mercoledì 2 febbraio 2011

Make.Believe

Oggi pomeriggio sono andata al Carrefour di viale Brenta.
Alle casse un signore che parlava da solo e si arrabbiava con i suoi acquisti ha approfittato della mia temporanea assenza (mi ero dimenticata la maschera all'argilla e non trovavo la mia preferita)  per scavallarmi.
Pazienza, mi sono detta.
Mi sono messa in coda: la cassiera osservava con cura ogni prodotto, in cerca di quell'oggetto nascosto ma indispensabile chiamato codice a barre. Con una frequenza straordinaria si alzava per chiedere la chiavetta dello storno. Poi tornava, stornava, riportava la chiavetta e ricominciava a scrutare le confezioni.
Pazienza, mi sono detta.
La signora in coda dietro di me ha iniziato a lamentarsi che avrebbe perso l'autobus, e che poi avrebbe dovuto aspettare 20 minuti e fa freddo e le borse pesano e la cassiera è lenta e suo figlio non trova lavoro e lei è da sola.
Prego, le ho detto.
Pazienza, mi sono detta.
Dopo un tentato furto di un tris di scatolette di tonno da parte della lamentosa signora (ha perso l'autobus, passato proprio mentre incassava il resto) giungeva il mio turno. E a parte la consueta quadriglia solitaria della cassiera, tutto liscio.
Uscita dal Carrefour, borse affilate come lame in mano, ripensavo alla mia seraficità, chiedendomi da dove mai fosse arrivata, e che senso avesse essere buona a Milano. In Corvetto. In un supermercato.
Finché in piazzale Bologna un camionista a bordo di un tir solidamente piazzato sulle strisce pedonali ha rinunciato al suo verde per farmi passare. Con il rosso. Con le borse. Sorridendomi.

Nessun commento: