venerdì 24 luglio 2015

Siddhartha 20 anni dopo. You already have it all.


Lentamente fioriva, lentamente maturava in Siddhartha il riconoscimento, la consapevolezza di che cosa fosse realmente la saggezza, quale la meta del suo lungo cercare. Non era nient’altro che una disposizione dell’anima, una capacità, un’arte segreta di pensare in qualunque istante, nel bel mezzo della vita, il pensiero dell’unità, di saper sentire l’unità e respirare l'unità. 
Herman Hesse, Siddhartha. 

Rileggo Siddhartha, dopo averlo letto a 15 anni senza capirci niente, anzi, annoiandomi e chiedendo perché lo si dovesse leggere. A me piaceva Narciso e Boccadoro.
Ora invece mi ci immergo, mi ci specchio e lo sento parlare come le acque del fiume parlano a Siddhartha nel racconto. 
E vedo tutte le persone che disprezzo, tutti quelli che cercano divisioni, tutti quelli che invece di guarire la propria ferita la tormentano e ne fanno uscire pus che poi si divertono a riversare nel mondo e nelle relazioni.
E vedo tutte la mia ferita che come quella di Siddhartha ancora non fiorisce.
E vedo chi si ostina a cercare maestri e guru e, seppellendola sotto libri e sapienza, ignora la voce profonda, flebile precisa che lo abita. 
E vedo chi ho amato e amo. E tutti i gesti fatti o mancati si ricompongono in unità.
E vedo chi vive delle vite piene, gli uomini-bambini, nel cerchio dell'esistenza, beatamente orrendamente inconsapevoli, eppure precisi e vittoriosi, come Apache che va sui tetti. 
E vedo chi nasce e chi muore. 
E vedo chi per un solo minuto mi ha cambiato la vita e le infinite possibilità che questo accada di nuovo, a me,  e poi le moltiplico per tutti gli abitanti della Terra e penso che le possibilità sono davvero infinite, e non le vediamo perché noi ne vogliamo una, una sola per volta, e da soli creiamo le condizioni della nostra inevitabile necessaria sofferenza.
E vedo i volti dei miei genitori, sento una comunione inattesa, ancestrale e risalgo la catena e sono un batterio e non so scientificamente perché esistiamo, ma lo so perché, e so che non posso spiegarlo a nessuno, perché unica è la meta, ma infinite le strade e la conoscenza è solo individuale. E vorrei morire di questa solitudine, eppure alla fine sorrido. 
E vedo chi cerca di cambiare il mondo, e lo amo. E sento che si può fare, se accettiamo di morire. 
E vedo i mille vestiti con cui cambiamo forma, e le maschere che si salutano per strada, si ignorano o si scrivono da un capo all'altro del mondo e li abbraccio.
E vedo i miei amici, presenti passati e futuri. 
E mi sento sull'orlo di un'esplosione, come un bocciolo che giunto al limite della crescita possa sentire che sta diventando un'altra cosa, e si spaventi, e si sforzi di non cambiare, ed esausto ceda ed esploda di gioia, per il tempo che gli è dato, e possa contare solo sull'acqua il sole il vento e per essere un fiore, bellezza pura inutile perfetta essenziale. 
Cederò, prima o poi, anche io. Cederemo tutti e ci ritroveremo al di là. Dove il tempo è contemporaneo e le azioni tutte pure, anche quelle che ora biasimiamo. 





Nessun commento: