domenica 6 aprile 2014

Le parole proibite nel 2014: comunismo e capitalismo


In realtà la borghesia conosce solo un modo per risolvere il problema delle abitazioni, e si tratta di una soluzione che riproduce di continuo il problema. È il metodo chiamato “di Haussmann”… Le ragioni possono essere le più diverse ma il risultato è sempre lo stesso: i vicoli sordidi e le stradine malfamate scompaiono, permettendo alla borghesia di congratularsi sfacciatamente con se stessa per il magnifico successo conseguito, ma ricompaiono immediatamente da qualche altra parte… La stessa necessità economica che li ha prodotti in un luogo li riproduce in un altro. 
Engels, La questione delle abitazioni, 1872

Ormai la parola comunista è una parolaccia. La si associa solo ad una cosa: il comunismo sovietico, che di certo non era un posto divertente dove vivere. Non raggiunse l'obiettivo di rendere gli uomini uguali, rese solo qualcuno più uguale degli altri. Non cambiò i parametri su cui valutare l'economia, visto che URSS e USA per decenni fecero la gara di forza sulla produttività, la conquista dello spazio e altre simili amenità. Non trasformò la tecnologia in uno strumento di liberazione degli umani dalla maledizione biblica della fatica. 
I teorici del comunismo, meglio, del socialismo, videro con chiarezza i problemi dell'assetto economico-politico e sociale del loro tempo e le loro previsioni sullo sviluppo della società capitalistica (concentrazione della ricchezza nelle mani di un numero sempre minore di persone) sono perfette.
Però l'applicazione pratica, il tentativo di applicazione pratica è stato fallimentare. Anche a Cuba, dove tutto sommato grazie anche ad un clima più mite (e quindi una predisposizione d'animo diversa) le cose non sono andate così tragicamente, il socialismo reale è agli sgoccioli. Del resto il capitalismo non fa stare meglio le persone. Basta guardare gli Stati Uniti con le agghiaccianti statistiche sulla povertà, o la Cina capitalista per capirlo. O la tecnologia usata solo come mezzo per risparmiare su quel fastidioso obbligo di far lavorare gli operai.  O le code alla Caritas dei pensionati, a Milano, nel 2014.
Però il capitalismo non lo possiamo criticare, perché sarebbe come il cane che morde la mano che lo nutre, o il pesce che vuole fare a meno dell'acqua in cui vive. Ci dicono che il capitalismo è "naturale". Belli miei, di naturale e inevitabile quando si parla di cose umane non c'è niente, a meno che non si persuadano le persone del contrario. Ad esempio: per un bambino con una famiglia violenta, quella è la sua normalità, e non può che presupporre che in tutte le famiglie funzioni così. Ma quando, con tanta fatica, pazienza e amore qualcuno gli svela che non è così, il mondo per lui cambia. E anche lui cambia, anche se sempre si porterà con sé i segni di quella prima esperienza. 
Comunque, tornando al punto, perché il comunismo ha fallito nonostante la precisione dell'analisi? Perché il capitalismo continua invece a mettercelo in quel posto con grande naturalezza? 
Perché? Be', mica sono una politologa. Ma mi piace guardare la natura degli esseri umani, a partire dalla mia, e dare una risposta. 
E mi sembra di aver capito che tutti gli esseri umani vogliono qualcosa di speciale nelle loro vite. Non possono sopportare di essere una cosa tra tante altre cose. E sia il capitalismo sia il comunismo lo fanno. Ci fanno sentire parte di un ingranaggio. Ci fanno sentire in colpa, o addirittura ci arrestano a seconda dei casi, se deviamo dalla norma, se abbiamo sogni altri rispetto al successo, i soldi, l'obbedienza alla realtà. 
Però il capitalismo è più intelligente, e sfrutta questo desiderio umano vendendo il sogno del successo. Se ci si impegna, si lavora, si rispettano le regole (almeno formalmente) si può agevolmente scalare la piramide sociale. Fondamentalmente si può passare dall'essere fottuto da qualcuno al fottere qualcuno. 
Lo chiamiamo sogno americano. A me sembra un incubo, in cui le nostre vite restano intrappolate. 
Cerchiamo il successo e la ricchezza, perché è ciò che siamo abituati a considerare come prezioso e rilevante. 
Ma ci dimentichiamo di noi, e degli altri. E se pensate che sia buonista, andate a fare in culo.  Steve Jobs e il suo discorso "Stay hungry, stay foolish" è bellissimo e pieno di insights, ma la sua visione del mondo ha infine portato la Apple, che io finanzio (sia ben chiaro, non mi tiro fuori dal gioco) a produrre i suoi prodotti in Cina con condizioni e paghe non esattamente democratiche. 
A me pare che forse la parola comunista potrebbe tornare in voga in un'altra accezione, oppure insomma possiamo inventarne un'altra meno sporca di quella, partendo dal fatto che l'umanità ha bisogno di una cosa: di un sogno comune.
L'asfissia dei sogni collettivi/collettivistici del comunismo e il livore dei sogni individuali capitalistici sono un massacro per milioni di vite. 
Serve un sogno comune, in cui io conto quanto gli altri, ma so che io sono diverso da chiunque altro. Un sogno in cui questa diversità sia accettata, elaborata, condivisa, partecipata e rispettata. Un sogno in cui nessuna religione dica che le donne, gli omosessuali, i neri o i punk sono pericolosi. 
Un sogno che dica solo che we're born to shine. E dia ad ogni individuo la possibilità concreta di farlo, a modo suo, per sé e per far sì che possano risplendere anche gli altri.
Finché risplendere è vietato perché ci rende eccezionali e dobbiamo essere normali, e finché chi risplende risplende tanto da rendere invisibili gli altri, perpetueremo quell'inferno in terra di cui parla Sartre, in cui gli altri sono il nostro personale inferno. Perché noi siamo il loro personale inferno. 

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