martedì 5 maggio 2015

Della fine, che non è indicibile

Chi non si aspetta l'inaspettato, non troverà la verità
Eraclito

Volevo evitare di scrivere sul blog della fine della relazione con il Biondo, che ora ha per me un nuovo soprannome che per privacy non rivelerò se non di persona a chi ne farà richiesta (prevedo la fila).
Eppure ora sono qui a scriverne. Ho scritto a suo tempo dell'inizio, e ora provo a celebrarne la fine. Che la fine fa paura, ma ha una sua bellezza.
E mi dico che da brava Vergine sto cercando motivazioni e ragioni, e ragioni vere ce ne sono, fattuali psicologiche individuali di tempo di desideri di volontà di dinamiche tra di noi di dinamiche sociali e universali e di altra femminilità. Ma non ce n'è nessuna,
E mi dico che sono arrabbiata, e lo sono. E triste, e lo sono. E delusa, e lo sono.
E mi dico che ho perso tempo. E mi dico che ho sbagliato delle cose. E mi dico che morirò gattara. E mi dico che sono diventata adulta. E mi dico che il meglio deve ancora venire. E mi dico che le sfortune sembran fortune e viceversa.
E mi vedo con la volontà di affermare le mie ragioni. E mi vedo a rifiutare le sue. E mi vedo incapace di capire le sue, due alfabeti diversi.
E mi riconosco la volontà di chiudere. E il desiderio di aprirmi il cuore ancor di più, sforzandomi in uno sforzo che mi strema e che non mi soddisfa.
E mi vedo precorrere i tempi e insieme oziare, lasciando gocciolare il tempo nel dolore e nel vuoto che mi si muove dentro, riempiendomi. E mi vedo parcellizzare l'atomo e pure ricostruirlo.
E mi vedo essere viva e lucida e piena come da tempo non ero e mi chiedo se è mai possibile che stia sempre meglio quando sto peggio, o se semplicemente quando sto peggio tutto si accumuli, e il peso che una volta mi poteva annientare, ora mi fa risorgere, se cammino con attenzione sulla cresta dell'onda delle rovine che crollano invece di lasciarmi andare a peso morto sotto le macerie.
E mi fermo e vedo momenti di felicità provvisoria che non voglio scambiare con nessuno, che non ridarei indietro nemmeno se sapessi di potermi scontare questa pena. E che tengo per me.
E mi fermo e vedo dei momenti di infelicità provvisoria che ho cercato di annullare, di non vedere, di arginare e fermare, pensando che bastasse la volontà. E ora guardo anche quelli. E li tengo per me.
E mi fermo e vorrei buttare dal balcone le poche cose che ha lasciato.
E mi fermo e mi metto la felpa che mi ha regalato.
E mi fermo e penso ai contratti che avevamo reciprocamente firmato. E non so se li abbiamo firmati davvero, e quando. Forse un milione di anni fa.
E penso che vorrei strappargli i capelli che ha in testa, che tanto gli cadranno prima o poi. E penso che non riesco a fargli del male, e che mi fa incazzare non riuscirci. E penso che ne starò fuori, dal bene e dal male che gli accadranno o si farà accadere.
E penso che vorrei vedere ancora la sua anima buona, e ora non ci riesco per niente. E vorrei vedere anche la mia anima buona, e ora non ci riesco fino in fondo.
E odio le differenze che non ho notato, e le amo perché sono ciò che ci ha tenuto insieme e che ci siamo scambiati. E penso che magari non gli ho lasciato niente, e mi sento inutile. E penso a ciò che mi ha lasciato, ed è poco, ma di pregio.
E mi guardo in questa casa colorata e ancora spoglia ma disordinata e penso che anche se soffro lui non mi manca qua dentro. E allora mi chiedo perché soffro, per che cosa soffro, per chi soffro.
E la cosa per cui soffro è l'impossibilità di riconoscere lui che ha scelto di non farsi più riconoscere, e la sensazione di impossibilità nel riconoscere me, perché gli altri, soprattutto chi amiamo, sono il nostro specchio.
Ma io forse in quello specchio da tempo non mi guardavo davvero e non sapevo più il suo nome, non lo sapevo più sia perché lui me l'ha celato sia perché io non lo sapevo più dire. E non lo so più dire a tal punto che l'ho cambiato.
E allora perché, perché soffro? Perché non allargo il cuore e abbraccio l'Universo, e anche lui che ora non so nominare?
Soffro perché ho perso il controllo. Perché non sopporto di averlo perso. Perché ho deragliato, sono andata troppo veloce, siamo andati troppo veloci e le forme hanno perso forma e i colori hanno perso colore come il paesaggio dal finestrino di un treno veloce.
Soffro perché mi sono dimenticata che in fondo alla vita non c'è il cartello di Arrivo. C'è solo la vita che finisce, e se punti al cartello di Arrivo ti perdi il viaggio. E io l'ho perso per un po'. Puntavo all'Arrivo, e ho chiuso gli occhi e trattenuto il respiro e speravo di arrivare a destinazione serrando le mandibole. E quando ho respirato di nuovo e riaperto gli occhi, lui non c'era più.  E io non sapevo bene dove ero. E io non so più bene chi è lui, e chi sono io.
E ora potrei anche continuare a soffrire. Ma se anche mi sforzo di cancellarlo, se anche mi impongo di ignorarlo, quel pezzo di viaggio l'ho fatto,  un po' con lui un po' da sola. E mi ha portato qui. E qui, anche se è difficile da accettare, qui non è altro che un dato di fatto, qui è dove le cose sono come sono. Qui è il posto in cui l'inaspettato svela la realtà.


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