giovedì 26 luglio 2012

Declino rispettosamente l'invito a unirmi alla vostra allucinazione ovvero una sorta di microsaggio

Una meditazione buddista sull'amore inteso come metta, meditazione che si pratica per sviluppare la capacità d'amare e non per capire intellettualmente cosa sia l'amore, consiste nel ripetere con piena attenzione questa frase: "Proprio come io voglio la felicità e non voglio la sofferenza, così questa persona vuole la felicità e non vuole la sofferenza".
Questa persona su cui ci si concentra è inizialmente qualcuno a cui vogliamo bene, poi qualcuno di neutrale, infine qualcuno di ostile. 
Praticando la meditazione con costanza capiamo profondamente, anzi, sentiamo che tutti noi esseri umani cerchiamo la stessa cosa, semplicemente con strategie diverse. E che spesso è solo la mancanza di chiarezza sull'obiettivo vero a far prendere a noi e agli altri strade che ci allontanano dalla felicità invece che farci avvicinare. 
Questo significa giustificare tutto, anche le persone cattive, anche ciò che non ci piace e ci fa orrore? Non credo, al massimo significa comprenderlo nella sua struttura profonda. E smetterla di odiare. Perché quando capiamo che tutti noi esseri umani cerchiamo la stessa cosa ci viene voglia di accompagnare le altre persone, e noi stessi, verso la ricerca della vera felicità e l'allontanamento  o perlomeno l'accettazione della sofferenza. 
Scopriamo inoltre che le persone più cattive, che consideriamo i nostri nemici, sono così perché non riescono ad ammettere che vogliono una sola cosa. Vogliono essere felici, che tendenzialmente coincide con l'essere amati ed essere disposti ad amare. E fingono, per paura di perdersi o per troppo dolore. E iniziano a raccontarsi di volere altro: soldi, potere, fama, donne o/e uomini a volontà, dominio e violenza. E poi mettono in atto i loro propositi, senza la piena consapevolezza che diventeranno via via più tristi e sofferenti. Il mondo si trasforma per loro in qualcosa di totalmente opaco e disperso nella nebbia. Non c'è felicità, ma nemmeno dolore vero. Sono anestetizzati. Hanno raggiunto il loro scopo. 
Noi invece che avremo praticato metta (o che ci saremo allenati ad amare in altro modo) il mondo lo vedremo brillare, anche nei colori cupi, anche nella sofferenza. Ci colpirà la felicità così il dolore, la bellezza tanto quanto l'orrore. Ma sarà tutto reale. E sapremo dire: io voglio essere felice. E sapremo cercare la nostra strada per la felicità, con un equilibrio morbido tra il principio di piacere e il principio di realtà.

E ora attenzione, perché sto per compiere un salto logico che potrebbe anche non reggere. Ho parlato del principio del piacere e del principio di realtà. Oltre alla realtà psichica e spirituale di ogni uomo c'è una realtà concreta, economica politica e sociale con cui,  per aumentare la nostra felicità e alleviare la nostra sofferenza, dobbiamo fare i conti in quanto essere incarnati,
Noi pensiamo che i discorsi e le sottese realtà politiche economiche e sociali stiano ad un livello altro rispetto alle nostre vite e alla nostra ricerca di felicità.
Ma non è così. Lavorare e vivere insieme agli altri è gran parte della nostra possibilità di essere felici e di creare felicità, a meno di una scelta di vita totalmente solitaria e ascetica.
Da parte di molti degli attori coinvolti nei processi politici economici e sociali, esiste una volontà di mantenere invisibile l'importanza di questi meccanismi per la nostra felicità. Di mantenerci anestetizzati. Ma questa volontà non è dolosa, non esiste una cupola di uomini malvagi che ci vogliono fregare. Almeno, non credo. 
Semplicemente le strutture economiche politiche e sociali, essendo fatte dagli uomini, ricalcano le dinamiche spirituali e psicologiche umane. Come gli esseri umani anche le strutture politiche economiche e sociali dimenticano il loro fine: la felicità umana. Hanno paura di dissolversi, di non esistere più, di dover cambiare, se ammettono questo fine. Esattamente come gli esseri umani depressi. lontani e inconsapevoli della loro più profonda aspirazione. La struttura (e non uso a caso il termine marxista struttura, anche se secondo me la struttura della struttura marxista sta altrove, sta negli uomini) la struttura, dicevo, esattamente come gli uomini, per paura di non farcela a raggiungere il suo scopo lo abbandona e lo nasconde sotto la strategia del potere, del dominio, della violenza, dell'inconsapevolezza. Le strutture economico politiche e sociali inconsapevoli e "psicologicamente malate" sono potentissime, perché in esse rimbalzano, amplificandosi e sovrapponendosi, il dolore e la sofferenza e le conseguenti crudeltà dei singoli uomini tristi e sofferenti che le hanno costruite e vi si dedicano, nella speranza inutile di trovare consolazione al proprio dolore profondo. 
Ma se possiamo imparare ad amare gli uomini imperfetti, possiamo imparare ad amare anche le strutture politiche economiche sociali imperfette. 
E amare delle strutture imperfette non vuol dire accettarle.
Vuol dire vederle nella loro concretezza di strutture sofferenti, di cui vogliamo e possiamo alleviare il carico di sofferenza, con l'unico mezzo a nostra disposizione: noi stessi e le nostre scelte. Possiamo amarle. E viverci dentro consapevoli dell'aspirazione profonda alla nostra felicità, da cui non si può più distinguere il desiderio che anche gli altri siano felici. E ogni nostra scelta, ogni nostro atto può cambiare le strutture di un po'. Le può smontare da dentro. 
Perché per fare la rivoluzione c'è una sola cosa da distruggere: il nostro ego. 

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