martedì 1 ottobre 2013

Da grande

Sono qui in un posto sperduto, a fare una sorta di training come insegnante, e mi chiedo se nella mia vita voglio davvero fare la prof fino alla pensione (o alla morte, visto che la mia generazione la pensione probabilmente non l'avrà mai).
Insegnare mi piace, ma considero alternative. Vedo una parte di me che ha voglia di fare altro, di cimentarsi, che teme la frustrazione di ambizioni abbandonate, la noia di una vita sempre nello stesso posto, la fatica di uno stipendio non esattamente esaltante, la patina di naftalina e lo scarso appeal associato agli insegnanti.
Vedo e so che ho talenti in abbondanza, e che anche se non sono esattamente un genio a metterli a frutto, sono lì. E mi fa strano ammetterlo, ma ho finalmente smesso la falsa modestia che sempre si accompagna alla vanità, e so riconoscere sia le mie capacità sia i miei limiti.
Poi leggo di persone che come me (ma molto meglio di me come risultati)  hanno fatto lavori nell'ambito creativo. E che sono a spasso. Perché non c'è lavoro, e per quello che c'è le aziende preferiscono gli stagisti o le persone molto giovani, che si possono permettere di farsi pagare poco.
E vedo la fatica per mettere via due soldi per autofinanziarmi un progetto.
E vedo la fatica di chi ce la fa a lavorare nel settore, che non può fermarsi un momento altrimenti è fuori dal giro e devo fare pubbliche relazioni costantemente e diventare un paraculo e essere on 24/7. Per fare alcuni lavori bisogna diventare indispensabili, e diventare indispensabili è un lavoro duro e quasi totalizzante.
E vedo le statistiche sulla disoccupazione in Italia, nonché percepisco aria pesante anche qui in Inghilterra, e quindi dovrei considerarmi fortunata se troverò un lavoro come insegnante.
Quindi di nuovo mi chiedo: che cosa voglio? Ed è una domanda che mi spaventa, perché mette in gioco moltissimi parametri che vanno poi inseriti in una scala di priorità ben chiara: i soldi, la felicità, il tempo libero, l'idea di una famiglia, il senso di utilità, la volontà di ricevere complimenti o sentirmi speciale (chiamasi anche ambizione), la serenità, l'immagine di me, l'autorealizzazione vera o presunta e molti altri. Scegliere che cosa fare da grandi, pur nella consapevolezza che le cose possono sempre cambiare, è in qualche forma scegliere chi si vuole essere. E le scelte mi fanno paura, da sempre. Sono la potatura di una parte, potenziale o reale, di me.
Però non riesco a non pensare che è indispensabile fare come nella frase cantata dal buon vecchio Guccini in Eskimo (Bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà), e mi considererò brava solo riuscirò a scegliere invece che a farmi trascinare lenta in una vita arrivata per caso o per ripiego.
Che la vera povertà alla fine è una cosa sola: non avere la possibilità di scegliere (o, anche, non riuscire a scegliere quello che c'è)
Il problema è, per me e per i miei limiti caratteriali, la consapevolezza che a volte, pur scegliendo qualcosa, non lo si ottiene. And it sucks.
PS: Stavo per pubblicare questo post, ma ero insoddisfatta. Perché non mi piace granché ed è pure realmente pesante e depresso, sarà perché oggi è il primo fottuto ottobre. Mentre ci riflettevo lasciandolo riposare come la pasta per la pizza, ho trovato pubblicata su FB questa frase di Mordecai Richler: "Un ragazzo può essere due, tre, quattro persone potenziali, ma un un uomo una sola: quella che ha ucciso le altre".
Ed è vera, perfettamente scritta e poco consolatoria. Ma ciò che mi consola è il fatto che ancora una volta mi guardo intorno e ciò che trovo è esattamente quello che mi serve.
Quindi, mi sembra più facile scegliere, ora che ho di nuovo fiducia nell'universo.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Misa, cara, scrivi. Continua a farlo. I tuoi post incantano anche quando sono "pesanti e depressi".♥

LoveIsNoise ha detto...

Il tuo star male fa star bene. Consolati di questo.

Anonimo ha detto...

Mi piace molto quello che hai scritto! Un bacio Ele