lunedì 10 giugno 2013

E più non dimandare

Oggi ero in spiaggia.
E guardavo il mare, ancora turbato dal maltempo di ieri. Era torbido, e in superficie galleggiavano alghe imputridite, pesci morti, bottiglie di vino senza messaggio e senza nemmeno vino, un pezzo di cruscotto, probabilmente di una Ritmo.
E guardavo il cielo. E ad un tratto ho capito. Non era un fondale, piatto e immobile, era invece un vasto azzurro tridimensionale, con nuvole alte e sciolte, nuvole più basse e compatte e una buffa fila di piccole nuvole a cavolfiore rovesciato parallela all'orizzonte. Una scia d'aereo ha fatto un taglio diagonale, entrando ed uscendo più volte da una nuvola piatta, quasi come realizzasse una cucitura; altre scie ormai sfaldate se ne stavano lì, come parentesi lasciate aperte tanti anni fa su una lavagna ormai a riposo nel sottoscala di una scuola .
E poi guardavo me. E anche io porto i segni di qualcosa accaduto tempo fa, in un altro posto e per cause che non saprò mai. E vedo solo l'effetto mutevole e cangiante e affascinante di queste cause.  E anche io sono grande e mutevole e mobile. E se il cielo è il posto che diamo a Dio, non possiamo poi dire che Dio è immutabile. Dio è come il cielo, Dio è come noi. Ma a differenza nostra, non si fa domande, ché sono le domande a rendere il cambiamento fastidioso. Il cambiamento è solo la natura delle cose. Del mare, del cielo, mia, vostra.


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