giovedì 15 novembre 2012

E' difficile perché è difficile

La nonviolenza non è un paravento per la codardia, ma è la suprema virtù del coraggioso. L'esercizio della nonviolenza richiede un coraggio di gran lunga superiore a quello dello spadaccino. La viltà è del tutto incompatibile con la nonviolenza. Il passaggio dall'abilità con la spada alla nonviolenza è possibile e, a volte, addirittura facile. La nonviolenza, perciò, presuppone l'abilità di colpire. È una forma di deliberato, consapevole dominio del proprio desiderio di vendetta
Gandhi 
A chi obietta che finora nella storia non sono stati possibili cambiamenti strutturali con metodi nonviolenti, che non sono esistite rivoluzioni nonviolente, occorre rispondere con nuove sperimentazioni per cui sia evidente che quanto ancora non è esistito in modo compiuto, può esistere. Occorre promuovere una nuova storia.
Danilo Dolci 
Ho imparato la lezione della non-violenza da mia moglie, quando ho cercato di piegarla alla mia volontà. La sua determinazione nel resistere al mio volere da un canto, e la sua quieta sottomissione alla sofferenza provocata dalla mia stupidità, dall'altro, hanno finito per farmi vergognare di me stesso e convincermi a guarire dalla ottusità di pensare che ero nato per dominarla; in questo modo è diventata lei la mia maestra della non-violenza.
Gandhi

Ero a lezione di teatro e dormivo.
Ora sono a casa e potrei dormire ma non riesco. Mi sento addosso il turbamento di tutta la violenza a cui ho assistito, benché solo mediaticamente, oggi. Le piazze italiane. Le piazze in Europa. L'orrore di Gaza.
Non riesco a sentirmi assolta. Non riesco a sentirmi estranea. Non riesco a non chiedermi cosa si può fare. Che senso ha essere qui, pensare alla lezione di domani per spiegare la sceneggiatura alla 5C. Pensare ai progetti di dopodomani. Pensare all'amore, solo io e il mio amore. Pensare di andarmene. Pensare al colore delle pareti della stanza.
Provo a respirare, e a dirmi think global, act local. A dirmi, stai qui.  A riportarmi alla certezza che solo il mio personale cambiamento può portare cambiamenti nella società. Che non si può sperare di liberare nessuno nemmeno con un'azione politica animata da buone intenzioni, ad ampio raggio e profonda penetrazione nella società, perché se qualcuno si aspetta di essere liberato da un altro, finirà solamente per trovare un padrone diverso. Riportarmi alla certezza che non si può giudicare nessuno. Che non significa essere neutrali, ma provare a non vedere nemici. Provare a essere davvero non violenti. Prima nel pensiero che con i gesti. Provare a dominarla la violenza.
Perché il mio corpo sente il richiamo primigenio della violenza, della rabbia, della vendetta. E non posso negarlo, o imporre ad altri esseri umani di non sentirlo.
Ma so anche che come tutte le forme di pensiero, anche la non violenza si può propagare con un virus.
E allora vado in cerca di un contagio, e cerco maestri, e aspetto paziente (e non crediate che l'attesa sia una cosa passiva) che si risveglino dei semi dentro di me.
E nel frattempo addestro il mio corpo e la mia mente ad essere pronti per essere portatori sani di non violenza, per poi portare in giro il virus. E sperare in un contagio.

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