martedì 2 agosto 2016

Ciao ciao bambina

Un numero sconosciuto mi chiama. E' una donna, ha trovato un gatto che potrebbe essere Apache, il mio micio pirata sparito da una settimana. Vado a vederlo.
E' un falso allarme. Apache ha il naso rosino, sempre sporco di schifezze e gli occhi verdi. Questo no. Però lo coccolo lo stesso.
Per consolarmi vado alla gelateria dove ieri ho lasciato il cartello con le foto di Apache e il mio numero e non ho nemmeno preso il gelato da tanto ero provata. Provo lime e zenzero e un altro gusto tropicale. E' buonissimo. Ci potrei andare più spesso.
Me lo mangio seduta alle panchine del parchetto. Una signora accanto a me sta cercando di cantare una canzone.
Le sue amiche ridono. Sono vecchie. Milanesi come chi lo è diventato e parla il dialetto con accenti che sanno di Mediterraneo e non di polenta.
D'improvviso mi ritrovo a cantare con lei "vorrei trovare parole nuove, ma piove piove sul nostro amor".  La donna, resa fiduciosa dal mio accompagnamento, alza la voce stonata (ececredo, ha l'apparecchio acustico) per un poderoso finale. Una famiglia indiana ride, la mamma con la mano a coprire la bocca. Due ragazzini sudamericani alzano la testa dagli smartphones. In effetti è buffo.
Ed è un momento gratuito ed irripetibile. Mi emoziono. Mi viene da piangere, ma non piango.
Non è un pianto di tristezza. E' come se fosse venuto un momento di gratitudine estrema. Per le perdite che ho attraversato, che sono segni di cose vissute. Cicatrici che valeva la pena farsi. Sempre e comunque.
Non avrei mai pensato che adottare un gatto potesse insegnarmi tutte queste cose. Su di me e sugli altri animali, a quattro a due zampe. Su come gestire il passato, vivere il presente e respirare il futuro. Su come accettare il bianco e il nero mio, suo, degli altri.
Girare per il quartiere da due giorni è una delle esperienze più potenti che abbia fatto. Viviamo sempre a metà. Sempre chiusi nel nostro io. Sempre timorosi e incazzati, con la sensazione che ci abbiano rubato la vita e forse è così, ce la siamo fatta fottere.
Chissà se troverò Apache. Chissà se quando lo troverò avrò davvero il coraggio di portarlo in campagna. Chissà se avrò il coraggio di accettare che non torni. Non lo so. Però so che adesso vado a dormire che poi più tardi, quando ci saranno meno rumori in giro, uscirò a cercarlo. E mi sembra infinitamente più sensato che uscire per andare da qualsiasi altra parte. E se per voi è folle perché è solo un gatto, io non posso che augurarvi un'esperienza così intensa da aprirvi il cuore e farvi fare pace con voi stessi.
Perché Apache questo ha fatto a me. Mi ha permesso di curarmi. Mi ha permesso di amare qualcosa per come era e in cambio non c'erano nemmeno dei grandissimi gesti d'affetto. C'erano, ma quando voleva lui. E per me andava bene. E io andavo bene a lui. Io non ero mai stata capace di sentirmi adeguata. Eppure, lo sono stata. Io non ero mai stata in grado di non essere il centro della relazione, Invece al centro c'era lui. Io non ero mai stata in grado di lasciare andare. Invece, ho lasciato che le cose fossero come erano. Io non ero mai stata capace di accettare qualcuno che non mi venerasse per la mia intelligenza, le cose che so e altre minchiate. Apache non aveva bisogno di niente, di nessuna dimostrazione. Al massimo di qualche concreta scatoletta di cibo puzzolente Io, che volevo programmare sempre tutto, ho imparato a prendere le cose come sono e gioire tantissimo nell'istante. Io che ho sempre avuto paura di prendere decisioni, ho deciso che lo volevo tenere e lasciare libero ed ho imparato a seguire l'istinto, anche quando potrebbe far male.
Apache è stato il catalizzatore di insegnamenti che non volevo vedere e non potevo accettare ma che erano già presenti, in potenza, nelle relazioni con le altre persone. E' servito un quadrupede peloso per insegnarmi che tutti quelli con cui interagisco sono miei maestri.
Io ho sempre mollato oppure mi sono attaccata alle cose con le unghie e con i denti. Ora faccio tutto ciò che posso per trovarlo. Se lo troverò, anzi, quando lo troverò, sarò felice. Se non lo troverò, lascerò andare, e mi terrò una nuova, preziosa, brillante cicatrice.


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