sabato 15 settembre 2012

Sabato sera ovvero genealogia del Mi piace

Passare il sabato sera a casa è una cosa che mi ha sempre un po' inquietato.
Nel mio immaginario era la sfiga sociale per eccellenza. Tutti si sarebbero divertiti senza di me né tantomeno senza pensare a me, mentre io sarei ingrassata 3 chili mangiando gelato patatine e nutella sul divano, guardando commedie romantiche nelle cui protagoniste mi sarei immedesimata, ma senza il lieto fine perché tanto non mi avrebbe voluto nessuno.
Ecco, ora le cose vanno leggermente meglio.
Sto a casa il sabato sera perché nei giorni precedenti non mi sono risparmiata niente e ho dormito troppo poco, e perché devo organizzare le idee affinché diventino azioni concrete nell'intensa settimana a venire. E sto serena perché delle persone mi hanno invitato ad uscire, e io mi sono sentita pure un po' figa a declinare l'invito.
La vera sfida sarebbe fare esattamente quello che mi va, che sia sola o in compagnia, con inviti o senza inviti. Ma è un passaggio successivo, e ormai so che se mi metto la pressa non ottengo niente.
Cosa c'entra il "Mi piace"? C'entra perché la mia ambizione, da ben prima che i social media cambiassero per sempre le nostre vite facendo diventare il narcisismo e l'ombelichismo gli unici modi della comunicazione, è sempre stata quella di piacere a tutti, di fare le cose giuste al momento giusto e con le persone giuste. Il Mi piace come metro di esistenza pubblica non l'ha mica inventato Facebook.
E so pure che questo post fa schifo, ma lo pubblico lo stesso perché mica devo compiacere sempre tutti. Mettete dei non mi piace, per favore. Anzi no, non compiacetemi ancora. Fate il cazzo che volete, che alla fine è l'unica cosa che libera tutti.


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