giovedì 15 marzo 2012

Quel che resta

Mucchietti di parole, arrotolati tipo polvere e capelli dietro il comodino.
I libri letti nelle tue case e mai prestati, perché dicevi che poi non tornavano indietro. Ma indietro, i pochi che ti ho preso, sono tornati tutti. 
Schegge di sole che mi ricordo proprio come se mi stessero scaldando ora.
Rumori di letti. Felici. Silenzi di letti. Spaventati. Urlavano ancora più forte.
Qualche urlo. Un vaso rovesciato. Le valigie fatte. 
Una bugia. E tante altre bugie che ci siamo dimenticati. E non voglio più ricordarle, che le colpe non esistono. 
La stretta allo stomaco.
Il cuore che si allarga. All'improvviso si stringe, fa male. Poi respiro e decido di lasciarlo allargare ancora, ma un po' meno. 
Gli occhi che si evitano, perché non possiamo lasciare fissare qualcosa che non possiamo più regalare.
Cene con pasta al suco e carne arrostuta, che il favismo è sempre in agguato. La tisana al finocchio.
I miei nipoti che crescono, ma ancora chiedono di te. E io gli dico che sei bello e stai bene. E gli insegno che le cose finiscono. Ma vorrei non lo scoprissero mai. 
Io uguale dentro di te, ma diversa. Tu uguale dentro di me, ma diverso. 
Il dubbio che il mio odore sia cambiato. La certezza che il tuo è rimasto uguale.
I capelli bianchi, anche se li tingo. La tua barba, che non c'era, ma ti sta bene. Qualche ruga in più. Qualche chilo in meno.
Consigli non richiesti. Richieste che non erano consigli.
Un dialetto imparato. Una terra che saprà per sempre di te, ma ci tornerò lo stesso.
Mail e messaggi, d'amore di mancanza di fastidio di nostalgia di spiegazioni di scuse di finta indifferenza di lavoro di appuntamenti di nulla che era tutto. Molti li ho cancellati, ma adesso me li terrò tutti. 
Amici nuovi. Lontananze vecchie. 
Rimpianti. Sarcasmi. Rabbia. Insulti pieni d'amore. Ma quelli c'erano da sempre. 
Curiosità per le tue magie. 
Una città che mi ricorda te, e a poco a poco sarà bello ricordarmelo. E magari ci incontreremo, che non è poi così grande. 
Biciclette rubate, rotte o mai usate. 
Lacrime che ormai bruciano poco. Ma le lascio uscire. 
Tenerezza per le tue lacrime, che escono silenziose, vergognandosene. 
La ricerca di un livello in cui i mostri non siano così tremendi, e in cui riusciamo a giocare senza arrivare sempre al game over.
Cicatrici, che ci rendono malinconici e spaesati reduci.
Una pesantezza che abbandono volentieri. Una leggerezza che arriverà portata da altri venti. 
La vita continua. Anche io, anche tu. 
Mi sento orfana, come canta Vinicio. Ma Vinicio mi rassicura anche, perché la grazia dei nostri cuori resta intatta. E so che la proteggeremo. 


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