sabato 5 luglio 2014

Tutti giù per terra

Sto lavorando in un centro estivo per bambini e ragazzi disabili.
Un posto abbastanza estremo, una specie di mondo in cui vigono le leggi basilari dell'esistenza, solo e semplicemente quelle, nella forma più schietta, e quindi quasi disturbante: mangiare, dormire, andare in bagno, ottenere quello che si vuole, essere compresi, essere amati, proteggere il proprio spazio vitale. 
Ci sono molti ragazzi con varie forme di autismo. In tutti è estremamente visibile un desiderio fortissimo, maniacale, verso qualcosa, generalmente un oggetto. Quando questo desiderio è soddisfatto, il resto del mondo non esiste più. Quando invece questo desiderio è insoddisfatto, la reazione è forte, a tratti addirittura violenta, esasperata anche dalla difficoltà nel comunicare.
Qualcuno ha paure incontrollabili, altri inspiegabili momenti di euforia o tristezza. Ignorano ciò che non vogliono sentirsi dire. 
C'è una libertà pazzesca nei comportamenti dei ragazzi. Fanno esattamente ciò che sentono nel momento in cui lo sentono, fregandosene del giudizio altrui. Il prezzo di questa libertà è vivere nella follia, nel completo, o quasi completo, isolamento. Incapaci di sentire le emozioni degli altri, e di trovare un canale per esprimere in maniera sensibile le proprie. 
E di nuovo ho pensato che in realtà siamo tutti degli autistici sotto mentite spoglie. Vogliamo delle cose e la mancanza di queste cose ci fa soffrire; siamo prigionieri di emozioni basilari che ci arrivano da vecchi schemi emotivi; tendiamo a ripetere dei pattern; ci spaventa il cambiamento; comunichiamo approssimativamente ciò che vogliamo e ci arrabbiamo se gli altri non ci capiscono; interpretiamo malamente ciò che gli altri ci dicono, perché proiettiamo sempre su di loro i nostri percorsi mentali; preferiamo ottenere il risultato immediato della soddisfazione del nostro desiderio invece di giocarci nella relazione con l'altro. 
Noi però siamo abituati a considerare questo schema normale. Ed in effetti è normale, perché è la norma.
Eppure ho capito una cosa. Che l'unico modo di uscire dal nostro personale autismo è vederlo e accettarlo a poco a poco, e vedere gli autismi altrui, e accettare le relazioni con gli altri esseri umani per come sono, sospendendo il giudizio, almeno per gli esseri umani che ci piacciono (e se facciamo questi esercizi, quelli che ci piacciono saranno sempre di più).
Provare a godere dei momenti di bellezza nelle relazioni e cercare il modo per moltiplicarli e replicarli, invece di chiuderci a riccio per evitare i momenti difficili, che, sapevatelo, sono inevitabili, ma, risapevatelo, si possono superare.
La soluzione all'estrema irrimediabile spaventevole lontananza tra di noi e ogni altro essere umano è ammettere che condividiamo la stessa situazione di disagio, in forme diverse e peculiari per ognuno. Ammettere che siamo costretti, strizzati, compressi in un mondo mentale angusto, e quindi allenarci ogni istante affinché lo spazio stretto e soffocante del nostro cuore, della nostra mente e dei nostri occhi diventi più flessibile, morbido, elastico.


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