martedì 27 agosto 2013

Una parola al giorno: scotomizzazione

Scotomizzazione. Ho finalmente scoperto che cosa vuol dire.
Deriva da scotoma, a sua volta derivato da una parola greca che significa oscuramento, e in medicina indica parziale cecità. Scotomizzazione in senso psicologico ha a che fare con il meccanismo di rimozione inconscia di contenuti della coscienza e della memoria avvertiti come penosi o sgradevoli.
In senso lato, può indicare l'oceano di precomprensioni che stanno prima della nostra effettiva conoscenza del mondo, e che modellano il mondo nel momento in cui lo guardiamo e cerchiamo di comprenderlo.

Mi si aprono orizzonti di senso ora, che hanno a che fare con temi a cui penso da anni: l'autoinganno elevato ad ars vivendi, gli sforzi per sottrarvisi, la ripetizione delle stesse dinamiche, il tentativo continuamente frustrato di avvicinarsi alla verità e alla realtà, attraversando, come suggerisce Gadamer, i vari strati della nostra precomprensione grazie alla phronesis, ovvero una delle virtù aristoteliche, una sorta di prudenza, saggezza, intelligenza.

Il problema infatti è che la nostra esperienza nel mondo è, o rischia di essere, un girotondo, un cane che si morde la cosa, un uruboro ma non di quelli vitali. Penso alcune cose, per esperienze che ho avuto precedentemente, e all'incontro con la novità, tenderò inconsapevolmente a modellarla e soprattutto la esperirò in virtù delle mie precomprensioni.
Ma se io modello la realtà continuamente, sono quindi artefice del mio destino. Come?
Non posso ovviamente controllare ogni preconcetto nella mia mente, e nemmeno resettarlo, anche perché altrimenti ogni giorno dovrei riscoprire le cose più banali, a partire dal caffé della colazione (che posso farmi perché mi ricordo esattamente che cosa è il caffé, come funziona la caffettiera, dove trovare l'acqua e il barattolo del caffé).
Poniamo però un esempio: cambio casa e le cose sono disposte in un altro modo, ma io continuo a cercare lo stesso barattolo, che ho lasciato nella vecchia casa, e ad aprire il forno per cercare la caffettiera perché quello era il posto in cui lo trovavo ogni mattina.
E mi lamento pure di non riuscire a fare il caffé. Sarebbe assurdo, no?
Ecco, questo è ciò che facciamo ogni volta che non siamo capaci di abbandonare, con phronesis, le nostre precomprensioni inutili, e di lasciarci andare alla realtà e nella realtà per come è.

Per questo dicevo che mi si aprono mondi di senso. Perché ora mi è chiaro che finché mi interfaccio con il mondo pensando che quello che è successo prima capiterà di nuovo uguale uguale, sto evitando di vivere. E sto ponendo le basi per un eterno ritorno degli stessi errori, e pure per lamentazioni fuori luogo. Le cose cambiano, baby. E il pessimismo si paga, perché trasforma il mondo, facendo avverare le cupe previsioni che a loro volta rinforzano le negative precomprensioni di partenza.
Accanto a ciò, però, e tornando all'etimo originario di scotomizzazione, se piena di bieco ottimismo evito di guardare le cose che non hanno funzionato, non posso cambiarle. Devo accettare il dolore derivante dal guardarle, per poterle superare.

Ovviamente questo scritto non può che basarsi sul processo descritto: precomprensione --> mondo --> comprensione di un mondo parziale. Ma almeno ne sono consapevole, e non c'è niente di più importante, almeno credo, sempre secondo le mie precomprensioni.



1 commento:

roberta mameli ha detto...

buongiorno, sino ad oggi avevo inteso il significo del termine come atto volontario di disconferma di una persona nei confronti di una persona
adesso sono confusa