sabato 12 ottobre 2013

Faber est suae quisque fortunae

Come è possibile non credere al karma? O perlomeno non credere che le cose che dobbiamo affrontare ci si presentino sempre, e in forma sempre più difficile, se non le affrontiamo la prima volta?
No, perché per me è impossibile. Io non mi so spiegare altrimenti questo pezzo di vita in cui sono adesso.
Sono nella versione inglese di RdL, il mio bergamasco paese d'origine di cui molte volte parlai in questo blog. Pianura, freddo, campagna, vaga noia. Ciò che devo affrontare è chiaro: trovare un senso non nella frenesia della vita, ma nella vita.
Vivo con una coppia di signori che, cattivo gusto nell'arredamento a parte, mi ricordano molto i miei. Gran lavoratori, semplici, battuta pronta, nazionalismo di facciata, orto e poche pretese culturali. Ciò che devo affrontare: la mia spocchia para intellettuale e artistoide.
Non ho veri e propri amici finora, e cerco di evitare di vivere incollata alla tecnologia per parlare con gli amici italiani. Ciò che devo affrontare: la solitudine, l'aspettarmi sempre che qualcuno si occupi e preoccupi per me.
Ho la sensazione che questa non sarà la mia condizione di vita per sempre, ma che sia una specie di purgatorio in cui, mentre mi purifico da scorie passate, riesco a mettere a fuoco il mio futuro, e a gettare semi perché fiorisca.
Del resto occuparsi del proprio karma è proprio andare a ripescare le cause dell'attuale sofferenza, e con atti volontari benefici, far sì che smettano di proliferare, piantando invece semi di futura felicità.
Let's get the job done.


Nessun commento: