficoltà, dei problemi, dell'equilibrio e degli sbatti

Ho fatto un workshop di scrittura teatrale e recitazione, ovvero ho il cervello un po' fritto ma molto vivo dopo 20 ore di lavoro in 2 giorni e mezzo.
Guardare alla drammaturgia come possibilità di un vita un po' più interessante di quella inconsapevole, ecco, era un esercizio che non facevo da un po'.
Considerazioni emerse.
I conflitti sono di tre tipi: interno, interno di origine esterna, esterno.
Esemplifichiamo: vorrei un gelato.
Conflitto interno: non so se mangiarlo è giusto o sbagliato: potrei essere intollerante al lattosio, temo di ingrassare, ne ho già mangiati altri 5...
Conflitto interno di origine esterna: vorrei un gelato ma costa troppo, non so se posso davvero spendere 4 euro visto che ne ho in tasca 5 per arrivare a venerdì ed è lunedì pomeriggio. Oppure: vorrei il gelato di una certa gelateria ma è chiusa, quindi non so se ripiegare su un gelato qualsiasi.
Conflitto esterno: voglio un gelato ma il proprietario della gelateria non me lo vuole vendere perché gli sto antipatica, oppure voglio un gelato, lo compro e mentre sto per mangiarlo arriva uno che me lo ruba.
La reazione alle difficoltà che insorgono da questi conflitti sono la misura del desiderio del personaggio nel perseguire il suo obiettivo. Può mollare subito, sentirsi annientato e non volere più niente, usare la resilienza per trovare altri modi per raggiungere il suo obiettivo...
I problemi sono solo il mezzo che abbiamo per trovare soluzioni adeguate. Senza problemi ci annoieremmo perché tutto sarebbe già scritto. Senza problemi perché vivere? Non avremmo niente da sistemare. La nostra capacità di vedere i problemi e la nostra capacità di trovare soluzioni sono la nostra forma di intelligenza più acuta e utile.
A lungo ho pensato che l'equilibrio fosse l'ideale eterno da trovare una volta per tutte. Che minchiata. Dall'equilibrio, nell'equilibrio, non scaturisce la vita, perché l'equilibrio che si fissa è quello proprio delle cose finite, intrappolate, inerti. Dei problemi risolti una volta per tutto, tipo con fine del film o del dramma, o con la sepoltura.
Gli sbatti sono problemi a cui ci rifiutiamo di collegare la necessaria soluzione. Vediamo solo il rovello, l'impiccio, il fastidio, e non la possibilità creativa che ne è l'inevitabile accompagnatrice. Quando ragioniamo per sbatti, non siamo creativi. Siamo solo reattivi. E' come scrivere un testo, o provarlo per la prima volta ed essere infastiditi se non funziona subito.

L'ultima considerazione è che Umberto Eco forse è vissuto invano. Gli intellettuali o presunti tali che fanno corsi come questi dovrebbero ogni tanto anche dedicarsi a ciò che considerano trash, vile, inappropriato. Perché io tante cazzate sui social media come quelle che ho sentito in questi giorni, raramente. Li mortacci nostri, pure io non ho la televisione, però ogni tanto riemergo dal sarcofago di libri, buonismo e pensieri alti. E se nomino The Voice non andatevene a male! A maggior ragione visto che per scrivere di cose e persone vere bisogna almeno un po' amarle, anche se non ci piacciono, e perché imparare ad  aver a che fare con persone diverse da noi è un sano esercizio di creatività (e umiltà).




domenica 14 febbraio 2016

La nemesi di Valentino

A RdL Valentino era il nome di un bar di quelli di una volta, che puzzava di vino, di fumo, di geriatria e di mazzi di carte da briscola usurati (li avete mai annusati? Sanno di sporco e sudore e sebo e polvere)
Quando entravo al bar Valentino per comprare il Maxibon mi sembrava di fare una cosa sbagliata. Ah, potere dell'educazione borghese.
Oggi la mia amica Silvia ci ha tenuto a ricordarmi che era san Valentino. Ha pure affermato che il nostro aperitivo era il festeggiamento migliore, agognato da anni.
Poi però mi ha fatto arrivare a case e per insistere sulla questione, mi ha fatto chattare per un'ora e mi sono venuti in mente dei 14 febbraio degli anni passati, e un po' fanno ridere è un po' fanno piangere. Perché anche io che scrivo un blog, non salvo quasi nessuno da una qualche etichetta, sono femminista e autonoma, anche io ho un cuore che palpita. Giuro. Sto pure diventando sempre più buona, non tratto più male i cuori che mi si affidano e imparo a non far trattare male il mio.
Quindi, anche se festeggiare San Valentino é abbastanza da sfigati, e i baci Perugina li compro spesso come regalino anche agli amici e alle amiche ma mai per San Valentino, resta il fatto che per qualche motivo mi accorgo sempre che sia proprio quel giorno. Questo giorno.
Ecco quindi alcuni ricordi sparsi. Tratti dall'ultima parte della mia vita, che quella precedente è confusa, come se appartenesse ad un'altra persona.
Ricordo n.1
Mi ha lasciato da un mese. Sto sotto un tram come mai mi era capitato prima e mai più dopo. Non lavoro non mangio spesso non mi tolgo il pigiama fino a quando torno a letto. Mi rimbalza da un mese, regalandomi bidoni che collezioni dentro l'armadio. Ma il pomeriggio del 14 febbraio mi chiama: "Ciao. Ti ho chiamato perché volevo dirti che ti voglio bene" più altre frasi che nemmeno riesco a capire e mette giù. Dovevo essere chiaro che era l'inizio di anni di costante puntuale colossale impedimento di ogni mio tentativo di dimenticarlo, andare oltre, sentirmi libera. Avrei dovuto bruciare il telefono che conteneva il suo numero, lanciarlo nella Geena, Invece: lo richiamo insultandolo, nutrendo per la prima e più gustosa volta il suo onnivoro ego.
Ricordo n.2
Nemmeno ci accorgiamo che è San Valentino. Siamo semplicemente in giro ed entriamo in un ristorante. Intorno a noi solo coppie. Il cameriere ci fa l'occhiolino. Allora, spinti dalle circostanze, con un po' di imbarazzo bridiamo e intrecciamo i calici. Che ci vogliamo bene è indubbio. Che cosa siamo, chi lo sa. Per fortuna ora siamo diventati amici, e qualcosa di certo c'è. La mattina dopo uscendo da casa mia dice una cosa tremenda, ma così tremenda che non riporterò per non infangarne la reputazione nel caso qualcuno potesse riconoscerlo. È un amico, ora. Le cose cambiano e si riparano a volte: ti voglio bene, non lo dico a nessuno che cosa mi hai detto, mi hai anche mandato delle bellissime mail dopo per riparare un po'. Ad ogni modo: abbiamo smesso di frequentarci dopo aver festeggiato inconsapevolmente San Valentino.
Ricordo n.3
Compro un biglietto per un concerto di un gruppo che gli piace. Non me ne accorgo ma è proprio per...la sera di San Valentino, of course. Due giorni prima unica vera litigata della nostra convivenza, che poi avremmo pure potuto litigare meglio, cazzo, che quando litighi è meglio mandarsi forte a quel paese e dirsi tutto rispetto a fingere di aver fatto la pace per non rompere le cose. Che tanto le cose si rompono se devono rompersi, e si rompono ancor di più se sotto le pezze si lasciano crescere i bubboni. Quindi andiamo al concerto e io piango tutta sera, no dico: letteralmente tutta la cazzo di sera. La musica mi emoziona sempre, nel bene e nel male. Ed ero presa malissimo. Si era rotto qualcosa e non riuscivo ad ammetterlo.  Per concludere la serata, in metro troviamo una che lui si era scopato, e aveva mollato brutalmente: la sua faccia da finto penitente mi fa venire voglia di cavargli gli occhi. E invece: incenerisco lei. E poi mi rimetto a piangere.
Tirando le somme l'unica cosa che mi viene in mente per giustificare l'evidente antipatia che il giorno di San Valentino prova per me è che l'Universo mi sta dando chiari segnali: l'amore romantico, di plastica e pieno di selfies con i cuori non è per me. Giuro che l'ho capito, mi faccio anche interrogare volontaria se vuoi, caro maestro Universo, ma possiamo passare definitivamente alla prossima lezione?

venerdì 12 febbraio 2016

Tregua

C'è stato un periodo della mia vita in cui l'unica cosa che volevo era rompere i coglioni.
Dovevo rendere evidente una verità su me stessa al giorno, in una sorta di bulimia di ricerca di verità, guidata dal sacro e fervente spirito di Nietzsche che viveva in me.
Ma non soddisfatta di rompere i cabasisi a me medesima, li rompevo pure agli altri, convinta che tutti avessero il dovere di stanarsi, dandosi la caccia senza tregua, e pure il diritto di sentire da me ciò che da soli non riuscivano a vedere.
Avevo sempre ragione, su di me e pure sugli altri.
Ma facevo continuamente esplodere bubboni, creavo crisi, cercavo diplomazie tra le varie entità della mia psiche e tregue (armate) con gli altri.
Ora sapete che c'è?
Anche ora vedo un sacco di cose, e so di avere spesso ragione in virtù di un intuito preciso. Eppure la via mediana della civile convivenza venata di illustre consapevolezza e di sana accettazione vince.
Guardo, rifletto, agisco, sto zitta. Non mi rompo il cazzo. Non ve lo rompo. Vivo. E vi lascio in pace.
Poi, se chiedete, vi dico tutto quello che volete, vi spiego tutte cose. E so che mi ringrazierete. Anzi, fatelo, chiedete per favore! Ottimi consigli al prezzo, al massimo, di un bicchiere di vino.
Ma se non chiedete, liberi di essere perfetti così come siete. Anche di guardare Sanremo, giuro.


sabato 6 febbraio 2016

Perché sono fieramente femminista (e amo gli uomini)

LISISTRATA: Ho il cuore che mi brucia, Cleonice
E poi sono tanto angustiata per noi donne!
Perché gli uomini ci ritengono capaci di tutto
CLEONICE: E lo siamo davvero, per Zeus
da Lisistrata, di Aristofane

Perché al mio primo lavoro vero, appena laureata, gente convinta di essere emancipata in quanto di sinistra piuttosto radicale, mi chiamava "segretaria particolare",  e si dava di gomito, implicando che la particolarità fosse fare i p******i al mio capo, un politico meravigliosamente rispettoso, sotto la scrivania.
Perché un altro datore di lavoro, quando mi sono licenziata, mi ha mandato via mail un film porno. Aveva 60 anni.
Perché il proprietario di un albergo al mare mi ha bloccato in una cabina telefonica color mogano, mi ha leccato la pelle del braccio e mi ha detto: sei salata. E poi mi ha messo la lingua in bocca. Avevo 14 anni.
Perché il fatto che sorrida e sia gentile e rida alla battute e non faccia la figa di legno quando conosco qualcuno, anche sul lavoro, è stato spesso visto come: sei facile. No, sono socievole. Non vuol dire che te la darò. Se mi innamoro, certo che sì. Se ne avessi voglia, forse sì. Puoi anche provarci, se vuoi. Ma, tesoro, non è scritto nel nostro contratto.
Perché la mia amica che aspetta un figlio non debba temere per il rinnovo del suo contratto, che si è meritata perché è la più brava di tutti.
Perché maschi e femmine si nasce, ma uomini e donne si diventa, e il modo in cui questa società ci fa diventare uomini e donne è folle.
Perché amo gli uomini, e vorrei che fossero lasciati liberi di dire che hanno paure, fragilità, fatiche. Diverse dalla mie di donna, diverse da quelle di qualsiasi altro uomo. Ma le hanno. E ne devono poter parlare. E possono andare dallo psicologo senza sentirsi mezze checche. 
Perché sono stufa, e ho il cuore spezzato nel vedere uomini che naufragano. E sono molti, molti di più delle donne. 
Perché ora c'è bisogno di essere femministe e femmine e donne. Ed è vero che siamo diverse dagli uomini, e che la nostra diversità è una ricchezza. I millenni di maschilismo con guerre, stupri, saccheggi, disastri ambientali lo dimostrano. 
Perché in principio c'era la Grande Madre, e ora Dio è sempre al maschile. 
Perché le donne come Lisistrata possono fermare le guerre, semplicemente togliendo agli uomini ciò che per loro, vista l'educazione sentimentale da primitivi che ricevono e anche la natura di cui siamo fatti, è il premio: il sesso. 
Perché a tutti, incluse le donne a cui piacciono altre donne e inclusi gli uomini a cui piacciono altri uomini, sia concesso di fare dentro e fuori il letto ciò che preferiscono dei loro organi sessuali, in particolare del loro organo sessuale più importante: il cuore. 
Perché se una donna vuole ricoprirsi di modestia, mettendosi il velo come le musulmane o essendo sottomessa come spiega Costanza Miriano, lo possa fare. Come scelta il più possibile libera, in mezzo ad altre forme di femminilità, tutte accettate. 
Perché a scuola le donne hanno voti più alti, ma appena arrivano al lavoro guadagnano meno degli uomini. 
Perché le donne che arrivano al potere non se ne facciano mangiare, non facciano la gara per diventare uomini. 
Perché le minigonne sono fighe, e se gli uomini apprezzano quando mi vedono, ne sono anche felice. Così come sono felice se vedo un uomo che mi piace. Ma se dico che non mi devi toccare, non mi devi toccare. 
Perché la polarità uomo e donna è più bella, quando è piena e non stereotipata. 
Perché le donne mandano avanti il mondo da millenni, ma votano da meno di 100 anni. 
Perché non siamo un'appendice degli uomini. Siamo l'origine di uomini e donne. Insieme agli uomini. Ma per gli uomini a volte l'origine della vita dura il momento di un orgasmo, per le donne almeno 9 mesi, e di solito una vita intera. 
Perché non essere femminista ora significa chiudere gli occhi su millenni di storia ingiusta. 
Perché l'obiettivo del femminismo, almeno del mio, non è la castrazione del maschio o la "testosteronizzazione" della donna. E' il risveglio della profonda femminilità degli uomini e della profonda mascolinità delle donne, è la pacificazione con il proprio essere. E' creare un amalgama nuovo, che renda possibile incontri nuovi e società nuove.